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L’idea di questo articolo nasce dalla lettura dei recenti casi di censura verificatisi ad Art Dubai, nel marzo di quest’anno. Le opere censurate, in particolare, erano chiaramente riferite alla “Primavera Araba”. Ne menzioniamo due: nell’una, l’artista palestinese Shadi Alzaqzouq ritraeva una manifestante con in mano uno slip maschile bianco con la scritta “dégage”, nell’altra, la marocchina Zakaria Ramhani raffigurava l’immagine di una giovane manifestante egiziana picchiata dai soldati al Cairo.
L’anno scorso, la stessa sorte è toccata all’artista Aidan Salakhova, le cui sculture sono state ricoperte da teli bianchi, durante la Biennale di Venezia. Le opere incriminate erano Waiting Bride, raffigurante un corpo femminile con un velo nero che la ricopriva da capo a piedi, e Black Stone, in cui un’immagine della pietra nera della Mecca, venerata dai musulmani, era incastonata all’interno di una vagina di marmo.
Sempre per motivi religiosi, nel 2010, la National Portrait Gallery di Londra censura il film di David Wojnarowicz, A Fire in My Belly, a causa di alcuni spezzoni raffiguranti formiche che strisciavano sopra un crocifisso.
Nel 2005, anche la Tate Britain decide di non esporre il lavoro di John Latham, intitolato God Is Great #2, consistente in un insieme di brani tratti dal Corano, dalla Bibbia e dal Talmud, testi sacri che erano stati preventivamente disassemblati.
Andando più indietro nel tempo, nel 1951, gli Stati Uniti d’America censurano il film di Roberto Rossellini, The Miracle, in cui un uomo mette incinta con violenza una donna, la quale crede di essere la Vergine Maria. La pellicola viene definita dannosa e blasfema.
In tutti i casi sopra indicati, si tratta, come è evidente, di censure motivate da motivi religiosi.
Eppure l’opera d’arte è protetta dal diritto d’autore anche se oscena, blasfema o contraria alla moralità. Essa infatti è protetta dai principi costituzionali di libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e libertà dell’arte (art. 33 Cost.). Di essa, può tuttavia essere vietata, in determinate circostanze, l’esposizione, la circolazione o la vendita, ove vengano lesi valori, parimenti costituzionalmente garantiti, che l’ordinamento protegge. Uno di questi valori è appunto il sentimento religioso, tutelato dalla Costituzione agli artt. 2, 8 e 19 e protetto anche dal codice penale. Così si è espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 188 dell’8 luglio 1975: «Il vilipendio di una religione, tanto più se posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o di un Ministro del culto rispettivo, (art. 403 c.p.), legittimamente può limitare il diritto di libera manifestazione del pensiero». Ciò purché, però – continua la Corte – si tratti effettivamente di vilipendio (ossia quando viene suscitato il pubblico disprezzo o dileggio), e purché sia comunque garantita la libertà di pensiero anche in materia religiosa. Tant’é vero che, circa il caso The Miracle di Rossellini, la Corte Suprema affermò che la censura del film costituiva una chiara limitazione alla libertà di parola ed una violazione del Primo Emendamento (Joseph Burstyn, Inc. v. Wilson, 343 U.S. 495, 1952).
Come emerge da tutti questi casi indicati, si tratta, allora, di operare un bilanciamento tra il diritto di libertà dell’arte e libera manifestazione del pensiero e la tutela delle confessioni religiose, per definire quale dei due debba prevalere, caso per caso. La giurisprudenza italiana ha fissato un criterio guida secondo cui, in materia di diritti di libertà (di arte, pensiero, stampa ecc.), ogni limitazione agli stessi debba essere intesa come eccezionale, nel senso più restrittivo possibile. La libertà di pensiero è altresì protetta dall’Articolo 10 par. 1 della “Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo”, la quale tutela, allo stesso modo, la libertà di espressione artistica. Così ha affermato la Corte europea dei Diritti dell’Uomo (1988): «Coloro che creano, interpretano, diffondono o espongono un’opera d’arte contribuiscono allo scambio di idee e di opinioni indispensabile in ogni società democratica; la libertà di espressione deve garantire la circolazione non solo di idee e di opinioni largamente condivise nella società (o comunque ritenute inoffensive o indifferenti), ma anche quelle che contrastano con il sentire di una parte più o meno ampia della popolazione dello stato». Pertanto, la libertà di manifestazione del pensiero implica che possano essere espresse anche opinioni contrastanti con il sentire religioso di una parte della popolazione.
La censura per motivi religiosi potrebbe trovare un limite anche nella legge sul Diritto d’Autore. L’Articolo 20 L.d.A., infatti, tutela l’artista contro ogni atto a danno della propria opera (rimozione o copertura) che leda la sua reputazione o il suo onore. Norma che, se violata, può comportare l’obbligo del risarcimento dei danni.
Un altro motivo frequente di censura all’arte è quella per contrarietà al buon costume. Ma di questo ne parleremo nel prossimo numero.
di elisa vittone
l’avvocato elisa vittone è specializzata nell’area della proprietà industriale ed intellettuale; presidente dell’associazione culturale Interalia; nel 2010 membro dell’IPSoc di Londra.
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 79. Te l’eri perso? Abbonati!