Am I a lucky Violetta? Si sentirà di nuovo “fortunata” Zuzana Markovà, come scrisse sui social nel 2020, al debutto nei panni di Violetta alla StaatsOper di Berlino a fianco di Placido Domingo?
Ne avrebbe motivo. Non soltanto perché la talentuosa soprano ceca sostituirà, nel ruolo principale de La Traviata all’Arena di Verona, la star Aida Garifullina, costretta a cancellare la performance per un intervento chirurgico. In aggiunta, la buona (e meritata) sorte ha portato la Markovà a interpretare l’intensa madamoiselle Valéry sul palco dell’anfiteatro romano il prossimo 2 settembre circondata da alcuni dei maggiori capolavori della storia dell’arte. Stavolta, grazie alla sinergia per il 2021 tra Fondazione Arena di Verona e 12 eccellenze museali italiane (di cui vi abbiamo parlato qui), saranno le Gallerie degli Uffizi di Firenze a “dipingere” lo sfondo dell’opera di Verdi sul mega ledwall pensato per evocare le atmosfere sognanti del melodramma, senza movimentare (e assembrarsi) troppo.
«Per La Traviata – spiega il Direttore del museo fiorentino Eike Schmidt – le Gallerie offrono una scelta di immagini che racconta la figura femminile in tutte le sue declinazioni, spaziando dal Rinascimento al XIX Secolo». Così come molteplici sono le sfaccettature del tragico personaggio della maturità verdiana, mutuato da La Signora delle Camelie di Alexandre Dumas figlio (a sua volta tratto dalla reale Marie Duplessis), altrettanto variegate sono le muse di geni Cinquencenteschi, Manieristi o Macchiaoli, che appariranno alle spalle di Violetta, per tratteggiarne i contorni.
Innanzi tutto prevale la bellezza, declinata nella mitologica sensualità di Venere, che in Botticelli nasce già donna e in Tiziano ammicca nuda allo spettatore, pari merito con la conturbante Flora del genio veneziano; “in mostra” poi l’eleganza naturale di Alaide Banti, figlia dell’amico pittore Cristiano, ritratta più volte da Giovanni Boldini. Avvenenza ed eleganza sono le armi principali che la “mantenuta” Violetta Valéry utilizza per sedurre i suoi ricchi corteggiatori, come il barone Douphol, antagonista dell’amato Alfredo Germont, qui il tenore Saimir Pirgu, scoperto da Claudio Abbado.
Il destino della donna è però segnato dalla sua licenziosità: Violetta è traviata, giudizio che ella stessa si appunta sul finire del melodramma, nell’ultimo atto III – scena IV: «Ah della traviata sorridi al desìo / a lei deh perdona, tu accoglila, o Dio». Parole che avrebbe potuto pronunciare Maria Maddalena, la santa peccatrice che con le sue chiome fluenti asciuga i piedi di Cristo, lavati e cosparsi di oli profumati, sul cui vaso, accanto a una donna discinta e penitente, l’immenso Titianus pone la sua firma, nella tavola conservata agli Uffizi e riprodotta nelle scenografie dell’Arena. Nella galleria virtuale compare anche una S. Maria Maddalena seicentesca, dipinta da Artemisia Gentileschi, sulla cui vita privata e professionale ha inciso – al pari della protagonista di Verdi – l’onta immeritata del giudizio morale, a seguito della violenza carnale subita.
La fiera santa di Artemisia è avvolta in un magnifico abito di seta gialla, intenta ad allontanare da sé lo specchio, simbolo di quella vanità che anche Violetta rinnega, pur se solo temporaneamente: nell’opera degli Uffizi si legge infatti su quello specchio Optimam partem elegit: “ha scelto la parte migliore”, ovvero la virtù.
Una virtù di martire che, appunto, anche l’eroina verdiana a suo modo insegue, soffrendo laicamente dell’inconfessabile tisi, quel “mal sottile” che l’Ottocento taccia a marchio indelebile di lussuria. Violetta rinuncerà prima segretamente ai suoi beni, per finanziare l’unione con Alfredo, e poi alla sua stessa felicità, in favore dell’amato, sotto la pressione del padre di lui. La dote altruistica della cocotte viene personificata nell’inedito allestimento da La Velata di Raffaello, il cui velo sul capo racchiude mirabilmente la compostezza sontuosa delle vesti.
Un mosaico psicologico, dunque, quel mondo interiore di Violetta, la cui complessità è ben ricostruita dalle opere selezionate dal museo e dai creativi veronesi, guidati da Cecilia Gasdia, prima donna Sovrintendente e Direttore artistico di Fondazione Arena.
Ebbene, può dirsi fortunata Zuzana Markovà, la cui voce si spanderà in tale «concentrazione di bellezza e intensità emotiva», rilevata a buona ragione dal Direttore degli Uffizi. Eternamente sventurata resta, al contrario, la sorte dell’eroina che la soprano interpreterà, l’amarezza della cui fine è ulteriormente acuita, per contrasto, dall’età dell’oro della Ville Lumière, che riecheggiano le sfolgoranti proiezioni architettoniche del nuovo allestimento, posticipando filologicamente la vicenda immortale.
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