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300 milioni di euro il primo giorno, 600 il secondo, 1 miliardo il terzo. Sembra il jackpot di una lotteria americana e invece è il tesoretto raccolto per ricostruire la famosissima cattedrale metropolitana di Notre-Dame, andata semidistrutta la notte del 15 aprile per via di un incendio. I gruppi LVMH (Dior, Bulgari e Louis Vuitton) e Kering (Gucci e Yves Saint Laurent), l’Oreal, il gruppo Nissan (partner della Renault) e la Total SA sono stati i primi a farsi avanti. La Francia che conta. Ma tra i filantropi ci sono anche aziende che hanno sfornato famosi titoli di entertainment dedicati al meraviglioso edificio gotico. Walt Disney (5 milioni) con The Hunchback of Notre-Dame (1996) e la francese Ubisoft (500 mila euro) con il videogame Assasin’ s Creed: Unity (2014), che nel suo gameplay mostra una delle ricostruzioni digitali della chiesa più fedeli di sempre.
Cosa ha scatenato questa gara di solidarietà milionaria? Patriottismo, sincero amore per l’arte, senso delle istituzioni, senso della Misericordia, desiderio inconscio di espiazione, richiesta del perdono, esibizionismo mediatico? Tutte queste cose, probabilmente. D’ altronde, i sentimenti e lo scoramento provati nella diretta streaming globale hanno ricordato per spettacolarità e coinvolgimento il 9/11 americano. Ma mentre l’11 settembre, diffuso via mainstream (radio e tv) aveva prodotto un unico e grande sentimento di sdegno e condanna, questo evento, riprodotto in rete, frammentato e spezzettato, riavvolto e rivisto, poteva essere – ed è stato – interpretato in tanti modi diversi. Qualcuno ha parlato di catastrofe, di terribile ferita al patrimonio artistico mondiale, altri di un grave incidente a cui però è possibile porre rimedio. Per alcuni è una vendetta del karma che colpisce Parigi, al centro di una trama di complotti per destabilizzare la Libia. Per altri, ancora, l’Europa non brucia ma affonda nelle acque del Mediterraneo insieme alle migliaia di rifugiati inghiottiti dalle sue acque. Fino ad arrivare al monito biblico del porporato Paul Joseph Jean Poupard: le nostre anime, incassate nelle mura calcaree di Notre-Dame, non possono che “bruciare insieme a loro”. Manca solo il presidente Emmanuel Macron, che ha ricordato come quello francese sia un popolo di costruttori. “La ricostruiremo ancora più bella”. E l’invito alle genti di Francia: “la catastrofe sia occasione per unirci”.
Notre Dame dopo l’incendio
Già ma per unire chi e cosa? Le cattedrali, costruite in Europa dal XII al XVI secolo, erano espressione di una società, quella cittadina europea, in espansione, aperta, che dopo i secoli “di ferro” e di angosce millenaristiche avrebbe dato sfoggio di potenza economica e di sapienza architettonica, prima che di fede e misericordia. Le corone d’ Europa e le alte sfere della Chiesa erano naturalmente determinanti ma la vera novità fu l’impegno economico e politico delle amministrazioni cittadine, di corporazioni di arti e mestieri e di privati cittadini che si riconoscevano nella bellezza e nella imponenza della propria cattedrale. E cosa resta, oggi, di questa geografia sociale ed economica in movimento? Molto poco. Le maison di alta moda, i petrolieri, le grandi aziende nazionali, le corporation dell’entertainment digitale, il Prelato e il Principe che hanno dato monito e parola. Dove sono i cittadini? Sono scomparsi? In passato, molte cattedrali soffrivano di un gigantismo “senza alcuna esigenza devozionale” (Pierre de Colombier) in rapporto alle comunità di fedeli che avrebbe dovuto contenere durante le funzioni religiose, le riunioni e i mercati che vi si tenevano. Esse erano una promessa, la forma di un’attesa, di una comunità sempre più grande, ricca e prospera. Oggi Notre-Dame è “vuota”. Perché i 13 milioni di visitatori annui sono espressione di una massa globale, un flusso turistico che invade Parigi ogni anno. Insomma le feu non ha illuminato a giorno soltanto la splendida vetrata del Rose du Midi ma, per un istante, anche la cartina di tornasole di una società, quella francese, non molto dissimile dalla nostra. Le élite hanno avuto diritto di parola perché hanno potere d’azione. Al resto della comunità tutt’ al più è permessa una preghiera sulle sponde della Senna, inginocchiati e in religioso silenzio.
