Il più famoso caso italiano in materia di appropriation art è quello che ha contrapposto Foundation Alberto et Annette Giacometti, ente di diritto francese deputato alla protezione, alla diffusione e alla promozione dell’opera del noto scultore svizzero Alberto Giacometti, alla Stitching Fondazione Prada, a Prada spa e all’architetto nonché artista statunitense John Baldessari.
In data 19 ottobre 2009 il direttore di Fondazione Prada, Germano Celant, ha chiesto alla Fondazione Giacometti di poter utilizzare due opere dello scultore Alberto Giacometti, in particolare la Grande Femme III e la Grande Femme IV, per un progetto dell’artista John Baldessari intitolato “The Giacometti Variations”, da mettere in atto presso la sede di Fondazione Prada a Milano. Nonostante il rifiuto opposto dalla Fondazione Giacometti, Fondazione Prada ha provveduto ugualmente a dar seguito al progetto di Baldessari, il quale, sostanzialmente, riproduceva – facendola propria – l’opera Grande Femme II di Alberto Giacometti ingrandendola, allungandola e aggiungendovi alcuni “elementi di abbigliaggio”.
Nello specifico Baldessari ha rappresentato nove femmes alte più di 4 metri in resina e acciaio, spruzzate di bronzo, poste in fila come nel corso di una sfilata di moda. Le stesse indossavano diversi abiti ripresi dal mondo del cinema e dell’arte, tra cui il corpetto e il tutù della Petite danseuse de quatorze ans di Degas, l’abito in duchesse rosa di Marylin Monroe, le scarpette rosse di Dorothy del Mago di OZ, la crinolina ottocentesca di Via col Vento, il Trench di Humphrey Bogart in Casablanca e la lunghissima treccia bionda di Raperonzolo. Baldessari dà vita anche ad autonome rappresentazioni come una donna-lampada, una con due giganteschi hula hoop e infine un’ultima con un drappo rosso sorretto da una spada. Tutto ciò con l’intento di dimostrare la celerità attraverso la quale cambiano le tendenze della moda nel tempo (ce ne parlava Germano Celant in un’intervista esclusiva che potete recuperare qui).
Tale comportamento, ovvero l’utilizzo delle sculture di Giacometti in assenza di un’autorizzazione, secondo la Fondazione Giacometti, costituiva violazione del diritto d’autore. Infatti la Legge sul diritto d’autore considera la riproduzione in copie di un’opera e il relativo sfruttamento economico un diritto esclusivo dell’autore il quale, unico, può concedere il proprio consenso al riguardo. È così che, con ricorso del 6 dicembre 2010, Fondazione Giacometti ha agito in giudizio presso la Sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale del Tribunale di Milano, chiedendo l’emanazione di un provvedimento d’urgenza idoneo ad impedire la continuazione della mostra presso la sede di Milano di Fondazione Prada.
Il fatto che alla scultura fossero stati aggiunti accessori e abbigliamento ha poi indotto a pensare che dietro a tale progetto si celasse una finalità pubblicitaria in favore di Prada spa. Il giudice, letto il ricorso – e quindi sulla base delle sole argomentazioni svolte da Fondazione Giacometti – ha ritenuto sin da subito di emettere un provvedimento inibitorio, impedendo a Baldessari la produzione, la commercializzazione, la pubblicizzazione, l’esposizione al pubblico e la diffusione delle copie della Grande Femme II e di disporne il sequestro.
Dopodichè sono stati citati in giudizio anche Fondazione Prada, Prada spa e John Baldessari. I resistenti hanno dapprima sollevato eccezione di carenza di legittimazione attiva della Fondazione Giacometti, ritenendo che la stessa non avrebbe potuto agire in giudizio, come ha fatto, in quanto non titolare dei diritti di natura economica e non economica sulle opere dell’artista.
