Quale la vostra dichiarazione d’intenti?
La Fondazione inaugura dedicandogli fisicamente uno spazio ampio e luminoso ricavato di fianco ai luoghi espositivi, per mantenere aperto il dialogo fra luogo della visione e luogo della sperimentazione. Le attività didattiche, infatti, sono sempre legate ai temi, alle tecniche e agli stimoli suggeriti dalle diverse mostre, e vogliono suggerire un approccio attivo e critico di fronte all’opera. Le attività per i bambini sono centrate sui temi del gioco, della manipolazione dei materiali e dell’educazione dello sguardo. Quelle per adolescenti invitano a un approccio critico all’opera d’arte, attraverso la messa in discussione dei propri schemi visivi e percettivi. Tramite l’osservazione, la narrazione e la sperimentazione, i ragazzi vengono sollecitati a confrontarsi con l’opera in modo personale, partendo dall’esperienza per costruire la conoscenza. La proposta per gli adulti viene declinata in due diverse possibilità: agli insegnanti, educatori e operatori culturali viene offerto un workshop attivo di approfondimento sulla mostra; al pubblico generico vengono offerti incontri con artisti, esperti dei mestieri d’arte, docenti dell’Accademia di Belle Arti che raccontano dall’interno la nascita dell’opera, coinvolgendo il gruppo in esperienze di apprendimento attivo.
Da chi è formato lo staff e qual è la metodologia seguita?
Lo staff è formato da una responsabile (la sottoscritta) e da Paola Boccaletti, che svolge anche funzioni di assistente alla curatela. La collaborazione, come dicevo, è però costante con tutto il personale e quindi esiste un’estrema facilità nel passaggio delle informazioni e nella condivisione dei contenuti. Si è formato in questi due anni un gruppo affiatato e preparato, che ha seguito questa scommessa fin dal suo nascere. La decisione di avere una responsabile con una formazione personale legata alla storia dell’arte, ma soprattutto con una stretta appartenenza all’ambito didattico e pedagogico, è stata una scelta forte da parte del museo, credo proprio nel manifestare la sua attenzione ai pubblici, un cercare la modalità più appropriata per entrare in contatto con le diverse realtà. Per quanto riguarda la metodologia, i punti nodali di tutte attività proposte sono sempre: il legame imprescindibile con le opere in mostra; l’attenzione alla tecnica utilizzata, fin dalle esperienze pensate per i bambini più piccoli; la diversificazione e la complessità nello spessore contenutistico a seconda delle età e della tipologia dei soggetti coinvolti. I riferimenti didattici quindi spaziano ovviamente da Dewey a Munari, da De Bartolomeis a Dallari, da Stern a Steiner, da Arnheim a Read, o ritornando in ambito strettamente museale da Anna Pironti a Cristina Francucci, dalle esperienze di tutti i grandi musei italiani e internazionali, come, per citarne solo alcuni: il Mart, il Mambo, il Macro, il Guggenheim, senza dimenticare le grandi scuole dell’infanzia di Reggio Emilia che hanno sperimentato negli anni un forte contatto anche con l’arte contemporanea.
Significativa mi sembra la vostra scelta di aprire un vero e proprio sportello di consulenza didattica…
Sì, si stratta di uno sportello di consulenza gratuita per insegnanti e operatori culturali, in cui offriamo una visita alla mostra, scegliendo insieme agli insegnanti le opere da mostrare ai ragazzi, condividendo i percorsi e permettendo così un inserimento produttivo nella progettazione dei docenti. Per ogni nuova esposizione realizziamo due giornate di formazione sulla mostra, con visita guidata e “prova” dei laboratori, in questa occasione distribuiamo il materiale informativo, comprensivo di didascalie, piantina dello spazio con opere collocate, foto di alcune opere, brani letterari inerenti, in modo che lo stesso insegnante possa pensare a cosa può per lui e per la sua classe essere più interessante. Un materiale che renda più consapevole la visita, che muova curiosità e domande. In quell’occasione consegniamo anche un questionario in cui chiediamo agli insegnanti di rispondere ad alcune domande, ad esempio su come vorrebbero i laboratori, su come preferirebbero che fossero realizzate le visite, con un’ultima domanda sibillina Chiedi tutto quello che non hai mai osato ad un museo?.
Qual è stata la riposta fino ad oggi?
La risposta è stata buona finora, anche se inserirsi in una città ricca di occasioni e musei come Milano non è sicuramente facile; teniamo conto anche che si tratta di arte contemporanea, un’arte che deve essere esplorata e accettata ancora da tanti, ma questo rende la sfida molto più interessante, perché affrontando il territorio della contemporaneità, affrontiamo anche la vita in cui siamo immersi, che ha in sé tutte le potenzialità che si squadernano di fronte a noi o come dice De Bartolomeis, con questo confermando il valore educativo della proposta, “l’arte contemporanea è l’arte del nostro tempo; muta con noi e non possiamo disinteressarcene senza restare esclusi da importanti fatti culturali”. Questo contatto però deve passare necessariamente attraverso un’educazione visiva che è anche pratica del fare, l’opera diventa allora un corpo esposto con cui ci confrontiamo, un percorso di lavoro che non dà certezze, ma che propone anche ai bambini un cammino personale. La grande scommessa è quella di rendere il museo un luogo estremamente familiare, in cui è un piacere ritornare, dove si ha voglia di vedere e rivedere le opere, al di là della visita guidata.
Per l’anno scolastico in corso avete in cantiere qualche particolare proposta o collaborazione?
Il progetto, tra gli altri, a cui teniamo in modo particolare è quello realizzato con l’Istituto dei ciechi di Milano: si intitola Un museo senza confini e si tratta di un percorso che prevede una doppia fruizione sia per i vedenti, sia per i non vedenti. L’Istituto dei ciechi ci ha supervisionato, ci ha formato grazie al lavoro dei suoi validissimi esperti, e, con l’apporto di Aurelio Sartorio, ha realizzato delle tavole tattili che permettono di esplorare il linguaggio di Arnaldo Pomodoro. Lo stesso Aurelio, insieme allo staff della sezione didattica, ha intervistato il maestro, ha studiato profondamente le sue opere fino a giungere a una schematizzazione, di alcuni passaggi del suo lavoro. Il laboratorio è stato poi allestito in modo completamente nuovo, progettando scatole con vari materiali da indagare con le mani, pannelli da esplorare tattilmente, materiali consegnatici direttamente dallo studio del maestro legati alle opere in mostra. Si tratta, fondamentalmente, di riscoprire il senso del tatto godendo di tutte le sensazioni, riappropriandoci di percezioni da tempo dimenticate, ed esplorando direttamente anche il modello di una scultura in mostra messo proprio a disposizione in laboratorio. Per essere capaci di accogliere adeguatamente i non vedenti abbiamo seguito un corso di formazione che ha coinvolto anche il personale della guardiania, il corso tenuto presso l’Istituto dei ciechi e poi direttamente alla Fondazione ci ha consentito di capire come fare a proporre la mostra. Arnaldo Pomodoro ha consentito di far toccare tre opere esposte esclusivamente ai non vedenti per permettere la conoscenza dell’opera diretta oltre che quella mediata dalle tavole didattiche.
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