Categorie: edicola

numero 150 febbraio/marzo 2002 | FMR

di - 4 Aprile 2002

Il trittico del giudizio di Hieronymus Bosch, diversamente dal titolo, tratta il tema riportato dal titolo originalmente, dal momento che le tre tavole non ritraggono rispettivamente le regioni in cui l’aldilà è scandito. Forte dei suoi studi teologici, Bosch raffigura la sua visione pessimista del destino dell’uomo, stipando l’inferno e un buio purgatorio (quasi indistinugibili) di uomini deformati e intrappolati nelle più raccapriccianti torture, e lasciando solo intuire il paradiso attraverso un pertugio luminoso nell’angolo sinistro della pala. Renate Trnek, la saggista, ricorda la vicenda storica di questa pala, il suo arrivo nella pinacoteca dell’Accademia di Belle Arti di Vienna, le differenze iconografiche rispetto ad altri maestri come Roger van der Weyden e Hans Memling e azzarda interpretazione delle punizioni a cui sono soggetti i dannati (i quali, secondo un’idea già dantesca, si intralciano a vicenda incrementando fisicamente la fatica della pena). Le splendide fotografie (mai in dichiarato collegamento col testo, FMR preferisce lavorare di suggestione, evitando la più pesante corrispondenza accademica), invece, ci restituiscono l’amore di Bosch per il dettaglio e la pennellata rapida.

La seconda sezione si aggira fra le maioliche zaffiro delle moschee e madrase di Samarcanda. Più che dal breve articolo dell’esperto Henri Stierlin, siamo affascinati dalla descrizione di Ruy González de Claijo, ambasciatore casigliano, che nel 1403 fu sontuosamente accolto da Timur Beg e preciso cronista dello stupore evocato da tale visita.

Quando la mortalità infantile era preoccupante, nei Paesi Bassi del XVII secolo si dedicavano loro ritratti come agli adulti, ricordi del dolore materno e custodi dei fratellini ancora vivi.
Venivano raffigurati a figura intera su tele grandi come quelle occupate dal ritratto dei genitori, in modo da mantenere la proporzione fisica. Anche per loro fiorì una tipologia di rappresentazione che comprendeva simboli (fiori come la primavera/bellezza prossima alla decadenza, cani che richiamano l’episodio di Licurgo, re di Sparta), giochi di infanzia, posture. Jan Baptist Bedaux, adattando l’introduzione del catalogo per una mostra monografica recentemente avvenuta ad Amsterdam, spiega anche le concezioni educative del periodo e le modalità di esecuzione di un “genere” talmente diffuso da conoscere la firma di grandi maestri come Cuyp o Rembrandt.
Si rispolvera un testo di Luigi Magnani (quello che costituì nel 1977 la Fondazione Magnani-Rocca a Mariano di Traversatolo – PR) per riscoprire Antonio Begarelli, scultore modenese coevo di Michelangelo. Si ripercorre la sua formazione, le sue influenze ( Correggio e Raffaello, ma anche l’antico che studiò indirettamente non essendo mai andato a Roma), l’evoluzione stilistica, suscitando in noi la voglia di fare un salto nelle chiese emiliane (Modena, Parma, Carpi) per ammirare questi drammatici capolavori in terracotta.

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link correlati
Il sito della fondazione Magnani-Rocca
Per saperne di più sulla Samarcanda di Tamerlano
L’accademia di belle arti di Vienna


Emanuele Lugli


“FMR, rivista d’arte e di cultura dell’immagine”
Anno XX, n. 150, Febbraio/Marzo 2002
Bimestrale
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