Saranno dunque loro a salvare la cattedrale e le nostre anime? È davvero loro compito? O sono in parte responsabili di questa condizione? Per molti osservatori questo grande vuoto ha in verità profonde ragioni storico-artistiche e sociali.
Da diversi anni gli storici dell’arte Alexandre Gady e Didier Rykner e associazioni come la Fondation Avenir du Patrimoine à Paris, l’americana Friends of Notre Dame de Paris, denunciano le pessime condizioni della chiesa: balconate, altorilievi, chimere rovinati, archi rampanti crepati. Le mura perimetrali di Notre-Dame sono ancora in piedi ma la pietra è “fracide”, usurata dal tempo ma soprattutto dall’incuria.
A dover essere ricostruita forse non è solamente la flèche o la forêt, andate distrutte nell’incendio? Forse c’è bisogno di rimettere mano su qualcosa di più profondo, legato alle fondamenta architettoniche della nostra memoria storica, della nostra identità e della nostra cultura continentale? Dove è finita quella baldanzosa potenza di europei scorrazzanti per il Mediterraneo che ci rammenta la storia di Notre-Dame? Le Crociate in Terra Santa con la corona di spine di Gesù e il frammento ligneo della sacra croce portate in dote da Re San Luigi e tratti in salvo dall’incendio. Gli Stati Generali convocati per la prima volta sette secoli orsono, che avrebbero sconvolto poi il mondo con la Revolution. L’ iconico Bonaparte di Jacques-Louis David, incoronato Primo Imperatore francese davanti al Gesù deposto di Coustou e comandante delle Grandes Armèes di Francia, Italia e Oriente. O quell’atmosfera austera dei Te Deum recitati dopo due Guerre Mondiali scatenate sempre dai nostri spavaldi progenitori. Forse abbiamo solo bisogno di dare forma e movimento a quel silenzio e quel vuoto che ha colto noi europei, ormai senza più un ruolo storico e politico di rilievo. E quale simbolo può rappresentare una società in crisi meglio di un’antichissima ecclesia mater in fiamme nel cuore della città?
Notre Dame in Assassin’s creed di Ubisoft
Certo, guardare la cattedrale versare in quelle condizioni, ferita e sventrata, è stato doloroso per tutti. Lo sentivi nello stomaco e negli occhi. Eppure l’edificio è stato colpito tante volte e tornerà a splendere.
Ma su quali basi? In ogni restauro, ricostruzione o rifondazione che dir si voglia, vi è sempre un atto libero, puro, apertamente produttivo. La filosofia del famoso “restauro in stile” di Viollet-le-Duc di metà ‘800 poggiava sull’idea di una chiesa frutto di un medioevo oscuro, magico e incantato, da cui la metropoli di Parigi, descritta nei Passagenwerk di Walter Benjamin, sarebbe idealmente ripartita fino a ridisegnare il concetto moderno di spazio sociale. Quale idea di Parigi, la città che per Engels raccoglie “tutte le fibre della storia europea”, sarà rappresenta in questa nuova fondazione di Notre-Dame? Non ci sono più “strade sensuali del commercio”, non si alternano più caffè e bistrot, moda e fotografia, Baudelaire e Marx. E dunque?
Ricordando le riprese droniche dall’ alto della chiesa in fiamme, qualcuno ha ammonito l’umanità distratta che “distrugge per incuria”. In fondo, ogni epoca ha la sua forma e i suoi materiali ma soprattutto i suoi costruttori. Se il fuoco è giunto come sempre, senza preavviso e senza scampo, stavolta si è miscelato non solo alla pietra, al legno ma anche ai pixels e ai bytes. Di Notre-Dame digitali, perfettamente renderizzate e “visitabili”, ne abbiamo 3 di ottima fattura: la mappa del team di Ubisoft, quella della società Art Graphique & Patrimoine di Gaël Hamon e quella del professore d’arte medievale Andrew Tallon. A questo punto si fa strada un dubbio. Che quella enorme croce latina avvolta dalle fiamme ripresa dall’ alto, in un silenzio irreale e digitale, sia il sincero lascito della nostra società storicamente determinata? Senza fedeli, senza comunità, senza passato e senza visione vi è solo pura tecnologia. Vuota, silente, che osserva dall’alto e ricostruisce nel cyberespace. Tante premonizioni, sulla tecnica disumana sarebbero finalmente confermate.
Domenico Sgambati