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A cosa serve l’arte? “Forse serve a vivere meglio”, risponde Cristina Francucci in Educare all’arte. Tale affermazione pare anche la risposta di un percorso didattico, proposto alle medie inferiori, in cui l’opera si affronta non solo come testo, ma soprattutto in qualità di pretesto. Ho scelto te perché, ideato dal Dipartimento educativo del Mambo – diretto dalla stessa Francucci – per le opere di recente acquisizione riunite nella mostra Focus on Contemporary Italian Art riconferma l’assoluta validità metodologica che, fin dai suoi esordi, ha caratterizzato l’attività didattica dell’istituzione bolognese.
Il riscontro che arte, estetica e pedagogia s’incontrino e dialoghino realmente in queste sale lo si avverte in primo luogo ascoltando le parole con cui Silvia Spadoni accoglie la classe, presentando gli spazi dell’ex-Forno del pane.
Il Mambo diventa così, sin da subito, un luogo delle emozioni, una “scatola” delle memorie, uno spazio in cui aleggia l’energia dei ricordi di cui le sale sono custodi. I ragazzi, affascinati dagli stimoli dell’operatrice, notano velocemente i materiali anomali delle opere della collezione, riflettono sulle peculiarità di un lavoro artistico contemporaneo, cogliendone la forza seduttiva. Grazie a un approccio all’arte di tipo fenomenologico, i giovani fruitori intuiscono la direzione di senso che il percorso avrà e la finalità del loro incontro con le opere; in effetti, nessuna nozione di storia dell’arte viene impartita, ma il metodo dialogico, utilizzato nella prima fase, mira a far riflettere su diversi e complessi concetti: estetica (come percezione plurisensoriale), fruizione (come azione attiva), gusto personale (come formazione dell’identità) e funzione delle arti rispetto alla quotidianità (come motori dell’immaginario).
La consegna principale è farsi sedurre esteticamente da un’opera, innamorarsi di uno degli oggetti artistici esposti, sentire col cuore se un quadro o un’installazione ci stia chiamando a sé, osservarlo come se fosse un’“epifania” e scegliere l’“opera del cuore”.
Nella seconda fase, il percorso prevede questa scelta, in piena autonomia, da parte di ogni ragazzo, il quale viene dotato di una mascherina (per isolarsi e sentire l’opera con il cuore, al di là della vista), di una matita e di una scheda da compilare di fronte al lavoro. Il passo successivo è l’associazione, per assonanza, denominata Mi ricorda l’opera, di un oggetto quotidiano fra i tanti offerti in una scatola, che il ragazzo posa vicino al lavoro preferito. Infine, l’esposizione davanti ai compagni delle ragioni che l’hanno fatto “innamorare”, inducendolo quindi a soffermarsi su quel lavoro in particolare.
Questo “percorso sentimentale”, aggiunge Spadoni, dimostra come l’arte contemporanea possa trasformarsi in un ottimo pretesto per raccontare e raccontarsi, per guardare, una volta fuori dal museo, la realtà in modo diverso, e svela quanto le opere siano in grado di divenire magnifici strumenti che, favorendo l’immaginario, stimolano ciò che potenzialmente siamo. Tale approccio ermeneutico all’arte, in cui “l’interpretazione diviene trasformazione”, favorisce la percezione dell’opera come “vissuto estetico” (Marco Dallari) e spinge anche i fruitori, a partire dai più piccoli, a leggere l’arte attraverso metafore, paradigmi e simboli, con la finalità del raggiungimento di autonomia, capacità critica e facoltà di scelta.
Al Mambo è possibile partecipare anche al percorso animato dedicato a Giorgio Morandi. Tutto ha inizio in una sala allestita con le suggestive gigantografie in bianco e nero dello studio-camera del pittore; ed è proprio dai luoghi e dagli oggetti di Morandi che l’operatrice costruisce un dialogo aperto con i bambini della scuola primaria, focalizzando la loro attenzione, dopo un breve cenno relativo al contesto storico, sui concetti di oggetto inanimato, natura morta e sulla presenza costante, in questa pittura, di bottiglie, tazzine, vasi, ciotole, scatole.
Insomma, s’inducono i bimbi a osservare la quasi totale dominanza dell’oggetto quotidiano e comune quale protagonista dei lavori dell’artista, con l’obiettivo di spostare la direzione di senso del percorso verso una riflessione sull’oggetto che, da quotidiano, si trasforma in oggetto d’affezione, capace di conservare le nostre memorie, custode dei racconti del tempo e testimone del trascorrere degli anni. Attraverso tale metodo dialogico, le opere divengono aperte, si trasformano in “momenti di lettura visivo-poetica, dove l’esperienza estetica diventa al contempo: paradigma di senso, ricezione e conoscenza” (Marco Dallari).
