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La Convenzione Unesco sui beni culturali: grandi pregi e alcuni difetti
Diritto
di fabio marazzi
Le attuali legislazioni inerenti la circolazione internazionale dei beni culturali nascono dalla volontà di salvaguardare il patrimonio culturale dei paesi d’origine.
Da sempre infatti, fin dalle epoche più remote della storia umana, si è assistito a depredazioni, furti, vendite…
Le attuali legislazioni inerenti la circolazione internazionale dei beni culturali nascono dalla volontà di salvaguardare il patrimonio culturale dei paesi d’origine.
Da sempre infatti, fin dalle epoche più remote della storia umana, si è assistito a depredazioni, furti, vendite…
Le attuali legislazioni inerenti la circolazione internazionale dei beni culturali nascono dalla volontà di salvaguardare il patrimonio culturale dei paesi d’origine.
Da sempre infatti, fin dalle epoche più remote della storia umana, si è assistito a depredazioni, furti, vendite illecite ai danni dei patrimoni comuni di determinati paesi, che spesso non hanno potuto o voluto intervenire.
La Convenzione Unesco del 14711/1970 sui mezzi per impedire e vietare l’importazione, l’esportazione ed il trasferimento illecito dei beni culturali ha voluto porsi come un tentativo coerente (seppur con alcune lacune) di imporre una maggiore rigidità nei sistemi di controllo dei singoli Stati per tentare di arginare il traffico illecito di opere d’arte, non necessariamente derivante da furto.
Il mercato della circolazione dei beni artistici si divide attualmente in due grandi settori: quello comprendente i paesi esportatori di opere d’arte (area mediterranea, quindi Turchia, Egitto, Grecia, ed anche Italia, America Centrale e Meridionale, Asia, Africa ed Oceania) e quello che interessa i paesi importatori (Gran Bretagna, Olanda, Svizzera, Stati Uniti). Le legislazioni di questi paesi in materia di circolazione delle opere sono differenti: più tolleranti e libertarie quelle dei paesi importatori, più protezionistiche quelle dei paesi esportatori, per evitare un’emorragia di opere d’arte dal proprio territorio.
Nel tentativo di uniformare legislazioni così differenti, la Convenzione ha dovuto definire innanzitutto i beni ritenuti proprietà culturale di uno Stato, ossia quei beni che presentano importanza archeologica, storica, letteraria, artistica, e scientifica. L’elenco è molto dettagliato e comprende, oltre a reperti archeologici e opere d’arte, anche collezioni di flora, fauna, minerali, reperti relativi alla vita di personalità importanti, manoscritti, incunaboli, pubblicazioni di particolare interesse, strumenti musicali, mobili e antichità con più di 100 anni.
Il divieto di trasferimento della proprietà (stabilita dall’art.1), di importazione e di esportazione di questi beni non è assoluto, nel senso che ogni Stato che ha ratificato la Convenzione ha il compito di regolamentare le operazioni relative ai beni del proprio territorio e può stabilire quali devono essere considerate lecite o illecite. Ciò rappresenta uno strumento di salvaguardia dei singoli patrimoni nazionali degli Stati contraenti.
Ma (art. 3 ), l’importazione, l’esportazione o il trasferimento di proprietà dei beni culturali di uno Stato effettuate senza seguire le disposizioni della Convenzione, saranno ritenute illecite. L’art. 6 stabilisce che il bene culturale esportato sia accompagnato da un certificato di esportazione autorizzato dallo Stato esportatore; questo certificato deve contenere tutte le notizie del bene esportato. Nessun bene culturale che non presenti questo certificato potrà uscire dal paese.
L’articolo 7 stabilisce gli impegni degli Stati contraenti. Essi dovranno prendere le misure necessarie affinchè musei o simili istituzioni non possano acquisire beni di proprietà di uno Stato membro della Convenzione, quando questi siano stati esportati illecitamente dopo l’entrata in vigore della Convenzione; dovranno vietare l’importazione dei beni culturali rubati in un museo o in altra istituzione pubblica, civile o religiosa, dopo l’entrata in vigore della Convenzione e si impegneranno a restituire, compatibilmente con le proprie leggi, su richiesta dello Stato di origine, ogni bene culturale rubato o illecitamente importato, accettando anche un’azione di rivendicazione di beni culturali perduti o rubati, esercitata dal legittimo proprietario.
L’esercizio dell’azione di rivendicazione dei beni illecitamente esportati è imprescrittibile.
La Convenzione prevede che i servizi nazionali competenti facilitino la restituzione dei beni illecitamente importati, conformemente alla propria legislazione interna e nel caso di rivendicazione dei beni perduti o rubati esercitata dal legittimo proprietario gli Stati si impegnano a facilitare la restituzione dei beni dichiarati inalienabili dallo Stato di origine
I beni rubati in un museo o in altro pubblico monumento di carattere civile e religioso devono essere posti sotto sequestro e restituiti allo Stato di origine che faccia parte della Convenzione ed abbia fatto richiesta di tali beni (art. 7.b.ii ).
Come affermato più sopra, la Convenzione, pur ponendosi come strumento esemplare nella lotta al traffico illecito di opere d’arte, presenta alcune mancanze : tra queste, non è in grado di risolvere il problema posto dalla restituzione di beni rubati o illecitamente esportati dal paese d’origine. Infatti non vi è certezza di successo alla domanda di restituzione, poiché lo Stato richiedente può trovarsi di fronte ad un acquirente di buona fede o legittimato alla proprietà da un valido titolo, in base alla legislazione del proprio paese.
L’art. 1153 del Codice Civile italiano, per esempio, protegge l’acquirente di buona fede, estendendo il suo ambito di applicazione anche ai beni rubati.
I meccanismi previsti dalla Convenzione si sono rivelati dunque poco efficaci soprattutto ai fini della restituzione. Un caso emblematico è quello del Governo francese che si è visto negare la restituzione degli arazzi rubati dal palazzo di giustizia di Riom e, attraverso varie vendite, acquistati in Italia. L’acquirente italiano è stato considerato in buona fede e non obbligato alla restituzione (Cass. 25/11/1995 n. 12166).
Inoltre, la Convenzione non prevede validità retroattiva, basandosi sull’art. 28 della Convenzione di Vienna sulla legge dei trattati (gli accordi internazionali non sono retroattivi). Ciò ha reso scontenti molti Stati, che non hanno potuto far valere le leggi di restituzione per beni esportati prima del 1970.
Accanto a queste gravi lacune, c’è anche da segnalare che si è da sempre registrata una certa ritrosia alla ratifica della Convenzione. Solo grazie infatti alla recente campagna dell’Unesco, paesi in cui è fiorente il commercio di opere d’arte, come la Gran Bretagna o il Giappone, hanno provveduto alla ratifica. Ma importanti Stati-chiave nel commercio mondiale delle opere d’arte come la Svizzera non l’hanno a tutt’oggi ancora accettata. Gli Stati Uniti l’hanno accetta solo nel 1983. L’Italia ha ratificato la Convenzione con la legge n. 873 del 30/10/1978, in vigore dal 2/1/1979.
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fabio marazzi
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