Sono passati trentadue anni dall’ultima antologica dedicata ad Alberto Burri. Tanti, forse troppi per un’artista così importante e infinitamente complesso, attorno al quale c’è ancora tanto da capire. E da scoprire. Lo sa bene Bruno Corà, presidente della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, l’istituzione che custodisce gran parte dell’opera dell’artista umbro. Da qui l’esigenza di creare una mostra completa, riportando Burri a Venezia. Cinquantatré anni dopo la storica personale ospitata dalla XXXIII Biennale Internazionale d’Arte del 1966, che gli valse un premio, mai ritirato. Ora che il conto delle mostre veneziane ha raggiunto quota 58, Burri torna a essere protagonista (dopo aver perso l’occasione di celebrarne il centenario, nella scorsa edizione, come racconta Corà nell’intervista), con una retrospettiva antologica che non appartiene al programma ufficiale della Biennale ma ne rappresenta comunque uno dei principali eventi collaterali. La mostra, in programma dal 10 maggio al 28 luglio 2019, negli spazi dell’Ala Napoleonica della Fondazione Giorgio Cini, ospita circa 45 opere provenienti dalla Fondazione Burri, da musei italiani e stranieri e da collezioni private, ricostruendo, nella sua interezza, la parabola storica di uno dei più grandi protagonisti dell’arte italiana ed europea del XX secolo.
Cosa vediamo, di Burri, a Venezia?
«Ciò che proponiamo a Venezia è tutta l’eccellenza del suo repertorio. Oltre a numerose opere della Fondazione Burri di Città di Castello vi sono anche significativi ed importanti prestiti da varie istituzioni tra cui quelle del Centro Georges Pompidou di Parigi, della Fondazione Svizzera Ghandour, della Collezione Guggenheim di Venezia, della Wadhington University e della Galleria Nazionale di Roma, insieme a collezioni private. La selezione inedita di opere rappresenta tutti i più famosi cicli realizzati da Burri: dai primi e rari Catrami e dalle Muffe del ’49, presentati in stretto confronto con gli iconici Sacchi (1949-50), ai Gobbi, per arrivare alle affascinanti Combustioni, ai Legni e ai Ferri degli anni successivi fino all’evoluzione straordinaria dei Cretti degli anni ’70, divenuti uno dei temi di ricerca più iconici di Burri, fino ai grandi Cellotex, realizzati fino a metà degli anni Novanta, con alcuni esemplari straordinari anche di grandi dimensioni (oltre sei metri). Insomma, la sua opera completa. La mostra antologica retrospettiva reca il titolo “La pittura, irriducibile presenza”, da una sua frase: quando invitato all’estero nel ‘55-56, disse che non riusciva a descrivere la sua opera a parole perché non riusciva a sostituire la sua forma di espressione in modo verbale. Niente oltre alla pittura se non la pittura stessa».
Cretto G3, 1975 Acrovinilico su cellotex cm 172×151 (175x154x7,5) Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri
Come si inserisce la mostra di Burri nel contesto della 58ma Biennale?
«La mostra di Venezia, oltre ad offrire una lettura completa e aggiornata dell’arte di Burri, porta a compimento un percorso di riconoscimenti internazionali che negli ultimi anni ha affermato ulteriormente la grande attualità della sua opera, confermandolo tra i grandi maestri dell’arte italiana del Novecento. Dopo le celebrazioni del Centenario della nascita (2015) al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, che aveva dedicato a Burri una grande retrospettiva antologica, così come la Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen K21 Ständehaus di Düsseldorf e le varie manifestazioni in Italia, tra cui la grande mostra nella sede della Fondazione a Città di Castello a fine 2016, siamo riusciti a riportarlo a Venezia grazie alla Fondazione Giorgio Cini e alla Fondazione Albizzini, con il contributo di Paola Sapone MCIA, Tornabuoni Art e di Banca Intesa Sanpaolo. In realtà avevamo già proposto, durante il centenario, una mostra su Burri, alla Biennale, in occasione della visita dell’allora Ministro Dario Franceschini agli ex Seccatoi. Ma poi non andò in porto: forse perché non era stata colta l’importanza, o perché non c’erano le condizioni idonee per una presenza come la Sua. Non lo dico in tono polemico, ma solo con rammarico, per una grande occasione persa. Ma ora possiamo rifarci al meglio con questa mostra, che pur rappresentando uno degli eventi collaterali della Biennale, si inserisce nel clima della grande esposizione veneziana che vede da sempre fiorire contestualmente una serie di mostre di grande spessore. Quest’anno peraltro vi sarà anche la mostra di Kounellis che andrà in scena da Prada e questo mi fa ancora più piacere perché vuol dire che ci saranno a Venezia due mostre di altissimo livello e di grande richiamo per un ‘fuori Biennale’ tutt’altro che banale».
