Ai Weiwei mostra il dito medio alla Volkswagen ma non si ferma ai gestacci. L’artista cinese dissidente per eccellenza ha infatti portato in tribunale il colosso tedesco dell’automobile per violazione del copyright. Oggetto del contendere è una pubblicità del 2017, nella quale, sullo sfondo, compare
Soleil Levant, un’installazione di 3500 giubbotti di salvataggio color arancio brillante, usati dai migranti sbarcati a Lesbo, in Grecia. Ai Weiwei realizzò l’opera per il World Refugee Day e fu presentata sulla facciata della Kunsthal Charlottenborg, a Copenaghen. Chissà se questa mossa porterà fortuna alla grande personale che ha appena aperto sempre in Germania,
alla Kunstsammlung NRW di Düsseldorf.
«Non sono stato accreditato come artista e la mia immagine è stata presa senza permesso», screveva su Instagram, a marzo. «Il materiale è stato distribuito a oltre 200mila persone, dando la falsa impressione che io abbia autorizzato Volkswagen a utilizzare le mie opere nel suo annuncio», aggiungeva. «Sono rimasto stupito dalle sfacciate violazioni della Volkswagen sulla mia proprietà intellettuale e sui miei diritti morali». E per rincarare la dose, poco prima del processo, che è iniziato il 22 maggio, l’artista ha postato un selfie con il famoso dito puntato contro l’altrettanto iconico logo della Volkswagen.
L’artista ha sostenuto di aver fatto ricorso alle vie legali dopo più di un anno di infruttuosi negoziati, durante i quali la compagnia «Si è impegnata solo in gesti arroganti per sminuire la loro colpa e liquidare la questione». Immancabile anche il versante macropolitico, visto che Ai Weiwei ha fatto anche riferimento all’ipocrisia della casa automobilistica, che sta ampliando la sua quota di mercato in Cina, chiudendo un occhio e mezzo sulla questione dei diritti umani dei lavoratori cinesi, che sta molto a cuore all’artista. «La casa automobilistica tedesca è così profondamente coinvolta negli affari cinesi che due fonti affidabili confermano che figure di spicco associate a Volkswagen hanno esercitato pressioni informali sul ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas, per non parlare del programma di internamento di massa di musulmani e altri nemici ideologici nello Xinjiang, quando Mass visitò il suo omologo Wang Yi, nel novembre 2018», ha dichiarato Weiwei a un giornale di Hong Kong.
Un rappresentante della compagnia ha riferito che l’uso delle opere di Weiwei è dovuto solo a una “coincidenza” – fortunata o sfortunata lo diremo dopo la sentenza – dopo una giornata passata a fotografare l’auto in bellissime località nei dintorni di Copenhagen. Ma Ai Weiwei non crede alla casualità: «Questo bullismo aziendale saccheggia il frutto del lavoro altrui, intimidisce le persone che cercano di far valere i propri diritti e mostra disprezzo per i codici umanitari ed etici».