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numero 342 febbraio 2002 Arte
edicola
In copertina: Tullio Pericoli pittore, una grande mostra a Pisa – negli spazi di Palazzo Lanfranchi – celebra il noto illustratore di Espresso e Corriere mostrando gli aspetti meno conosciuti del suo lavoro. Basquiat, Schifano, Kostabi gli altri protagonisti...
di redazione
Sono dedicati alle grandi mostre attualmente allestiti i primi articoli di Arte: Schifano, Gaugin&Van Gogh, Basquiat. In un lungo articolo Beba Marsano ci propone il lavoro di Marcello Scuffi, pittore 54enne che incentra la sua ricerca sul recupero delle forme e dei colori dei vecchi maestri, da Giotto a Ottone Rosai. Tra le altre proposte di pittura (Nigro, Timner, Dessì…) e scultura emerge Loris Cecchini, in un articolo si presenta un suo progetto ‘architettonico’: il ripensamento di una scuola di musica/discoteca a pochi chilometri da Siena. E’ la prima discoteca d’artista? Dopo l’ennesimo articolo che analizza le reazioni del mercato dell’arte alle tragedie newyorkesi (ma non sarebbe il caso di iniziare a parlar d’altro?), ecco la storia di copertina che ritorna. Tullio Pericoli viene riscoperto pittore da un lungo pezzo di Gloria Vallese che ci mostra gli inizi della carriera del maestro marchigiano. Gli altri articoli di approfondimento sono per lo scultore figurativo Giuseppe Bergomi e per il pittore/imprenditore Marc Kostabi che annuncia nell’articolo di Alessandro Riva il suo definitivo trasferimento a Roma.
Dopo i brutti pastelli di Sandra Tenconi, ci riprendiamo grazie a Maurizio Sciaccaluga ed al suo articolo su Corrado Bonomi l’artista peter-pan nell’arte contemporanea italiana.
Ultima nota per quanto riguarda l’interessante sezione conclusiva sul mercato. Prendendo spunto da un quadro dove il noto giovane pittore romano Cristiano Pintaldi raffigura il dramma delle Twin Towers (foto) si esalta l’ascesa di mercato dell’artista; da una rivista così attenta alla pittura come ‘Arte’ ci aspettavamo ben altro commento sulla nuova ricerca di questo (ex?) interessantissimo artista.
Massimiliano Tonelli
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Arte. Mensile di Arte, Cultura, Informazione.
Corso Magenta 55 – 20123 Milano. Giorgio Mondadori Editore
arte@edgm.it, €3,62
In questo numero in omaggio la rivista Bell’Europa
[exibart]
Caro Massimiliano, mi permetto di farti notare che non hai detto nulla sull’articolo più interessante di questo numero di “Arte”: quello sul pittore newyorkese Pieter Schoolwerth. Non lo faccio, giuro, perché l’ho scritto io (di articoli ne ho scritti parecchi in questo numero…), ma perché è una primizia per il mercato italiano, dove Pieter è ancora (quasi) sconosciuto: dico quasi perché il buon Manlio Caropreso (lungimirante!) l’ha già portato in Italia l’anno scorso, ma il grande pubblico non lo conosce affatto. Benché sia uno degli artisti più originali e interessanti di questo momento… tra i pochi in grado di competere con la genialità, l’ironia, la fantasia e la raffinatezza formale di molti dei pittori italiani della sua – e della nostra – generazione… quelli che per anni le rivistine di tendenza hanno snobbato, salvo poi scoprire in ritardo e con grande enfasi retorica…
a presto e buona lettura
ale
Il Direttore Massimiliano Tonelli sembra sia l’unico sulla terra ad avere il diritto di criticare le scelte editoriali degli altri.
Le sue invece pare siano il dogma di una nuova religione, fondamentalista, naturalmente.
Ciao, Biz.
Caro Ale,
hai proprio ragione. Peraltro ho letto con piacere il tuo articolo su questo pittore che, mi pare ma aspetto tua conferma, sembra aggiungere ancora qualcosa – pur nello stesso solco – alla nuova figurazione italiana proprio teorizzata dal gruppo di critici di ‘Arte’. Nella foga di recensire in tempo il numero devo ammettere di aver più cercato scuse per criticare (che mi dici su Pintaldi?) che per incensare.
Ma per farmi perdonare appena torno a casa stasera inserisco una fotona del pittore a tutto vantaggio dei lettori.
Ciao Ale. M.