I quadri mostrati durante la visita sono volutamente pochi (quasi tutte nature morte) e selezionati con l’obiettivo di rimarcare l’importanza, per Morandi, dei soggetti dipinti e con la finalità di comunicare come anche una cosa ordinaria possa assumere per ognuno di noi un’importanza straordinaria, grazie alla facoltà di associarle ricordi, sentimenti, affetti. Interessante è osservare come, con questa metodologia, bambini così piccoli com-prendano la pittura di Morandi, la sua “maniacalità” per alcuni motivi ricorrenti, il suo affetto per lo studio-stanza. Forse, per alcuni aspetti, i piccoli più facilmente degli adulti ritrovano in alcuni elementi della poetica morandiana una parte del loro mondo ancora bisognoso di un rifugio, di un mio, dove importante diviene il legame con il giocattolo e con il gioco.
Il percorso Tracce e memorie di oggetti quotidiani, dopo aver svelato anche alcuni elementi biografici singolari di Morandi e rilevato alcuni segreti della sua pittura, prosegue nel laboratorio. Tre sono le proposte: il disegno (segno); il timbro (traccia); il gesso (forma). Una volta divisa la classe in gruppi, ogni bimbo ha l’opportunità di sperimentare tutte e tre le tecniche: ritrarre dal vero una composizione di oggetti morandiani con differenti strumenti su un foglio da spolvero; spennellare di bianco la superficie esterna di una parte di oggetti con texture differenti, per poi col rullo ottenerne un’impronta su cartoncino; lavorare con il gesso ottenendo la forma di un oggetto attraverso il suo calco.
Nella metodologia del Mambo, il fare con le mani è il momento in cui il bambino rielabora i paradigmi di senso compresi in mostra e attraverso la creatività, intesa come attività combinatoria, supera lo “shock estetico” (Marco Dallari), trasformandolo in vissuto personale. Il fine ultimo di queste attività è la formazione di personalità originali, di soggetti che sappiano liberamente superare la categoria dell’obbedienza, per giungere consapevolmente all’autodeterminazione del sé, in quanto “l’arte, dovrebbe essere sempre vissuta come creazione di nuova esperienza” (John Dewey).
Il riscontro che arte, estetica e pedagogia s’incontrino e dialoghino realmente in queste sale lo si avverte in primo luogo ascoltando le parole con cui Silvia Spadoni accoglie la classe, presentando gli spazi dell’ex-Forno del pane.
Il Mambo diventa così, sin da subito, un luogo delle emozioni, una “scatola” delle memorie, uno spazio in cui aleggia l’energia dei ricordi di cui le sale sono custodi. I ragazzi, affascinati dagli stimoli dell’operatrice, notano velocemente i materiali anomali delle opere della collezione, riflettono sulle peculiarità di un lavoro artistico contemporaneo, cogliendone la forza seduttiva. Grazie a un approccio all’arte di tipo fenomenologico, i giovani fruitori intuiscono la direzione di senso che il percorso avrà e la finalità del loro incontro con le opere; in effetti, nessuna nozione di storia dell’arte viene impartita, ma il metodo dialogico, utilizzato nella prima fase, mira a far riflettere su diversi e complessi concetti: estetica (come percezione plurisensoriale), fruizione (come azione attiva), gusto personale (come formazione dell’identità) e funzione delle arti rispetto alla quotidianità (come motori dell’immaginario).
La consegna principale è farsi sedurre esteticamente da un’opera, innamorarsi di uno degli oggetti artistici esposti, sentire col cuore se un quadro o un’installazione ci stia chiamando a sé, osservarlo come se fosse un’“epifania” e scegliere l’“opera del cuore”.
Nella seconda fase, il percorso prevede questa scelta, in piena autonomia, da parte di ogni ragazzo, il quale viene dotato di una mascherina (per isolarsi e sentire l’opera con il cuore, al di là della vista), di una matita e di una scheda da compilare di fronte al lavoro. Il passo successivo è l’associazione, per assonanza, denominata Mi ricorda l’opera, di un oggetto quotidiano fra i tanti offerti in una scatola, che il ragazzo posa vicino al lavoro preferito. Infine, l’esposizione davanti ai compagni delle ragioni che l’hanno fatto “innamorare”, inducendolo quindi a soffermarsi su quel lavoro in particolare.
