Il buongiorno si vede sempre dal mattino, Francesco Jodice (Napoli, 1967) inizia il suo racconto dicendo «È un progetto durato due anni, è strambo». Qualcosa di talmente lontano dagli standard del fotografo che la stessa Ilaria Bonacossa, curatrice assieme ad Annamaria Aimone, appena ne vide le prime bozze confessa d’aver esclamato «Jodice è impazzito». Poiché il luogo del misfatto è Gavi, paese dell’alessandrino dove è il vino ad essere migliore amico dell’uomo, qui le opzioni sono due: A) c’è stato qualche bicchiere di troppo; B) tasso alcolemico nella norma, questo è solo il trailer per una trama carica di effetti speciali.
Imbracciate sacchi di pop corn e preparatevi per una puntata al cinema, ad offrire sono Fondazione La Raia assieme al Polo Museale del Piemonte. Teatro della scena il suggestivo e arroccato Forte di Gavi, lì dove fino al 7 settembre prossimo resterà in programmazione una pellicola dal titolo promettente. Altisonante come una grande produzione d’oltreoceano da godersi in cinemascope: “Il corsaro nero e la vendetta del Gavi”.
Il cast è dato, la sceneggiatura presto fatta: ispirato dalle colonne sonore scritte da Angelo Francesco Lavagnino, genovese stabilitosi fino alla morte proprio a Gavi, Jodice è andato alla scoperta di quel territorio a lui poco noto, muovendosi tra paesaggi e situazioni che non costituiscono l’humus consueto della sua ricerca. Tuttavia un certo approccio socio-ambiantale alla materia Jodice l’ha mantenuto, entrando in contatto con gli abitanti del posto, di cui ha sondato l’ospitalità bussando di porta in porta per ottenere ogni volta la visuale consona, per riportare tutta la sincerità di un territorio paciosamente non allineato ad un fotografo che dichiara «Io nel mio lavoro cerco uno scontro». Da queste parti gli unici scontri pervenuti sono quelli legati al Forte, coi suoi mille e rotti anni di storia.
Francesco Jodice, Il Corsaro Nero e la vendetta del Gavi – courtesy Galleria Michela Rizzo Venezia
In una maniera o nell’altra però gli opposti si attraggono, e quel paesaggio che il fotografo va a definire «Modesto, sereno» diventa nodale, in quanto – continua il nostro – crea una «Asincronia con la musica di Lavagnino, che al contrario ti porta in giro in luoghi esotici, misteriosi». Incroci imprevedibili che riplasmano Gavi e hinterland come una nuova Cinecittà dei tempi d’oro, la chiave di quei nove lavori che il team Jodice-Bonacossa ha deciso di chiamare bassorilievi, collage fotografici di dimensioni importanti che suggellano un progetto prodotto totalmente in «Low-tech», come definisce Bonacossa, asportando parti dalle locandine originali dei film musicati da Lavagnino – «Comprate su Ebay piuttosto che Amazon» racconta Jodice – e facendole girare nel territorio (leggenda vuole che Jodice e i suoi abbiano camminato per Gavi accompagnati da sagome in carta), perlustrando i vari set in cui ambientare ciascun protagonista. Che in fase successiva è stato applicato manualmente allo scatto, producendo alla fine immagini coerenti sul piano narrativo-visivo. Incoerenti però proprio perché “non in piano”, in quanto ogni elemento “cinematografico” è sovra-applicato e sollevato dal fondo di buoni due centimetri, rendendo obbligatoria secondo Jodice l’azione di «Girarci attorno, osservarle a trenta gradi». Pratica anomala se applicata ad un prodotto fotografico ortodosso, imprescindibile tuttavia quando – come spiega Bonacossa – l’intenzione è «Tenere distanti i due livelli».
In quel 3D vecchio stile c’è il succo dell’operazione “meta-fotografica” messa in campo da Jodice, che se da un lato fa ritrovare con un colpo di “carrambata” parte delle loro “origini” ad icone di celluloide, dall’altra a anche funzione di screening sociale, raccontando sul posto i gusti di un’Italia anni Sessanta pazza per il grande schermo. Un’Italia che sognava l’America, tra titoli che spaziano dal kolossal biblico Ester e il re – con tanto di Joan Collins ai piedi di Richard Egan in una scena epica sul sagrato della chiesa di San Giacomo – allo spaghetti western Gli specialisti di Bruno Corbucci, dove Jhonny Halliday versione cowboy cavalca senza colpo ferire nel bel mezzo del torrente Lemme a Carrosio, near Gavi.
Francesco Jodice, Il Corsaro Nero e la vendetta del Gavi – courtesy Galleria Michela Rizzo Venezia
Nelle parole spese per descrivere questo progetto c’è tutta la passione di Jodice, il cuore di un fotografo che rivela d’essersi innamorato del lavoro di Lavagnino proprio grazie al tema de Gli Specialisti. Ma anche il fegato di chi ha voluto mettersi in gioco in un progetto caratterialmente insolito, un professionista capace di “upgradare” una lettura sociale del territorio giocando apertamente con gli elementi cimematografico-paesaggistici. Accogliendo pertanto pellicole sul crinale del trash – con lessico ingentilito B-movie – da fini assaggiatori del genere.
Era il 1967, nelle sale arrivava Gungala, la vergine della giungla. Un titolo, una garanzia di ritrovare la sexy protagonista in adeguata mise – succinta, nella giungla d’altronde ci si veste il minimo necessario – con codazzo di felini esotici. L’imperdibile primadonna d’altri tempi che Jodice tramuta in eroina della porta accanto, immergendola in una selva di cascatelle a poca distanza dal Forte di Gavi. Meno curve in vista, ma stesso trattamento per il “tenerissimo” Gorgo, fratellino tricolore del più internazionale Godzilla, presenza apocalittica sulla cima del Forte. Non ci sono aggettivazioni consone a definire quest’immagine, se non che il risultato “spacca”.
L’imponente roccaforte di Gavi ospiterà la mostra per tutta l’estate. A La Raia invece – come da prassi consolidata – resterà traccia di questo intervento con l’istallazione in permanenza di uno dei lavori, assieme ad una selezione di note scritte da Lavagnino, poeticamente “performate” nel giorno dell’inaugurazione dalla banda “Romualdo Marenco” di Novi Ligure e dal genovese Conservatorio Niccolò Paganini. E mentre incombono i titoli di coda ce n’è anche per casa vostra, il servizio “take away Jodice” arriva con una affiche della mostra iso-locandina cinematografica distribuita a mo’ di gadget. Fine.
Andrea Rossetti