Sempre più chi compra arte non lo fa solo per passione. I dati parlano chiaro: come riferisce l’autorevole Deloitte Art & Finance Report 2017, almeno due persone su tre dichiarano di non acquistare opere d’arte soltanto per fattori emotivi, ma con il dichiarato intento di investire, per accumulare riserve di valore o diversificare il proprio patrimonio. E la percentuale degli intervistati potrebbe anche aumentare, se è vero che, a quanto dicono gli operatori di settore, quasi il 90 per cento dei propri clienti acquisterebbe oggetti da collezione per realizzare progetti di wealth management.
È piuttosto facile comprendere le ragioni di questo nuovo fenomeno e, in generale, il crescente interesse per strumenti di investimento alternativi a tutela dei propri risparmi.
L’economia globale ci espone a fattori di insicurezza spesso inauditi fino a pochi decenni or sono: e volatilità dei mercati, svalutazioni monetarie, aumento dei prezzi, instabilità dei governi, default di economie nazionali sono all’ordine del giorno. Un’opera d’arte resta insensibile alle oscillazioni dei mercati finanziari e, pur in periodi di crisi economica, tende a mantenere un valore costante.
Si badi, però: l’arte non è percepita solo come un bene rifugio, capace al pari di oro, diamanti e metalli preziosi, di immobilizzare il valore finanziario di acquisto; nelle intenzioni degli speculatori, è un vero e proprio investimento in un asset di cui si attende un ritorno e un maggior valore.
Quali sono le regole per investire, allora? Non esiste, come ovvio, la formula del successo; piuttosto, vanno ponderati con attenzione fattori di rischio e vantaggi.
Innanzitutto, occorre scegliere l’opera: diverso sarà il valore, presente e futuro, a seconda dell’autore, periodo storico (relativo alla biografia dell’artista e alla temperie culturale del momento), il fatto che l’opera sia autentica, attribuita o di incerta attribuzione.
È noto, ad esempio, come le opere dell’arte classica mantengano prezzi piuttosto stabili, giacché incontrano un giudizio consolidato nel pubblico e nella critica; l’arte contemporanea, invece, salvo per autori già affermati, mostra più incertezze nelle quotazioni.
Maggiore propensione al rischio deve certo avere chi pensa di acquistare opere di un artista emergente; è incerto se e quando il mercato riconoscerà a tali lavori un valore (anzitutto artistico) atto a tradursi nel rendimento economico atteso. In questi casi è importante capire anche se e come un artista sia supportato da una galleria rinomata o se graviti già in un certo mondo del collezionismo: solo a certe condizioni sarà ragionevole aspettarsi un boost della sua produzione artistica.
L’impiego di nuove tecnologie, inoltre, ha esteso il concetto di “opera d’arte” a espressioni artistiche ignote al passato, come installazioni, videoriproduzioni, o addirittura creazioni mediante stampa 3D e blockchain. Investire in un mercato dell’arte dagli orizzonti incerti può sembrare un azzardo, ma è anche l’occasione migliore per “piazzarsi” per primi tra i collezionisti.
Non dimentichiamoci, poi, che il mondo dell’arte è globale: non deve stupire la recente attenzione per l’arte africana e aborigena, a lungo confinate in qualche sala di museo. Pure l’arte contemporanea del far east riscuote sempre maggiore consenso; e non è un caso che siano battute all’asta o esposte in centri della finanza mondiale, come Singapore e Hong Kong.
Certo, non sempre un investimento nell’arte è redditizio nell’immediato e talora nemmeno a medio-lungo termine. Ma anche avere più solide prospettive sulla resa dell’investimento ha un costo: per opere di questo tipo si chiedono prezzi di regola esorbitanti, che non sono ovviamente alla portata di tutti.
Chi si affaccia sul mercato dell’arte, però, può limitare il proprio budget a qualche decina o centinaia di migliaia di euro; può creare collezioni già di un certo pregio o acquistare opere di giovani artisti contemporanei sperando che possano incrementare il loro valore nel tempo. In fondo, il mercato dell’arte può accontentare tutti i gusti: e sempre più nelle aste, specie virtuali, vengono battuti lotti anche per poche centinaia o migliaia di euro.
Di pari passo, le forme di wealth management divengono sempre più sofisticate: si possono costituire veicoli ad hoc – società, associazioni, trust – per gestire e valorizzare i beni acquistati in vista della loro distribuzione (o dismissione), specie nei rapporti tra i propri eredi.
Innovativa, e piuttosto pionieristica, è l’esperienza degli art fund: collezioni d’arte sono convertite nel patrimonio di un fondo o società di investimento speciale e affidate alla custodia di un depositario istituzionale. Gli investitori si limitano per lo più a sottoscrivere la propria ‘quota’, versare una somma di denaro, e ‘staccare la cedola’ a tempo debito; sono poi gli art fund ad acquistare le opere. A un manager spetta il compito di stilare un documento di offerta, riportare l’andamento finanziario e di gestione, e, soprattutto, pianificare una strategia, in genere di medio-lungo periodo, per accrescere il valore delle opere − con iniziative di marketing, esibizioni, promozione degli artisti – e ricavarne una rendita come asset mediante la vendita, operazioni finanziarie (emissione di bond), o forme di art-lending.
In un sistema simile, l’arte è davvero multidimensionale: richiede competenze legali, fiscali, economiche, oltre a quelle prettamente artistiche. È insomma inevitabile, per chiunque voglia investire nell’arte, avvalersi di validi consulenti.
Al termine di queste considerazioni viene infine da chiedersi: l’art-investor è ancora un appassionato di arte? In realtà non sempre lo è, e ancor più difficile dirlo per chi acquista un’opera e la invia direttamente in un caveau senza mai vederla, sperando solo in un buon rendimento.
Un vero appassionato d’arte, invece, è come un innamorato: basta il piacere di possedere un’opera d’arte, ammirarla in casa, o sentirsi un mecenate, per ripagarlo di ogni investimento!
Dario Covucci – Team Arte LCA Studio Legale
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