Questo “percorso sentimentale”, aggiunge Spadoni, dimostra come l’arte contemporanea possa trasformarsi in un ottimo pretesto per raccontare e raccontarsi, per guardare, una volta fuori dal museo, la realtà in modo diverso, e svela quanto le opere siano in grado di divenire magnifici strumenti che, favorendo l’immaginario, stimolano ciò che potenzialmente siamo. Tale approccio ermeneutico all’arte, in cui “l’interpretazione diviene trasformazione”, favorisce la percezione dell’opera come “vissuto estetico” (Marco Dallari) e spinge anche i fruitori, a partire dai più piccoli, a leggere l’arte attraverso metafore, paradigmi e simboli, con la finalità del raggiungimento di autonomia, capacità critica e facoltà di scelta.
Al Mambo è possibile partecipare anche al percorso animato dedicato a Giorgio Morandi. Tutto ha inizio in una sala allestita con le suggestive gigantografie in bianco e nero dello studio-camera del pittore; ed è proprio dai luoghi e dagli oggetti di Morandi che l’operatrice costruisce un dialogo aperto con i bambini della scuola primaria, focalizzando la loro attenzione, dopo un breve cenno relativo al contesto storico, sui concetti di oggetto inanimato, natura morta e sulla presenza costante, in questa pittura, di bottiglie, tazzine, vasi, ciotole, scatole.
Insomma, s’inducono i bimbi a osservare la quasi totale dominanza dell’oggetto quotidiano e comune quale protagonista dei lavori dell’artista, con l’obiettivo di spostare la direzione di senso del percorso verso una riflessione sull’oggetto che, da quotidiano, si trasforma in oggetto d’affezione, capace di conservare le nostre memorie, custode dei racconti del tempo e testimone del trascorrere degli anni. Attraverso tale metodo dialogico, le opere divengono aperte, si trasformano in “momenti di lettura visivo-poetica, dove l’esperienza estetica diventa al contempo: paradigma di senso, ricezione e conoscenza” (Marco Dallari).
I quadri mostrati durante la visita sono volutamente pochi (quasi tutte nature morte) e selezionati con l’obiettivo di rimarcare l’importanza, per Morandi, dei soggetti dipinti e con la finalità di comunicare come anche una cosa ordinaria possa assumere per ognuno di noi un’importanza straordinaria, grazie alla facoltà di associarle ricordi, sentimenti, affetti. Interessante è osservare come, con questa metodologia, bambini così piccoli com-prendano la pittura di Morandi, la sua “maniacalità” per alcuni motivi ricorrenti, il suo affetto per lo studio-stanza. Forse, per alcuni aspetti, i piccoli più facilmente degli adulti ritrovano in alcuni elementi della poetica morandiana una parte del loro mondo ancora bisognoso di un rifugio, di un mio, dove importante diviene il legame con il giocattolo e con il gioco.
Il percorso Tracce e memorie di oggetti quotidiani, dopo aver svelato anche alcuni elementi biografici singolari di Morandi e rilevato alcuni segreti della sua pittura, prosegue nel laboratorio. Tre sono le proposte: il disegno (segno); il timbro (traccia); il gesso (forma). Una volta divisa la classe in gruppi, ogni bimbo ha l’opportunità di sperimentare tutte e tre le tecniche: ritrarre dal vero una composizione di oggetti morandiani con differenti strumenti su un foglio da spolvero; spennellare di bianco la superficie esterna di una parte di oggetti con texture differenti, per poi col rullo ottenerne un’impronta su cartoncino; lavorare con il gesso ottenendo la forma di un oggetto attraverso il suo calco.
Nella metodologia del Mambo, il fare con le mani è il momento in cui il bambino rielabora i paradigmi di senso compresi in mostra e attraverso la creatività, intesa come attività combinatoria, supera lo “shock estetico” (Marco Dallari), trasformandolo in vissuto personale. Il fine ultimo di queste attività è la formazione di personalità originali, di soggetti che sappiano liberamente superare la categoria dell’obbedienza, per giungere consapevolmente all’autodeterminazione del sé, in quanto “l’arte, dovrebbe essere sempre vissuta come creazione di nuova esperienza” (John Dewey).
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La videorecensione della mostra
gisella vismara
la rubrica didattica è diretta da annalisa trasatti
MAMBo- Dipartimento educativo
Via Don Minzoni, 14 (zona piazza dei Martiri) – 40121 Bologna
Info: tel. +39 0516496628; mamboedu@comune.bologna.it; www.mambo-bologna.org
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