Nel merito, poi, gli stessi si sono difesi affermando che la loro opera appartiene alla c.d. arte appropriativa attraverso la quale vengono reinterpretate opere preesistenti mutandone il significato. Baldessari nega di aver lavorato per Fondazione Prada o per Prada spa e dichiara di aver allungato le sculture di Giacometti e di averle vestite con abiti ed accessori da lui creati ispirandosi alle ballerine di Edgar Degas. Egli afferma inoltre di non aver riprodotto alcuna specifica opera di Giacometti, ma di essersi riferito in generale alle sue Grandes femmes. L’artista infatti è famoso per le sue molteplici sculture aventi ad oggetto la donna.
Quanto alle questioni preliminari sollevate dai resistenti, il giudice le ha dichiarate infondate. Lo stesso ha ritenuto provato che Fondazione Giacometti ha agito in giudizio sia in veste di erede titolare pro quota indivisa dei 5/8 del patrimonio delle opere dell’artista, sia sulla base dei poteri alla stessa conferiti dallo statuto della Fondazione. Tale statuto infatti riconosce alla Fondazione il diritto di preservare l’identità personale e l’opera di Alberto Giacometti contro il rischio che essa si svaluti cagionando un danno alla sua immagine. Se ciò si avverasse la Fondazione apparirebbe sul mercato negligente per non aver curato la memoria del Maestro. La Fondazione è stata ritenuta pertanto legittimata ad agire in giudizio per la tutela del diritto d’autore dell’artista.
Quanto al merito, il giudice ha invece distinto tra attività di rivisitazione o rielaborazione dell’opera altrui che consiste in un’elaborazione creativa, originale ed autonoma, ancorchè minima, e contraffazione dell’opera frutto di una sostanziale riproduzione dell’opera originale con piccole differenze “di mero dettaglio” al fine di mascherare la contraffazione. Si precisa che il Tribunale pare considerare allo stesso modo la contraffazione ed il plagio di un’opera, quando invece quest’ultimo si caratterizzerebbe per la modalità occulta con la quale viene richiamata l’opera altrui.
Secondo il giudice l’atto creativo è tutelato «purchè suscettibile di manifestarsi nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia», in tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione civile con le sentenze n. 2345 del 10 marzo 1994, n. 20925 del 27 ottobre 2005 e n. 581 del 12 gennaio 2007. Egli ha poi richiamato la sentenza della Corte di Cassazione n. 24594 del 23 novembre 2005, dalla quale si evince che siccome «il carattere creativo e la novità dell’opera sono elementi costitutivi del diritto d’autore» il giudice del merito «prima ancora di verificare se un’opera possa costituire plagio di un’altra» è tenuto a verificare «se quest’ultima abbia o meno i requisiti per beneficiare della protezione richiesta, e ciò sia sotto il profilo della compiutezza espressiva, sia sotto il profilo della novità».
In altre parole, dichiara il Tribunale, «le opere parodistiche, quelle burlesche o ironiche, ma più in generale le opere che rivisitano un’opera altrui (non essendo necessario che ispirino ironia o inducano al riso, ben potendo suggerire messaggi diversi, anche tragici, critici o drammatici), sono tali nella misura in cui mutano il senso dell’opera parodiata, in modo tale da assurgere al ruolo di opera d’arte autonoma, come tale degna di autonoma tutela». A tal fine occorre pertanto considerare l’opera derivata nel suo complesso e valutare se, pur riproducendo quella originale o ispirandosi ad essa, se ne discosti per trasmettere un messaggio artistico diverso.
