Paola Gonzaga è ritratta piccola, un po’ gobba ai piedi della madre Barbara nel celebre affresco del Mantenga a Palazzo Ducale. A quindici anni fu mandata sposa al conte di Gorizia, Leonardo. Come dote portò due coppie di cassoni con decorazioni laterali in pastiglia. Questa tipologia di manufatto, già presente dal 1250, era appena ritornata di moda, veniva esibita durante il corteo nuziale e costituiva l’arredamento della camera da letto. L’eccezionalità dei cassoni di Paola non dipende dalle vicende rappresentate (la vita di Traiano, tramandata anche da Dante, e i Trionfi petrarcheschi erano un tema diffuso), ma dalla firma: Mantegna. In realtà non si tratta se non di un sospetto che diventa tanto più corposo quando si considerano le analogie, presentate nell’articolo, fra le caratteristiche dei cassoni e il vocabolario figurativo del maestro.
Si tramanda che la Scuola medica Salernitana fu fondata nell’Alto Medioevo da quattro medici di differenti nazionalità. La scuola sarebbe, quindi, il risultato e l’osmosi di percorsi conoscitivi diversi, la summa del sapere medico mondiale. Questa tradizione, arricchita da molti altre fonti (ed è tale ricchezza bibliografica che costituisce il pregio principale di quanto stiamo per analizzare) costituisce l’Historia Plantarum, un’enciclopedia medico-farmacologica realizzata presso la corte di Gian Galeazzo Visconti e oggi pronta a rivivere grazie l’edizione dell’editore Panini di Modena. E si potranno ricontemplare le illustrazioni di piante, fiori, animali, minerali, la cui caratteristica saliente è la sicurezza di tratto (non certo il livello di precisione realistica che appare discontinuo), che, inoltre, rimanderebbe alla bottega di Giovannino de’ Grassi, la cui fama era al culmine al finire del Trecento.
Cosimo Fanzago (1591-1678), scultore bergamasco, si trasferì a Napoli dove trovò terreno fertile per la sua esuberanza. Il saggio presenta le opere che meglio evidenziano il suo interesse per la ricreazione della realtà nei suoi tratti più veri: statue solcate da ragnatele di rughe, fasci di frutta prossima a marcire, panneggi abbondanti che si spandono sulle architetture attigue. La Certosa di San Martino fu il cantiere-prigione più importante, che lo vide impegnato dal 1623 al 1656. Qui riuscì a dare grande prova di regia sintetizzando architettura, pittura, scultura e decorazione in soluzioni inconsuete fortemente intessute di elementi fitomorfici e geometrici.
L’ultimo saggio percorre una galleria del castello di Skokloster, Svezia. Sono i ritratti di uomini d’armi, pingui, baffuti, tanto identici nella posa quanto diversi nelle fogge degli abiti (siamo nel 1621, dopo l’assedio di Riga).Tale galleria era stata voluta da Herman Wrangler, generale svedese, che non potendo contare su una pinacoteca di ritratti di antenati, decise di far raffigurare i suoi fedeli commilitoni. L’identità dell’autore, banalmente indicato con “Maestro di Skoklosker”, è rimasta sconosciuta fino a oggi, quando si è scoperto (attraverso un’iscrizione-enigma) che proprio uno dei gendarmi aveva eseguito le opere.
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