…mentre la lettura propostaci da Madam Campan ci consente una coinvolgente “immersione” in alcune delle consuete giornate mondane della regnante. Massimo Lippi introduce Alberto Sani, scultore dal “talento naturale”. L’articolo, in cui i cenni biografici abusano forse un po’ troppo di quella retorica della “semplicità nativa”, si sofferma sulla produzione sconosciuta nella prima metà del ‘900 all’invadenza del mercato, alle pubbliche celebrazioni ed alle abusate scoperte della critica. Recepire l’assonanza con i grandi scultori romanici delle cattedrali dell’Italia centrale e condividere lo strenuo sostegno offerto all’artista dal suo mecenate, Dario Neri, il quale conobbe Sani come boscaiolo ed immediatamente ne rivelò le straordinarie capacità a Bernard Berenson, è immediato.
Ben fatto anche l’articolo di Carlo Cresti sul Palau de la Mùsica a Barcellona: insieme alla Sagrada Familia emblema al contempo della rinascita economico-politica della città durante la Belle Epoque ma anche di una risoluta volontà di autonomia culturale e d’idealismo indipendentista, sancito da una profonda rivalutazione della tradizione autoctona visibile ad esempio nelle tecniche decorative (il mosaico) e nei rilievi che adornano il palazzo (la Cancion popular nella facciata a nord-est). Unico appunto: trattandosi di un’architettura sarebbe stato opportuno avere sott’occhio almeno una planimetria del palazzo. Din Din, titolo onomatopeico per un oggetto considerato comune quanto esclusivo se elaborato in vesti preziose: il sonaglio, raffinata oreficeria profana e gioco-amuleto a protezione dei nobili infanti europei. L’articolo è assai godibile grazie all’estrema competenza con cui Michèle Heuzé evidenzia in particolare l’interessante connubio tra credenze apotropaiche, funzionalità e materiali. Personaggi, collezioni e vita nobiliare nelle loro molteplici sfaccettature sono nuovamente l’oggetto d’indagine preferenziale di gran parte delle esposizioni italiane (Faustina Savorgnan Rezzonico a Venezia, Lucrezia Borgia a Ferrara oppure all’attesissima collezione Gonzaga a Mantova) tuttavia, intelligentemente, il calendario-mostre, non manca di proporre alcuni eventi forse poco pubblicizzati che comunque non devono passare inosservati come quello di Genova dove la modernità della poetica leopardiana è raccontata fuori dal suo tempo: scritti autografi a confronto con la percezione offerta dalle opere di alcuni noti artisti del novecento tra i quali figurano: Carrà, de Chirico, Fontana, Morandi, etc. Una mostra non rievocativa ma un esperimento fatto di accostamenti inediti quanto calzanti la cui annotazione è risultata assai gradita.
angela fedi
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