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Dal 16 al 18 ottobre si svolge, in quattro luoghi partenopei della cultura, e on line, la fiera dedicata al design editoriale, una precisa branca del design, di cui ci parla approfonditamente Domitilla Dardi, esperta di design e autrice di “Manuale di storia del design” recentemente pubblicato da Silvana Editoriale, curatrice per il MAXXI di Roma e co-organizzatrice e co-curatrice della fiera EDIT Napoli insieme a Emilia Petruccelli.
Va molto di moda la parola “resilienza” e forse è quanto mai adatta in questa occasione. Edit Napoli, quest’anno alla sua seconda edizione, non si fa abbattere dal contesto severo dettato dalla pandemia. Cosa vi ha dato la forza di non mollare?
Di certo è stato un percorso a ostacoli! C’è da dire che Edit è una fiera, ma nelle modalità e nei flussi è più simile a un museo o a un’esposizione che a una manifestazione incontrollata. Le norme di sicurezza ci sono e per fortuna c’è la possibilità di farle rispettare. Forse la parola adatta non è “resilienza”, ma “resistenza”. La resilienza è un concetto derivato dall’ambito scientifico e significa capacità di ritornare, dopo l’attacco, alla condizione iniziale. Noi non vogliamo fare questo, perché vogliamo andare oltre le condizioni “pre-attacco”, istituendo una mentalità diversa, che permetta di creare una continuità del nostro lavoro nel tempo e nello spazio: infatti abbiamo istituito delle Virtual Room per coloro che non possono essere fisicamente con noi. Anche i compratori potranno partecipare agli acquisti, sia in presenza che a distanza. E questo durerà nei mesi a venire, ben oltre i giorni della fiera.
Nella vostra visione per il futuro questa rete di luoghi e partener locali è destinata a crescere? E di conseguenza il coinvolgimento del grande pubblico?
Vogliamo far crescere la cultura del progetto e del prodotto, sia sotto il suo aspetto artistico che sotto il suo aspetto utilitario e commerciale e far accostare sia gli esperti che il grande pubblico a questa cultura. Un esempio? Ceramica Gatti, di Faenza, fa convivere al suo interno una linea di ceramiche d’artista e una produzione destinata al commercio più ampio. Entrambe troveranno spazio in Edit: la ceramica artistica di Andrea Anastasio dialogherà con le pitture e oggetti di uso quotidiano pompeiani, nelle sale del Museo Archeologico Nazionale. Edit si svolgerà in quattro luoghi della città (il Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, il teatro San Carlo, il Museo Archeologico e il Museo Filangeri) e offrirà accesso gratuito al pubblico. Questo per noi significa apertura nei confronti del pubblico stesso. Si tratta di un invito a scoprire o riscoprire sia il design che i luoghi di cultura del territorio.
Mi corregga se sbaglio: l’ambizione di questa fiera, secondo un format ideato da lei e dalla sua collega Emilia Petruccelli, è quella di presentarsi in contrapposizione con l’evento del design milanese: principalmente legati al design industriale, loro. Essenzialmente legati al design artigianale, voi. È così?
Ni! Che a Milano siano maestri in materia di design industriale non si discute. Ma in relazione a Edit, io non amo parlare tanto di design artigianale, quanto di design editoriale. È proprio questo il punto: il design editoriale può prevedere l’utilizzo di competenze artigianali, ma spesso si tratta di una componente artigianale che si aggiunge al processo di produzione in serie (tipico della produzione industriale, ndr). Il design editoriale è una sorta di via di mezzo tra il design industriale prodotto in larga scala e il design del pezzo unico, da collezione. Nel design editoriale macchine e mani lavorano insieme, per dare vita a un prodotto che potrebbe essere definito “unico in serie”. Edit mette in luce la linea di pensiero degli editori di design: ogni editore ha la propria linea di pensiero e compie scelte da essa dettate. Proprio come in una casa editrice… solo che invece di un libro si dà vita a una poltrona o a un tappeto.
Cosa può dirci relativamente al valore commerciale dei prodotti presentati in fiera?
Tutto sta nella comprensione del lavoro, del tempo e della qualità che si nascondono dietro ogni pezzo finito. Una volta capito il valore della qualità e del processo di fabbricazione il prezzo del prodotto, anche se più alto confrontato con il prezzo del prodotto industriale, risulterà perfettamente giustificato. Va capito lo sforzo che c’è dietro e l’importanza anche etica della filiera corta, tracciabile e trasparente. Comprando un pezzo di design editoriale compri sia l’idea che l’esecuzione materiale dell’idea. Senza tralasciare il fatto che, grazie al progetto contemporaneo, alcune tecniche tradizionali vengono non solo riscoperte e valorizzate, ma anche rinverdite, portate a nuova vita.
In un’intervista lei dice che oggi gli artigiani sono anche dei makers capaci di usare strumenti come ad esempio la stampante 3D. Ripensando ai progetti che saranno esposti a Napoli, può dirci se la tendenza prevalente è quella di una collaborazione tra designer e artigiano (come tra designer e azienda nel caso del design industriale) oppure designer e artigiano sono sempre più spesso la stessa persona?
C’è un po’ di tutto questo. La casistica è molto complessa e completa. Quello che davvero accomuna tutti i partecipanti è la qualità dei loro prodotti.
In una fiera a conduzione femminile e che vede la presenza di molte designer donna, si può parlare di uno sdoganamento della presenza della donna anche nell’ambito del fare, in una società che purtroppo fa ancora fatica a consegnare alle donne utensili e attrezzi da lavoro?
Quello di cui si può davvero parlare è il coraggio delle donne! Vi garantisco che ci vuole un coraggio da leoni per stare in questo campo, soprattutto nel nostro Paese ancora così pieno di pregiudizi nei confronti delle donne e così poco incline al sostegno all’imprenditoria.
Voglio anche dire che non c’è stata premeditazione nella costituzione di una squadra a prevalenza femminile, anzi anche noi ci chiediamo cosa lo abbia determinato… Diciamo che Edit è un evento accogliente, quasi materno. Sarà questo….
La fiera si svolge in una delle più belle e grandi città del sud Italia e coinvolge anche giovani designer nella sezione “Seminario”. Qual è secondo lei lo stato di salute delle scuole di design al sud?
Decisamente in ascesa! Non è un caso che in Sicilia ci siano due enti per la formazione di designer molto valide e attive: il Made Program di Siracusa e l’Accademia di Design e Comunicazione Abadir di Catania. Per chi non è originario del Nord Italia (Domitilla Dardi è romana, ndr.) alcune cose sono meno scontate, si deve faticare di più per scoprirle o arrivarci. Ma proprio per questo siamo magari a volte più curiosi, più ricettivi. Se, come spesso accade, siamo costretti a migrare, poi torniamo con un bagaglio arricchito. Una delle idee di Edit è quella di riconsiderare il monocentrismo che esiste sul settentrione e di mettere in luce quello che una splendida città come Napoli ha da offrire, proprio attraverso un legame stretto tra la fiera e il territorio. Ci saranno naturalmente partecipanti e visitatori stranieri, ma lo scenario è Napoli e non bisogna dimenticarlo. Abbiamo puntato molto su questo, anche nella nostra comunicazione.