E lo spunto?
Carlo, il bambino di Massimo [Biava, la generazione più giovane dei proprietari, N.d.R.], ha quattro anni e va all’asilo. Questo ha fatto scattare il desiderio di mettere a disposizione dei bambini e delle loro famiglie l’esperienza dell’arte, farla entrare nella scuola, proporla come un piccolo pezzo del loro percorso educativo. L’obiettivo era che i bambini individuassero la galleria come uno dei luoghi della città, insieme alla piazza con le giostre, la scuola, la casa; posti, tutti, dove si compiono azioni diverse, s’incontrano persone, si usano strumenti, si collocano affetti.
Dovendo lanciare un progetto didattico nuovo sul territorio (per argomento e per modalità) abbiamo scelto la classe di Carlo – che frequenta il primo anno della Scuola Materna Santa Luisa di Sarzana – per testare il percorso. Ma alla base di tutto c’è la consapevolezza che lavorare con i bambini così piccoli può essere un’esperienza straordinaria. L’offerta didattica per i bambini e ragazzi dai sei anni in avanti è diversificata sul territorio e moltissime sono le proposte alle scuole e che vengono dalle sezioni didattiche di soprintendenze, musei, istituzioni varie. Per i più piccoli quest’offerta è più limitata.
Qual è la metodologia adottata e quale il progetto educativo elaborato?
Abbiamo innanzitutto deciso di progettare attorno alle mostre che vengono organizzate dalla galleria. La prima esperienza ruota attorno al lavoro di Mirco Marchelli, che ha avuto una mostra personale alla Cardelli & Fontana da dicembre 2008 a gennaio 2009. Abbiamo cercato d’individuare alcune tematiche di lavoro presenti nella mostra di Mirco e le abbiamo confrontate con quelli che sono gli obiettivi e le attività del percorso formativo dei bambini di tre anni, costruendo una griglia di nostri obiettivi che consolidassero una serie di esperienze che i bambini fanno a scuola e introducendone, al contempo, di nuove e sempre confrontabili e verificabili con i lavori che erano presenti in galleria. Insieme a Mirco abbiamo deciso di lavorare sul ritmo, sul segno, sui materiali, sui volumi.
In pratica?
Il percorso – pensato da me e da Antonella Malfatti, seguito da Giulia Coppola e David Fochi – si è strutturato in quattro incontri: uno a scuola e gli altri in galleria. Nel primo abbiamo raccontato i lavori di Marchelli, mostrando una serie d’immagini e sollecitando alcune riflessioni in merito a linguaggi, colori, temi, segni; e approfondendo, con una serie di esercizi, la questione del ritmo. In galleria e durante gli altri appuntamenti abbiamo poi lavorato sull’osservazione dei lavori visti “dal vivo”, guardandoli, toccandoli e strutturando un laboratorio sul segno e sul colore. I risultati sono stati infine esposti in galleria, inaugurando una mostra dei manufatti dei bambini esposti accanto ad alcuni lavori di Mirco.
Quali le riflessioni e i risultati emersi?
Se si ha la fortuna di lavorare con artisti che possono essere presenti in alcune fasi del percorso e che interagiscono con i bambini,i risultati possono essere potenziati. In questi casi si creano relazioni e dall’astrattezza di passa alla concretezza: l’artista diventa una persona che usa dei materiali in relazione a un progetto complesso che i bambini sono in grado di fare proprio e sintetizzare. La parte del laboratorio è fondamentale rispetto all’apprendimento: citando Munari, rimane sempre vera la considerazione “se faccio capisco”. L’esposizione degli elaborati costituisce un momento importante di confronto e discussione.
Progetti e collaborazioni future?
Vedremo per il prossimo anno scolastico se sarà possibile proporre il progetto, una volta testato, anche ad altre scuole.
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Giuseppe Maraniello a Sarzana
a cura di annalisa trasatti
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