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Come è noto, l’albero di Natale di Paul McCharty, esposto a Parigi in Place Vendôme, è durato molto poco e la sua vandalizzazione è stata preceduta da accese polemiche in quanto l’albero avrebbe ricordato troppo un provocatorio sex toy. Dall’altra parte del mondo, in Australia, qualche mese fa l’Hobart Museum of Old and New Art (MONA), dopo aver ricevuto una serie di proteste dagli Aborigeni, ha censurato un’installazione di Büchel nel quale l’artista aveva installato un test per il DNA con la scritta “Are you of Aboriginal descent?”. Tra i tanti casi di “censura” più o meno esplicita all’arte, questi sono due tra i più recenti.
Tali notizie inducono nuove riflessioni – in termini giuridici – sui diritti morali dell’autore e sul difficile bilanciamento tra i principi della libertà di manifestazione del pensiero e di libertà dell’arte, e la tutela del pudore, del buon costume e della morale pubblica. Da un lato, infatti, vi è l’autore, il suo pensiero, la sua arte, ossia, per alcuni, quanto di più sacro ed inviolabile.
A livello internazionale, nella Convenzione di Unione di Berna del 1886 per la protezione delle opere letterarie e artistiche viene protetto il diritto all’integrità dell’opera (art. 6 bis). Nel Trattato TRIPS del 1996 (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) viene richiamata la Convenzione di Berna, ma inserita la precisazione che gli Stati membri non hanno l’obbligo di tutelare i diritti morali degli autori nel proprio ordinamento nazionale.
La protezione dei diritti morali può essere differente, allora, da Stato a Stato. In America, ad esempio, i diritti morali sono protetti tramite il VARA (Visual Artists Rights Act), a tutela dei soli artisti dell’arte visiva, ed il diritto morale è rinunciabile, cosa impossibile ad esempio in Italia o in Francia.
In Italia, la legge dispone che “l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione” (art. 20 L.d.A).
Un atto di censura potrebbe costituire allora una violazione del diritto morale dell’autore, ove questi dimostrasse che la mancata esibizione dell’opera al pubblico, ad esempio, abbia leso la sua reputazione artistica o il suo onore. Profilo non facile da dimostrare nelle aule giudiziarie, come chiunque può immaginare. Paul McCharty e Büchel, dunque, potrebbero lamentare una violazione dei propri diritti morali all’integrità dell’opera: l’uno perché l’albero è stato sgonfiato, l’altro perché l’installazione è stata rimossa.
Recentemente la Suprema Corte civile di Cassazione ha precisato che “in tema di diritto morale d’autore, il “vulnus” all’onore, al prestigio dell’autore ed all’integrità dell’opera non può ricondursi in astratto ma va verificato in concreto (sentenza n. 20227 del 2013). In altre pronunce si è fatto riferimento alla “compromissione dell’immagine artistica dell’autore il quale si è visto attribuire un’opera difforme da quella che era stata originariamente realizzata” (Cassazione civile n. 25510 del 2010).
Ove l’artista riesca a dimostrare la violazione del diritto morale all’integrità dell’opera avrà diritto, ove ne dia la prova, al risarcimento del danno subìto e, in taluni casi, anche alla rimozione dell’esemplare: “L’azione a difesa dei diritti che si riferiscono all’integrità dell’opera può condurre alla rimozione o distruzione dell’esemplare deformato, mutilato o comunque modificato dell’opera, solo quando non sia possibile ripristinare detto esemplare nella forma primitiva a spese della parte interessata ad evitare la rimozione o la distruzione” (art. 171).
Ma l’artista è libero di dire e fare ciò che vuole o l’ordinamento può imporgli dei limiti a tutela della morale pubblica e del buon costume? Le attuali leggi penali vigenti in Italia affermano che “non si considera oscena l’opera d’arte”, salvo che però sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata ai minori di 18 anni per motivi diversi da quelli di studio: i giudici sono chiamati allora a giudicare che cosa sia arte e che cosa no, con il rischio inevitabile di giudizi di valore.
La legge penale dunque non considera oscena l’opera d’arte, salvo però che sia destinata ai minori di 18 anni, e tutti ricordano ad esempio quando il sindaco parigino decise di vietare ai minori la mostra di Larry Clark, “Kiss the past, Hello” esposta al Museo d’arte moderna di Parigi, in quanto anche in Francia esiste una norma in parte analoga a quella italiana a tutela dei minori (l’articolo 227-24).
Il punto dolente rimane la valutazione, da parte dei Giudici, di determinare che cosa sia arte e che cosa no. Per la nostra legge sul diritto d’autore (e nello stesso modo la Convenzione di Berna già citata) l’opera è protetta a prescindere dal suo merito artistico e, recentemente, la Corte di Giustizia europea ha affermato che un’opera viene considerata proteggibile laddove “rappresenti il risultato della creazione intellettuale dell’autore” (caso Infopaq C 5/08 del 16 luglio 2009). Tanto basta perché un’opera sia protetta come opera dell’ingegno, ma non è detto che – per ciò solo – venga anche considerata opera d’arte. Il codice penale menziona infatti espressamente il concetto di “opera d’arte” e, come si legge in una recente pronuncia della Cassazione penale del 2005, deve essere definito il suo “merito artistico”.
Ed allora, l’albero sex toy di McCharty sarebbe considerato opera d’arte se per assurdo finisse sotto lo scrutinio dei nostri giudici?