Il Tribunale ha richiamato la disciplina del fair use statunitense e in particolare i casi Rogers vs. Koons e Blanch vs. Koons. Nel primo caso, ha specificato il giudice, l’artista statunitense Koons è stato accusato dal fotografo Rogers di aver riprodotto sotto forma di scultura una propria fotografia, String of Puppies, ed è stato condannato dalla Corte Federale americana perché tale scultura non costituiva una lecita parodia dell’opera di Rogers, ma tuttalpiù una parodia della società. Al contrario, nel caso relativo alla riproduzione – sempre da parte di Koons – di una fotografia del fotografo americano Andrea Blanch raffigurante due piedi incrociati che indossavano un paio di sandali Gucci, la Corte ha dato ragione a Koons. Lo stesso ha sì utilizzato come base per il proprio dipinto Niagara, la foto in questione, ma trasformandola e realizzando un’opera del tutto nuova.
Nello specifico la Corte americana, per stabilire se vi è fair use – e quindi se la riproduzione sia lecita – tiene in considerazione alcuni fattori citati nel par. 107 della Legge sul diritto d’autore degli USA del 1976: lo scopo ed il carattere dell’uso dell’opera altrui (per valutare se l’uso sia commerciale, educativo o per finalità no profit), la natura del lavoro coperto da copyright, la quantità di opera utilizzata, il potenziale o l’attuale valore di mercato dell’opera originale (valutando se tale uso svilisca il valore dell’opera originaria oppure valga a diffonderla al pubblico). Tale elenco tuttavia non è tassativo, ma meramente esemplificativo.
Nel caso de quo, secondo il giudice, Baldessari è intervenuto con il proprio apporto creativo sulle dimensioni (ingrandendole), sui materiali (aggiungendovi abbigliamento e accessori) e sulle forme (allungandole) delle sculture di Giacometti, esaltando la magrezza della donna per un diverso fine. In particolare, osserva il Tribunale, «le opere di Baldessari non riproducono né si ispirano ad una o all’altra scultura di Giacometti (La grande femme II, III o IV), ma all’immagine in genere data dall’artista alla figura femminile, allungata, sottile, ieratica, semplice icona di un’astratta idea di donna, “scarnificata” per i rigori della guerra nella realizzazione di Giacometti, rivisitata da Baldessari per rappresentare la donna moderna, indotta all’estrema magrezza dalla moda, con una sarcastica riflessione sul moderno corpo femminile e sui riti ed eccessi della moda».
Per Giacometti, quindi, la magrezza della donna è simbolo delle privazioni della guerra, mentre il fisico esile e scarnificato delle rappresentazioni di Baldessari è il risultato delle severe regole e degli stereotipi del mondo della moda. Ciò caratterizza le opere di Baldessari come originali e autonome rispetto a quelle di Giacometti e dunque lecite e tutelate dall’art. 4 della Legge sul diritto d’autore. Inoltre, il giudice ha ritenuto che, essendosi conclusa l’esposizione di “The Giacometti Variations” presso Fondazione Prada, non essendo in programma altre mostre del tipo nonchè non risultando provato dalla difesa di Giacometti il presunto collegamento di tale opera con il marchio Prada, ovvero con Prada spa, è venuta meno la finalità per la quale i provvedimenti cautelari sono stati inizialmente disposti. Di conseguenza, con ordinanza del 13 luglio 2011, il Tribunale di Milano non ha confermato il decreto inaudita altera parte dell’11 dicembre 2010 e ha revocato i provvedimenti cautelari emessi, compensando le spese processuali tra le parti.
La Fondazione Pasquinelli di Milano ha ospitato una serata dedicata alla potenza trasformativa della poesia, unendo immaginazione, natura e vita…
Un nuovo record da Casa d’Aste Martini, a Sanremo, per l'importante vaso imperiale (dinastia Qing, marchio e periodo Qianlong). È…
Un viaggio tra le gallerie e gli spazi d’arte del centro storico di Roma, da Via Giulia al Portico di…
Roma Arte in Nuvola ha aperto le porte della sua quarta edizione con varie novità: diamo un’occhiata alla sezione Nuove…
Un anno di successi e riconoscimenti nell’arte contemporanea.
Doppio appuntamento, questa sera, alla Galleria d’Arte Ponti: apre la mostra La società “In Arte Libertas”, che proseguirà fino al…