Cosa c’è ancora da scoprire di Burri, oggi?
«In questo momento siamo al lavoro sul rapporto tra Burri ed altri artisti: come Calder, De Kooning e Afro di cui fu amico, ed altri su cui stiamo studiando per capire gli spunti trasmessi e le influenze. Ma c’è soprattutto il campo segreto della fotografia, ancora tutto da scoprire. Grazie al grande repertorio di fotografie inedite di Burri che delineano uno scenario intimo e profondo, noi ne daremo delle prime indicazioni che andranno studiate ulteriormente nel tempo. Già in questi mesi, con l’apertura della mostra “Obiettivi su Burri” di 36 fotografi internazionali in scena agli ex Seccatoi, viene esplorato il tema della fotografia con i grandi autori contemporanei che hanno immortalato Burri, raccolti in un unico evento espositivo, con scatti e fotoritratti dell’artista dal 1954 al 1993, in vari momenti della sua vita realizzati da artisti come Aurelio Amendola, Gabriele Basilico, Giorgio Colombo, Giuseppe Loy, Ugo Mulas, e tanti altri. Ma oltre a questo, abbiamo a disposizione anche molte fotografie di estimatori privati di Burri che saranno oggetto di altri progetti e che consentiranno agli studiosi di fotografia di ricavare nuove conclusioni sulla sua versatilità. Si tratta di un terreno inesplorato, di un continente ancora da scoprire, ma che richiede uno studio approfondito. Altro aspetto da approfondire, infine, è anche il suo rapporto con Lucio Fontana che abbiamo già messo in risalto in alcune mostre e che viene ora ripreso anche nella mostra fotografica di Città di Castello».
Nero e Oro, 1993 Acrilico, oro in foglia, cellotex su tela cm 106×161,5 (108×163,5×5) Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri
Qual è la lezione di Burri lasciata al mondo dell’arte?
«Forse non ce n’è una sola ma se proprio dobbiamo tirare le somme potremmo parlare di un messaggio “bifronte”: come la sua opera duplice che esponiamo a Venezia. Si tratta di un artista che non ha mai patteggiato nella vita, radicale nelle scelte, mai sceso a compromessi. Fermo e integro, fino alla fine. Mentre l’altro aspetto, comunque legato al precedente, è il forte senso etico, da tutti riconosciuto: anche dai colleghi, ancor prima che dai musei e dagli studiosi. Leggendo le parole di Scarpitta emerge chiaramente, quando diceva: “non potete immaginare cos’era Burri per noi che vivevamo in America”, affermando che Burri con la sua arte, gli aveva permesso sempre di girare a testa alta. Se Burri era un uomo rigido e riservato, è pur vero che abbiamo a che fare con un artista dalla generosità unica. Guardando gli ex Seccatoi, possiamo dire senza tema di errore che abbiamo uno dei più grandi musei al mondo dedicati a un artista. Un patrimonio del paese e del mondo che è frutto di un suo lascito e di una sua precisa volontà. Ed è un gesto di straordinaria lungimiranza e generosità. Ci teneva molto al rapporto col mondo e con l’arte. Era un tipo, come lui stesso amava ricordare, a cui bastava pane, prosciutto e un bicchiere di vino: ma che al tempo stesso si nutriva dell’arte. Su questo, peraltro, mi piace anche sottolineare la sua grande cultura visiva e storica che era molto ampia e nient’affatto limitata solo perché era un medico, come qualcuno ingenerosamente sosteneva. Già in giovinezza aveva commissionato dei restauri di opere importanti e amava immergersi nell’arte. Come disse lui stesso nei momenti in cui era esplosa la diatriba con l’artista Rauschenberg: “La differenza tra me e lui è che io ho respirato l’Umbria”, proprio a sottolineare il suo rapporto quotidiano con la grande arte e la storia».
Per concludere: cosa ne pensa della Biennale di Venezia?
«La Biennale rappresenta da sempre un importante momento centrale nel panorama artistico italiano e internazionale, pur avendo scatenato grandi dibattiti nel corso del tempo rispetto alla qualità e alla sua realizzazione. Quello che possiamo dire è che andiamo anche quest’anno armati di fiducia e di attese: nonostante nelle ultime edizioni siamo tornati a casa delusi. Speriamo che quest’anno cambi la rotta. Di certo possiamo dire che con la nostra mostra offriamo un clima di qualità assoluta che favorirà il pubblico dal palato esigente».
Alessio Crisantemi