Sono felice di trovarti sulla mia stessa lunghezza d’onda su Schoolwerth. Perché sicuramente il suo lavoro aggiunge qualcosa – e quanto! – alla nuova figurazione internazionale: e aiuta capire ciò che in molti hanno voluto negare in questi anni: che la figurazone cresciuta in questi anni in Italia (De Grandi, Bazan, Di Piazza, Rohr, e molti altri) non era un fenomeno isolato, una ripresa già vecchia di “pittoracci bolsi”, come gli stolti li hanno frettolosamente bollati, ma parte di un movimento spontaneo che ha messo radici in Europa e fuori. E che guarda alla storia dell’arte ma anche alla nostra quotidianità, alle esperienze generazionali come alla fiction televisiva. E in questo sta la sua grande novità (mentre altri incensavano i gelidi giochetti della Beecroft…). Quanto a Pintaldi: scusa, ma non capisco la tua polemica. Credo che Pintaldi abbia inventato un nuovo linguaggio, come – passami il paragone – a suo tempo Rotella. E lo ha fatto con intelligenza e puntalità (quale momento migliore di questo per soffermarsi sull’invadenza delle immagini televisive?). “Arte” in questo numero accenna appena al suo lavoro nella sezione dedicata al mercato. Poco? Certo. Ma altre volte ne ha parlato in maniera pù esaustiva. Ma soprattutto: perché mai (ex) interessantissimo artista? Finora Pintaldi non ha sbagliato un colpo. E credo proprio che si meriti il successo che ha…
Se posso dire la mia, io tra Arte, Juliet e Flash Art non ci capisco più nulla. Juliet e Arte parlano della nuova figurazione (e sì, diciamolo, che anche Juliet porta avanti da un po’ questa questione), Flash Art fa uno speciale dedicato alla nuova pittura. Ma non ci siamo detti fino a l’altro ieri che, nell’epoca attuale, distinguere tra figurazione e astrazione o perfino pensare l’arte incasellandola in base alla tecnica appare operazione critica inconsistente, assurda e fuorviante, oltre che puzzare tremendamente di vecchio, e prova ne sia lo sconcerto che ha circondato l’operazione dell’autorvole Flash Art? E’ vero, vi sono alcuni artisti che si esprimono solo con la pittura o la performance, ecc. Ma quanti sono quelli che, ritenendo superata l’idea del medium caratterizzante (alla Nam June Paik per intenderci), si cimentano a 360° tra scultura, installazione, video, fotografia, pittura, performance e quant’altro? Si potrebbero fare decine di esempi… Che senso ha fare dunque delle distinzioni in base alle tecniche quando queste diventino così poco significative per descrivere e rappresentare degnamente la più recente ricerca artistica? Eppure unanimemente la critica concorda che, anche in passato, distinguere tra astrazione e figurazione si è rivelato un trabocchetto mortale che ha finito per nuocere proprio alla ricerca a favore di uno sterilissimo dibattito su chi fosse meglio di… (penso al neo-picassismo, al cfr con ‘900, alle polemiche con Guttuso sul realismo socialista, ecc.). Ma veramente abbiamo bisogno di guide così superficiali per capire l’arte contemporanea? Si parla di Pintaldi, e allora, giusto lui (tanto per avere un esempio sotto mano che è stato citato incidentalmente). A che ci serve parlarne come pittore? Che dipinga è fuor di luogo, ma la sua ricerca quanto poco ha a che fare con l’idea di pittura in senso tradizionale e, ancor più, quanto poco ha a che fare con l’idea di “figura(zione)”? Verità, realtà, real, fiction, vecchio e nuovo, prima e dopo, sono concetti superati e che non ci servono più se non nel momento in cui sono negati dal loro contrario, nel momento in cui perdono di ogni barlume di senso. Ogni tanto qualcuno la mette giù dura affermando che “la pittura è morta”. Ebbene sì, la pittura è morta, ma mica perché non si dipinga più, piuttosto perché ci interessa solo come accidente tecnico in un’ottica diversa. Pintaldi, per dirne una, dichiara (in sintesi) di voler rendere reale il virtuale. Azzerare la dicotomia real/fiction dunque, dicotomia intorno alla quale lavorano mica solo net artisti, ma pure, che so, la fotografa Gea Casolaro, il video artista-ricamatore Vezzoli, Cattelan e quanti altri? Ci frega assai di inquadrarlo nella categoria della “pittura italiana di figura” (ripeto che Pintaldi è un esempio che c’entrerà forse poco con gli artisti presi in esame da Arte per la “nuova figurazione”).
