Un uomo si aggira per la mostra, in una mano tiene il bastone, l’altra va a cercare la figlia con un gesto affettuoso. Si lascia portare, quell’uomo, dalla compagnia di chi gli si avvicina per porgergli il proprio saluto, attirato, oltre che dall’ammirazione per il Maestro, dall’aura sincera che lo avvolge e dagli occhi che non smettono di ridere. Sorride di gratitudine agli infiniti complimenti, deviando i più sentiti con una modestia che non ci si aspetta da un uomo così grande. Tra la folla elegante ora è il protagonista, lui che per quasi vent’anni anni agli eventi ci è andato da invitato de “Il Mondo”, ospite eccezionale che avrebbe reso l’occasione straordinaria perché sicuramente ne avrebbe immortalato l’attimo e lo spirito perfetti: della vita che scorre sotto i suoi occhi ne avrebbe fatto un’opera d’arte.
Quell’uomo è Paolo Di Paolo, nato a Larino, in Molise nel 1925, protagonista di una storia in cui la propria vita, la propria passione e la società italiana degli anni ’50 e ’60 si fondono insieme in uno scatto, o meglio, nei più di 250 scatti inediti esposti allo Spazio EXTRA del MAXXI. Fino al 30 giugno resteranno ad aprire una ferita nel tempo che ci separa da quei personaggi, da quei frammenti di vita la cui voce è nostra, è familiare perché il loro linguaggio è quello della sensibilità.
Paolo Di Paolo. Mondo perduto, photo Musacchio, Ianniello & Pasqualini, courtesy Fondazione MAXXI
L’espediente narrativo è semplice, ma dei più efficaci: un ricchissimo archivio fotografico scovato per caso in cantina dalla figlia; un direttore creativo (Alessandro Michele, di Gucci) che incontra altrettanto fortuitamente alcune fotografie di Di Paolo in una galleria e ne rimane affascinato al punto da voler “sapere di più, approfondire, conoscere, capire” l’opera e il suo artefice. Si scopre così la vita di Paolo Di Paolo, il fotografo con più pubblicazioni su “Il Mondo”, la rivista diretta da Mario Pannunzio che dal 1949 al 1966 ha costituito il caso paradigmatico del giornale illustrato in Italia. A “Il Mondo” e ai suoi lettori Di Paolo ha dedicato ogni suo scatto: dove non arriva con la composizione formale, il fotografo arriva a cogliere con l’ironia i risvolti dell’Italia confusa nel controverso passaggio tra il periodo postbellico e il boom economico. La sua macchina monta un obiettivo senza filtro, che costa al fotografo la propria persona, attraverso il quale Di Paolo si dissolve per lasciare passare la verità dell’immagine fermata soltanto dal sentire spontaneo: in armonia con la realtà circostante, tra l’osservatore e l’osservato non c’è nient’altro se non un abbraccio.
E mentre Di Paolo da a “Il Mondo” (verrebbe da dire “al mondo”) la propria passione, “Il Mondo” lo rende a pieno partecipe del linguaggio giornalistico e gli restituisce i mezzi per definirla: l’elzeviro, articolo di stampo culturale caratterizzato per la ricerca linguistica e l’eccellenza di stile, diventa tipo fotografico. Pannunzio aveva pensato di dare maggiore rilievo alla fotografia nella rivista e di far sì che le immagini non seguissero semplicemente il testo e lo completassero in un ruolo accessorio, ma che testo e immagine si confrontassero parallelamente, dialogando tra loro senza gerarchie di sorta. Le fotografie di Di Paolo sono quindi elzeviri, al pari delle prose d’arte a cui si accompagnavano, sia per lo stile che per le proprietà narrative. Quando è chiamato a ritrarre la società italiana, Di Paolo sa cogliere scatti di vita che in un istante racchiudono e schiudono storie, mondi possibili, reali e immaginari. Dai reportage in Italia e all’estero Di Paolo riporta i volti di una società intera e le diverse realtà di un intero periodo: dalle pose annoiate ai balli della borghesia romana a un bimbo vestito di stracci ma fiero nelle strade di Forchia a Benevento; dalle officine di Enzo Ferrari alla miseria di spaccati di Italia che in molte sue parti, negli anni ’60, era ruvida e polverosa come nell’ ‘800 o anche prima.
Paolo Di Paolo. Mondo perduto, photo Musacchio, Ianniello & Pasqualini, courtesy Fondazione MAXXI
La capacità di “scattare elzeviri” è la prova di una sensibilità che deve molto all’umiltà del fotografo che fino alla fine si definirà dilettante. Una tale maniera garantisce a Di Paolo la fiducia di Pannunzio e delle personalità dello spettacolo di allora, senza la quale non si possono spiegare le pose sincere e distese di Oriana Fallaci e Anna Magnani – mai pubblicate perché l’amicizia viene prima dello scoop. Marcello Mastroianni e Gloria Swanson posano, è vero, ma i loro ritratti sono costruiti senza perdere di spontaneità: la costruzione è necessaria per cogliere identità complesse, fulcro di arti e ideologie. Per le foto al Re in esilio, Umberto II di Savoia nella città di Porto, Di Paolo aveva pensato al giardino abbandonato della villa Entre Quintas: “era l’ambiente ideale per una foto che vagamente avevo già concepito partendo da Roma. Ora si trattava di realizzarla. In prossimità di una fontana, anch’essa abbandonata, si creò, quasi per incanto, la situazione che avevo sognata”. E poi Lucio Fontana alla Biennale di Venezia, affilato come i suoi tagli; Mimmo Rotella in strada a Roma alle prese con dei manifesti pubblici per un décollage; la serie Gli incontri impossibili, pubblicata da “Tempo” nel 1961-62, a dare l’immagine e l’esempio di un ambiente artistico aperto; fino ad arrivare a Pier Paolo Pasolini: con lo scrittore, Paolo Di Paolo realizza il reportage La lunga strada di sabbia (1959), sulle abitudini degli italiani in vacanza. Se durante quell’esperienza i due faticheranno a comunicare, il risultato è riuscito a tal punto da spingere Pasolini a chiedere in seguito a Di Paolo di fargli da fotografo nel suo luogo più personale: il Monte dei Cocci. In borgata, ai piedi del monte, tra i saluti di tutti Pasolini sembra tornare ragazzo; in cima, dietro Pasolini già uomo, si staglia una croce. È ancora Di Paolo che cattura una storia.
Paolo Di Paolo. Mondo perduto, photo Musacchio, Ianniello & Pasqualini, courtesy Fondazione MAXXI
Se dal 1966 Di Paolo non ha più menzionato il suo passato da fotografo, tanto da tenerne all’oscuro persino la figlia, è per umiltà e per quella sorta di silenzio reverenziale che si riserva ai defunti. Nel 1966, infatti, Di Paolo riceve la notizia della cessata attività de “Il Mondo”: la magia delle sue foto viene dall’innamoramento per una vita e le sue persone, senza di quelle è inutile continuare, sarebbe solo cosa da paparazzi. Grazie alla figlia, a Giovanna Melandri (Presidente Fondazione MAXXI), Bartolomeo Pietromarchi (Direttore MAXXI Arte), Giovanna Calvenzi (photoeditor e curatrice) e Alessandro Michele che con Gucci hanno reso possibile la pubblicazione del catalogo Paolo Di Paolo. Mondo perduto. Fotografie dal 1954-1968 (Marsilio) e la realizzazione di questa prima monografica dedicata all’uomo oltre al fotografo.
Riccardo Franzetti