Come è nata l’idea di lavorare sulla “casa”? Idea molto didattica ma altrettanto carica di suggestioni, simboli nonché universalmente valida…
La casa è qualcosa di familiare per tutti i bambini. Molte esperienze sulla vita di tutti i giorni le facciamo in casa o le raccogliamo in casa. E’ un luogo di esperienza e di memoria dell’esperienza. Anche per questo ci è sembrato uno spazio fisico e mentale adatto a mettere in luce la nostra metodologia didattica, che non prevede una lettura dell’opera d’arte come qualcosa di finito e concluso, ma mette al centro l’individuazione dei processi creativi che portano alla costruzione dell’opera. Si cerca di indagare l’esperienza estetica dell’artista, quindi gli elementi che contribuiscono alla sua definizione: letture, film, immagini, musica, ma anche cibi preferiti, perché tutto fa parte dell’atto creativo. La casa vuole essere la metafora dell’identità dell’artista che è strettamente legata all’identità del suo lavoro. Non racchiude quindi solo la dimensione biografica ma una esperienza che è molteplice e plurisensoriale.
Cosa vuol dire lavorare con tante sezioni didattiche, culture e artisti diversi? Esiste già una reale cultura europea? E come possono questi progetti intervenire in questo processo?
Aver lavorato sulla stessa idea di casa ha voluto dire condividere una metodologia, un materiale didattico, un pensiero. Dall’osservazione dell’esperienza che verrà fatta dagli operatori dei Dipartimenti Didattici coinvolti, e dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna e Barcellona, potremmo trarre elementi importanti per definire una più solida metodologia comune. Artisti e ragazzi saranno oggetto principale di questa riflessione che si allarga a livello europeo.
Il processo di osservazione, sperimentazione e analisi avrà, inoltre, un importante momento di sintesi in occasione del seminario conclusivo che si terrà a Reggio Emilia a settembre, al termine di Didart edizione 2005.
Questo ritengo sia un modo giusto per costruire una cultura europea sulla didattica dell’arte, partendo da esperienze comuni, da progetti come Didart che diventano l’occasione per misurarsi e confrontarsi sul campo; credo sia importante anteporre il momento dell’esperienza al momento della teorizzazione, cosa che spesso soprattutto in ambiti allargati come quello europeo, non è facile riuscire a fare.
Il panorama delle esperienze italiane come va rivista, alla luce di quelle dei vostri partner? I nostri punti forza e quelli invece da migliorare?
Dal confronto con i partner stranieri avvenuto in questi anni all’interno del progetto Didart, credo di poter dire che le esperienze italiane in ambito di didattica dell’arte non hanno nulla da invidiare a quelle dei partners stranieri da un punto di vista della ricerca scientifica e della produzione editoriale sull’argomento. Esiste una reale differenza relativamente alle strutture, alla tecnologia disponibile. Inoltre visitando i musei stranieri appare subito evidente che all’estero esiste una coscienza differente e più matura rispetto all’importanza della didattica dell’arte. In Italia non esiste ancora un importante collegamento tra museo, pubblico, famiglie e scuola. C’è una scarsa abitudine a frequentare il museo, che invece in altri paesi viene vissuto abitualmente come un luogo di intrattenimento e svago per adulti, bambini e famiglie al pari di tanti altri.
intervista a cura di annalisa trasatti
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