Quello che volevo dire, Alessandro, era che avrei preferito leggere su Arte tutt’altro che un commento esaltato sulla ricerca di Pintaldi che dalle icone della storia del cinema si è spostata su Tati del grande fratello e sull’autocitazione. Non è compito vostro, che così tanto seguite la pittura, redarguire atteggiamenti simili?
Riguardo al fatto di Pintaldi-inventore-di-un-nuovo-linguaggio sono d’accordo con te, ovviamente.
“Verità, realtà, real, fiction, vecchio e nuovo, prima e dopo, sono concetti superati e che non ci servono più se non nel momento in cui sono negati dal loro contrario, nel momento in cui perdono di ogni barlume di senso”.
Per quel che può interessare agli altri concordo con questa tua osservazione, caro Alf.
Aggiungo una frase di Gadda tratta da “La cognizione del dolore”,(la cito a memoria, perciò può essere leggermente diversa):
“Se un ‘idea è più moderna di un’altra, è segno che non sono immortali né l’una, né l’altra.”
A mio parere Gadda ha scritto (se lo ha scritto in quei termini) una titanica idiozia, anzi, una vera scemenza.
Tutta la storia del Pensiero occidentale è costituito da idee che hanno superato altre idee, trasformandole, spesso stravolgendone il concetto e la verità, ma non per questo non sono idee immortali.
Dalla Teoria cosmologica di Epicuro all’intellettualismo etico di Socrate, dal concetto di “volontà” in S. Agostino (che appunto supera il pensiero socratico sopracitato) al Panteismo spinoziano.
Tanto che Hegel, a questo proposito, introdusse la teoria del “dinamismo dialettico”.
E che dire di Machiavelli? di Parmenide? e di Aristotele stesso?
Tutti pensieri oggi anacronistici quindi non moderni, superati da idee più moderne.
Vi sembra non siano immortali?
Io credo che sia vero l’esatto contrario di quanto riportato in quello stralcio di Gadda, ovvero che “Se un ‘idea NON è più moderna di un’altra, è segno che non sono immortali né l’una, né l’altra”.
Penso che Gadda abbia voluto dire così.
Ciao, Biz.
La ringrazio per aver definito “interessante” la parte della rivista dedicata agli “Investimenti”, che curo ormai da dieci anni. Non le piace più Cristiano Pintaldi, e rispetto la sua opinione. Da parte mia, ogni mese scelgo sette artisti di generazioni diverse (e dal costo quanto mai vario) su cui, secondo la mia esperienza, sarebbe opportuno che i lettori della rivista investissero il loro denaro. Tra gli altri, in questo mese parlo di Nauman, Araki, Schwitters e Tunick. Pintaldi è a mio avviso, tra i giovani artisti italiani, uno dei più convincenti, e ho ritenuto opportuno segnalarlo. Anche perché ritengo che, analizzati tutti gli elementi a disposizione, il rapporto qualità/prezzo della sua produzione sia piuttosto interessante. Né – devo dirle francamente – mi scandalizzo se Pintaldi scelga come spunto per qualche quadro l’orribile “Grande Fratello”. Anzi: il fenomeno della trasmissione televisiva iper-trash, con i suoi banalissimi, ignoranti e falsi eroi, analizzato negativamente dagli intellettuali di tutto il mondo ma visto da milioni di persone, mi sembra perfettamente in linea con la sua poetica.
Mi spiace anche che ritenga inutile analizzare il mercato dell’arte dopo quanto accaduto l’11 settembre. Questa sua affermazione, così apodittica, mi ha davvero stupito. Far sapere ai lettori di Arte che le aste battute a Londra e New York appena 20/60 giorni dopo un evento di tale rilievo sono andate bene, registrando perfino dei record, a me sembra una notizia tutt’altro che secondaria. Il mercato dell’arte è sempre esistito, e artisti, critici, storici dell’arte, giornalisti, galleristi e case d’asta vivono proprio grazie al mercato dell’arte… Non crede?
Egr.Sig.Diez,nell’articolo non mi sembra assolutamente di vedere alcuna affermazione apodittica sull’inutilità,dopo l’11 settembre, di analizzare il “mercato”.Sbaglierò ma mi è sembrata una “tirata” ovvia nelle conclusioni,ma ,sinceramente,inutile e a sproposito.Spero mi scuserà….ma è quello che penso.
