Categorie: didattica

didattica_resoconti | Il museo, la città, gli uomini | Ravenna, Teatro Alighieri

di - 8 Febbraio 2008
Bisogna bruciare i musei di etnografia? Così intitolava un suo articolo, nel 2004, Maria Camilla De Palma sulla rivista “Economia della cultura”. Non la pensano così i relatori convenuti a Ravenna per la XIV edizione del Corso Scuola e Museo, per cui i Musei etnografici, gli Ecomusei e i Musei della città sono luoghi in cui gli stessi cittadini si devono riconoscere e conoscere il passato del luogo in cui vivono (sia esso la città o l’intero globo terrestre).
Anche se spesso sembra dover combattere contro il narcisismo del grande museo che celebra se stesso, uno per tutti il Guggenheim di Bilbao, non si deve dimenticare la grande funzione sociale di questo luogo della memoria, che permette di svegliare la nostra curiosità e formulare sempre nuove domande. Meglio ancora quindi, se queste domande sono rivolte a noi stessi e al quartiere in cui viviamo. Altrettanto spesso, però, si cede ai ritmi del mercato e alle esigenze commerciali, come denuncia Pietro Clemente, e il patrimonio culturale viene quindi penalizzato con scelte discutibili per rispondere ai meccanismi di profitto che pure non possono rimanere inconsiderati.
Un interessante intervento che ha esposto una relazione sull’attività pratica dell’Ecomuseo di Torino è stato quello di Vincenzo Simone, dirigente del settore Educazione al patrimonio culturale della città di Torino. Il cittadino, attraverso archivi e centri di interpretazione, è chiamato in prima persona a prendersi cura del patrimonio della propria città, al fine di preservarlo dall’oblìo e trasmetterlo alle nuove generazioni. L’esperto diventa quindi l’abitante, sia esso residente da generazioni nello stesso luogo oppure un immigrato in cerca della propria identità sociale locale.
Una collaborazione diretta con il mondo della scuola è invece data dalla proposta di censimento di tutto il materiale didattico scolastico, al fine di inserirlo nella memoria collettiva della città. Ulteriori interventi della giornata hanno visto alternarsi riflessioni da parte di Valentina Lusini sugli artisti africani contemporanei e la loro ricerca di una più definita identità, e l’esperienza diretta da Vito Lattanzi in qualità di Direttore del servizio educativo del Museo Etnografico Pigorini di Roma. Quest’ultimo ha introdotto il ben noto concetto di didattica delle differenze che, in un museo archeologico-etnografico, permette di sperimentare nel bambino come nell’adulto una valorizzazione e una visione più cosciente delle diversità.

Passando inoltre per una didattica che si fonda sulle esperienze e non solo su lezioni frontali -ormai è assodato, queste ultime non lasciano nulla o quasi ai visitatori di un museo o di una collezione- i musei etnografici e gli ecomusei possono concretamente contribuire a una maggiore coscienza del mondo che ci circonda e quindi a una nostra più consapevole identità, incarnando meglio di altri la natura propria del Museo moderno.

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vissia lucarelli


30 ottobre 2007
XIV Corso Scuola e Museo – Il museo, la città, gli uomini
a cura del Sistema Museale della Provincia di Ravenna
Teatro Alighieri
Via Mariani, 2 – 48100 Ravenna
Info: tel. +39 054435142; sistemamusei@mail.provincia.ra.it; dev.racine.ra.it/sistemamusei/

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  • VITTORIO DEL PIANO INTRERVIENE...SULL'ARTE,SULLA FUNZIONE E IL SUO DESTINO(2003), PER QUALE MUSEO?

    iL DESTINO DELL’ARTE, OGGI.

    Da qualche tempo, in verità, sull’arte, sulla funzione e il suo destino, ci si va interrogando da più parti. E proprio tra le arti visive, dalle aree tradizionali (pittura, scultura, grafica, fotografia) a quelle nuove “non tradizionali” (prodotte dai nuovi media), per i più e vari sconfinamenti che si registrano da tempo insistentemente, molti si pongono interrogativi diversi sul destino dell’arte: sull’opera d’arte, sull’artista, sul critico, sulla società.
    Per alcune considerazioni sul destino dell’arte bisogna osservare che: l’inflazione della cultura visiva, il bombardamento d’immagini e d’informazioni con l’accelerazione di ogni comunicazione (anche della “comunicazione estetica”), dovuta alla grande potenza e all’invadenza dei vari media nella vita di ognuno noi oggi che con la loro onnipotenza condizionano, orientano sempre più i consumi, le nostre abitudini, i gusti, il modo di vivere e di pensare.
    Nel sottolineare che i media hanno inciso (e incidono) molto, con tutta la loro complessità anche nell’arte, è’ bene non dimenticare le idee sui media di Marshall MecLuhan, di grande importanza (sin dagli anni Sessanta) nell’universo dei mezzi di comunicazione massa per i modi nuovi di analizzare il sistema dei media nel “villaggio planetario”.
    Dal punto di vista semiologico, si sa che l’arte è, appunto, fra tutti i sistemi di segni, il più complesso e oggi più che mai -mi riferisco particolarmente a quella visiva- ha un’ampia gamma di modelli comunicativi con possibilità di un’iterscambio continuo tra i vari media. E senza una conoscenza del funzionamento dei media, è impossibile capire i mutamenti sociali e culturali.
    Devo riconoscere che sui problemi teorici dell’arte d’oggi, si fanno vari discorsi (sulla fine dell’età moderna, sulla morte delle ideologie di eterni “ritorni”, sulla fine dei movimenti....) e in tutte le occasioni viene fuori il gran disagio che c’è (psicologico, sociale, economico, ecc.), perché sta cambiando tutto, drammaticamente e rapidamente non solo nell’arte, ma nel mondo.
    Già nel 1984 a Nizza, nel “Programma e progetto: Mediterranea & Arte-Pura /Il manifesto-2” annotavo che: ”I sintomi di una crisi planetaria dell’Arte si vanno registrando ovunque. La soluzione della crisi esige una radicale trasformazione del modo di fare arte (per trasformarla occorre farla vivere come Arte-Pura).”
    Oggi mi rendo maggiormente conto di questa condizione culturale e d’impasse, in cui tutta l’arte contemporanea (e non solo), si trova. E ancora una volta, a me pare esatta la situazione attuale dell’arte chiarita dal noto critico esperto d’arte internazionale Pierre Restany, qualche mese fa in una intervista: “L’arte non è morta, le opere si” (“Il Giornale” 13 novembre 2002). Il suo pensiero sull’arte, gli artisti, i movimenti è di grande realismo e quanto afferma qui di seguito: “L’opera d’arte, su un piano filosofico, ha già detto tutto. Oggi c’è solo spazio per un’arte che si faccia vettore umanista della comunicazione, cioè che riesca ad inserirsi direttamente nei meccanismi e negli strumenti della comunicazione. Se ciò non avviene, l’artista ha fallito anche perchè, nella cultura, l’era delle torri d’avorio è finita”, non posso che sottoscriverlo totalmente, per meglio chiarire questo mio intervento sul destino dell’arte, oggi.

    Taranto, 21 dicembre 2002. Vittorio Del Piano

    è stato pubblicato sul Corriere del Giorno del 3 gennaio 2003.-

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