Categorie: Diritto

L’arte come obbligo sociale

di - 9 Novembre 2001

Fu Cesare Brandi a definire il “presente extratemporale” dell’opera, con un’intuizione geniale che gli permise di teorizzare la continua rinascita dell’opera, il suo rigenerarsi all’infinito offrendosi a nuove interpretazioni (tanto per intenderci, la Maestà di Duccio di oggi, ha acquisito significati inediti rispetto al momento in cui fu creata, perdendone certamente altri, fra quelli originari, come quelli legati alla sfera devozionale).
L’arte sa dunque farsi interprete di sentimenti ed istanze della società che l’accoglie. Ma può l’artista dominare, predeterminare o programmare questa vita dell’opera d’arte? No, se accettiamo di riconoscere all’opera stessa un’entità autonoma, no se consideriamo, nell’attività dell’uomo, e quindi anche dell’artista, l’imprevisto, il caso e il destino.
A questo punto siamo tornati all’inizio… oppure no. Infatti rischiamo di trascurare, nell’attività dell’artista, la capacità di osservazione e di approfondimento analitico della società contemporanea, che consentono all’artista di pre-vedere, pre-sentire e pre-dire.
Baumgarten parlò di due facoltà necessarie all’artista, la memoria (mnemosyne) e il dispositivo “ad praevidendum et praesagiendum”, la facoltà, appunto, di scorgere il futuro che gli antichi attribuivano ai veggenti (vati).
Certamente la consapevolezza di questo potere evocativo ed insieme procrastinatore dell’arte ha guidato l’obiettivo di Shirin Neshat (artista iraniana trapiantata a NY le cui fotografie sono divenute copertine delle più varie pubblicazioni) nella descrizione del ruolo femminile nel mondo islamico e nella esemplare trattazione delle complessità culturali e sociali, ma credo che lo stesso si possa dire per il nostro Pancrazzi: in occasione della mostra “Il Dono” alle Papesse era esposta niente di meno che la sua rappresentazione dell’”Uomo-bomba”. Pancrazzi, d’altro canto, già a metà del 2000, a Firenze, aveva mostrato le lugubri sagome degli aerei da guerra e ne aveva fatto udire i rombi minacciosi.
E che dire della suggestiva installazione di Shutov al padiglione russo della Biennale di Venezia? L’artista ha popolato la stanza di sagome antropomorfe inginocchiate, coperte da teli neri che si prostrano ritmicamente alle recite di litanie e preghiere. Preghiere e litanie provenienti da culture diverse che invitano alla tolleranza e che invocano una soluzione alle problematiche della globalizzazione ispirata al rispetto delle identità culturali.
L’anno scorso, il bravo artista Innocente presentava a Verona i suoi collage ed agglomerati di immagini e oggetti in cui aerei da guerra sfrecciavano sullo sfondo della bandiera a stelle e strisce mentre una folla immane in bianco e nero protendeva le mani verso il cielo; altrove erano gli scheletri a fare da sfondo alla mappa del mondo, e ciò mentre una fila di santini della Madonna di Lourdes divideva gli uomini bianchi che si abbronzavano sulle spiagge dai neri profughi, costretti alla fuga. Ma, trattando di mappe, possiamo forse tacere di quelle famosissime di Boetti, sintomaticamente alla ribalta nel corso di quest’ultimo anno per essere divenute un simbolo del Plateau dell’umanità di Szeemann?
Restando alla Biennale, varrebbe la pena di andare a rileggersi innanzitutto i testi (alcuni di essi illuminanti) che corredano il catalogo del padiglione della Slovenia. Absolute One è infatti oggi l’assoluto vincitore morale tra i progetti presentati alla Biennale di Venezia, per la sua capacità di indagare aspetti e tematiche della globalizzazione e delle categorie emarginate. Nelle riflessioni di artisti ed intellettuali al workshop organizzato da Aurora Fonda per il padiglione sloveno si traccia un’analisi compiuta di problematiche e situazioni determinate dall’incontro/scontro di culture e tribù sociali.
Ricordiamo allora Vuk Cosic, il net-artista che in quel padiglione esponeva il suo progetto Art for the Airport, nel quale recupera l’iconografia classica occidentale attraverso la segnaletica aeroportuale. Il suo “S. Sebastiano” trafitto dalle frecce e la “Pietà”, nella sintesi minimale, si offre oggi ad una lettura che associa alla mistica occidentale del martirio timori e drammi legati alle attese dei viaggiatori.
In concorso all’ultimo premio Suzzara c’è un’installazione dell’artista Bertrand che costringe il visitatore a sperimentare, nel buio, paure, ansie e rumori dei profughi che nella notte tentano di espatriare, spinti dall’illusione di un mondo migliore. Ciò accade mentre in Germania le armi da guerra griffate di Antonio Riello sono al centro di una polemica proprio in relazione al nervo scoperto dal terrorismo.
Nel mondo moderno il Mc World si oppone oggi alla Jihad e alla recente Biennale Cinema il regista Mohsen Makhmalbaf mostrava il suo “Viaggio a Kandahar” facendo appello alle nostre coscienze affinché prendessero consapevolezza del dramma umanitario del popolo afgano.
Ronald M. Bosrock, su Star Tribune (26.IV.1999) scriveva che la globalizzazione ha permesso a differenze culturali che spesso erano nascoste di riaffiorare prepotentemente, assumendo un ruolo di primaria importanza. Le frontiere politiche divengono indistinte e aumentano i rischi per i leader economici e politici che pianificano l’integrazione.
Per l’occidente l’eccezionalità della crisi recente attuale, rispetto a quelle del Golfo e dei Balcani, consiste nel fatto che non si fa sentire solo sul prezzo della benzina ma ha portato la guerra nel nostro mondo, che credevamo invulnerabile.
Non vogliamo fare della demagogia, invece annotare come l’arte aveva saputo vedere e mostrare prima che l’11 settembre 2001 entrasse nelle nostre vite. L’arte aveva invitato a riflettere e ad agire, agendo essa per prima, accollandosi precise responsabilità sociali.
Dopo un periodo di relativa pigrizia ideologica (diciamolo pure), nell’epoca in cui si inneggiava alla vittoria del nichilismo, si fa forte il richiamo a schierarsi, a riconsiderare il ruolo sociale dell’arte. L’arte oggi può tornare ad essere “necessario adempimento di un obbligo sociale”: giusto il titolo che il giovane Luca Francesconi dà oggi alla personale in corso alla galleria Carasi di Mantova, nella quale espone un castello di carte e un ciclo di disegni di illustri personaggi pubblici; se ”obbligo sociale” appare come idea trainante, di fatto è l’aggettivo “necessario” ad essere illuminante.

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Alfredo Sigolo

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Visualizza commenti

  • Analizzare l'arte sotto questo punto di vista è fondamentale, gli dona una valenza assoluta..e a me fa pure un po paura...ciao

  • Il Nostro Alfredo Sigolo sta perseguendo un obiettivo.
    Forse il più serio e impegnato del sito.
    Aspetto ancora un poco e continuo ad osservare con estremo interesse.
    Buon lavoro.
    Ciao, Biz.

  • ......a proposito di "Viaggio a Kandahar"..le immagini dei mutilati che corrono si sovrappongono alla splendida/terribile animazione di Magnus Wallin esposta alla Biennale di Venezia....
    Per Caso, forse sì/no....
    W VOI

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