Caro Renato,
(ti preannuncio che mi permetterò di darti il tu) Non ho definito inutile l’articolo sul mercato post-11settembre. Ho detto semplicemente che si trattava di dati e considerazioni già sentite. Per carità, anche su Exibart sono usciti articoli di analisi sulla situazione del mercato e delle aste dopo la tragedia newyorkese, ma ormai è passato quasi un semestre e credo che ogni lettore avveduto abbia compreso il quid, ovvero che il mercato dell’arte è sostanzialmente andato per la sua strada fregandosene altamente degli accadimenti e, anzi, profittando di qualche fuga di capitali da Wall Street e da Time Square (Nasdaq). Riguardo all’esaltazione del mercato mi trovi fermo sostenitore!
Veniamo a Pintaldi. Premetto che mi fa piacere aver lanciato, per così dire, un piccolo dibattito sulla evoluzione del lavoro del pittore romano. Rimango convinto però, in attesa di prova del contrario, che i nuovi lavori di Cristiano implodano in se stessi, manchino di potenza espressiva, difettino di spessore contenutistico. Tempo fa scrissi (immediatamente ripreso da altri su altre riviste) che Pintaldi, con copertine di libri, opere esposte nella casa del Grande Fratello e gigantografie nelle stazioni ferroviarie, era ormai l’artista giovane che godeva in assoluto della maggiore visibilità. Oggi noto che tutto ciò, forse, ha nuociuto al rigore della sua ricerca.
Caro Renato, dopo aver ammirato la mostra di Cristiano Pintaldi da 1000eVenti (sicuramente l’avrai vista) quale cultore dell’arte contemporanea potrebbe accontentarsi di fronte alle TwinTower presentate ad ARTissima? Io credo che ogni artista porti con se le aspettative che genera, in me Pintaldi ne aveva create ben’altre.
Seguo i tuoi articoli su arte&mercato da circa due anni. Anche per questo ti ringrazio per aver preso parte al dibattito. Ciao Renato.
Il signor Tonelli ha visto la mostra milanese da Pintaldi come io ho visto quella che faranno a Treviso su Van Gogh. E’ andato in una galleria di cui non si ricorda nemmeno il nome? Ma mi faccia il piacere!
Continua, signor Tonelli, a recenzire riviste e a cercare di imparare dagli articoli degli altri. Non abbia per cortesia la presunsione di essere la “fonte dele fonti”.
ma la grammatica? hihii
cara ada, non ti sei accorta che si sta conducendo un dibattito culturale? Tu, dunque, cosa c’entri? ciao
ma cosa dice questa terrona di Ada, la mostra l’ho vista pure io ed era proprio alla 1000eventi
dibattito culturale su exibart?
quando ci sarà avvertitemi.
Caro Ambrogio Meneghetti,
(ma chi vuoi prendere in giro, caro mio?)
se tu sei di Milano, o anche solo lombardo, io sono un bradipo ad un corso di pizzo Cantù.
Ma non intervengo per stigmatizzare la tua ormai prevedibile abitudine di commentare con i nomi più falsi e circostanziati.
Questi sarebbero fatti tuoi e della tua rivista. De Gustibus!
Ma ciò che è inaccettabile è che metti in bocca ad un milanese la parola “terrone”, che ormai qui nessuno utilizza più per definire i meridionali.
Perchè non “Teresa Polentòn”?
“Ambrogio”: Santo Protettore di Milano.
“Meneghetti”: dalla storica Maschera milanese (Meneghino) col quale viene tradizionalmente identificata la città di Milano.
“Terrone”; sarebbe un altro identificativo della milanesità per far credere che scrivi da Milano?
Sapevamo che te la canti e te la suoni, ma non pensavamo che fossi così privo del pur minimo pudore intellettuale e civile.
Ecco, una, delle differenze tra Biz e uno che fugge.
Ciao, Biz.
Egr.Sig.??? Ambrogio(i punti interrogativi non sono un errore-sto mettendo in dubbio il suo essere un signore-),dovrebbe smetterla di nascondersi dietro l’anonimato.Non si senta eroico come Pasquino(lui rischiava la forca e poi…diceva cose condivisibili).Lei rischia solo una brutta figura:in verità rischia tutte le mattine di più guardandosi allo specchio!!!L’ottimo Miles Gloriosus l’ha già svergognata abbastanza.Non aggiungo altro:non le concedo la scappatoia del colpo di grazia.Saluti.