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10+1 e il Nuovo realismo
10 artisti si confronteranno in pittura, fotografia e scultura
Comunicato stampa
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La giostra delle immagini viventi
di Francesca Franco
La realtà si trasmette, si diffonde, sta nei giornali, nei romanzi, nella televisione, nel blob di immagini continuamente realizzate, riprodotte, proiettate, trasmesse. Sta in tutto quello che si vede ogni giorno. Dalla produzione industriale, a fine Ottocento, dei colori ad olio alla scoperta della fotografia, dalle pellicole in superotto all’attuale immagine digitale, i mezzi di riproduzione del reale si sono enormemente moltiplicati, i metodi semplificati, i tempi ridotti. Tanto che Walter Benjamin poteva asserire, già nel 1936, che «ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di venire filmato»1, trasformandosi da anonimo passante in comparsa o protagonista di un’opera d’arte, o addirittura, in autore della stessa. Parallelamente, con l’espansione della stampa sempre più lettori sono pronti a passare dalla parte di “coloro che scrivono”, per talento letterario o semplicemente perché competenti di qualcosa. Questo costituisce certo una ricchezza ma, per altri versi, pone dei problemi e apre delle incognite (tra cui la capacità, individuale e collettiva, di muoversi in una ressa di notizie e affermazioni, distinguendo il vero dal falso, la sostanza dalle parole vuote), come sembra avvertire Olaf Pignataro ritraendo un antico torchio tipografico in ferro, architettonicamente concepito e monumentale quanto un tempio o l’Altare della Patria dipinto da Lapo Simeoni, con il quale condivide l’aspetto surreale e ambivalente. Innalza il genio e le possibilità dell’uomo oppure lo schiaccia, lo appiattisce su un superficiale conformismo in cui la parola “ragione” (rapporto preciso e lucido con le cose, comportamento formale ineccepibile) diventa una sorta di rimedio per tutti i mali? Un discorso analogo potrebbe essere applicato alla parole “fede”, ormai brandita minacciosamente da moltitudini di persone e divenuta uno dei più efficaci collanti sociali, anzi, «l’unico che fornisca una riserva inesauribile di certezze, sulla base delle quali le azioni più diverse possono essere compiute, le più miti ma anche le più micidiali, senza bisogno di giustificazioni ulteriori»2, dall’alienazione dei diritti civili all’assassinio, dal reclutamento di kamikaze alla leva di soldati bambini. Eserciti di marionette incapaci di ribellarsi, addestrati alla guerra a oltranza come i guerrieri in plastilina e pongo di Matteo Baroni (War chappies, 2004)o il terribile Comando Elite di Small soldiers (1993), composto da giocattoli animati da un chip progettato per scopi militari. Nonostante sia destinato ai ragazzi, l’atmosfera del film firmato da Joe Dante è inquietante e la violenza dirompente. Allo stesso modo lo spiritoso pupazzo del Mafioso (2004) dipinto da Francesco Mancini conserva in sé qualcosa di assolutamente ambiguo, pur nella sua ironica sembianza mutuata dai fumetti, dai cartoni animati giapponesi e dal Packman dei videogiochi per bambini.
Dunque, fede e ragione. A loro ambiva Ulrich, il protagonista de L’uomo senza qualità di Robert Musil (1930), immaginando di istituire una “Segreteria generale dell’Esattezza e dell’Anima”. Le stesse, pochi anni dopo, divevano i pilastri sui quali si reggevano i regimi totalitari. Alla luce di tali considerazioni come reagire di fronte alla folla, commossa e confusa, che nel 2005 si è radunata a San Pietro per la morte di Giovanni Paolo II? Un evento collettivo, globalizzato dall’eco incalzante dei media, quasi fosse necessario, per renderlo tangibile e reale, che venisse inquadrato, zoommato, trasmesso. Così lo ricostruisce, infatti, Lapo Simeoni nel grande trittico Debut (2005) dominato dalla presenza di uno strano personaggio dal corpo umano e dalla testa a cinepresa, che molto ricorda la giornalista televisiva assetata di storie in Kika (1993) di Pedro Almodòvar, o il nugolo di fotografi armati di flash e videocamera che assediano gli sposi nell’ultimo film di Marco Bellocchio, Il regista di matrimoni (2006).
Ma è sufficiente fermarsi alla figura delle cose percepite con gli occhi, per cui ognuno vede quello che vedono tutti? Forse potrebbe essere così nel rapporto con la natura, soprattutto in un’epoca in cui lo sviluppo tecnologico non pone più come prioritaria la sopravvivenza fisica dell’uomo, come suggeriscono gli scatti di Luigi Zanetti, divisi tra l’armonia di paesaggi solari e accoglienti e la complessità del mondo doppiamente artificiale creato dall’uomo: la città e la sua trasposizione in immagine (dalla rappresentazione grafica in pianta alla pubblicità). Questo, però, non basta quando si tratta di realtà umana. È necessario allora scoprire un’altra cosa, che non è la figura dell’oggetto impressa sulla rètina, ma l’immagine (interna) che ogni essere umano naturalmente ha ed esprime, oppure gestisce lucidamente come un abile illusionista, attraverso atteggiamenti e movimenti, ai quali, in genere, non si fa caso. A questa immagine impercettibile, che sta dietro l’aspetto visibile delle persone, sembra alludere Michele Guidarini in una serie di autoritratti, in cui gioca con la propria effigie nell’intento di svelarne l’identità fuori dalla coscienza e dal comportamento, intuendo alla fine che, per scoprire tale immagine, è necessario sviluppare una sensibilità che va al di là dei cinque sensi e al di là della memoria cosciente (No pain, 2006). Gli antichi esoterici parlavano di “terzo occhio”, ma oggi, dopo la nascita della psicoanalisi, l’invenzione della fotografia e l’egemonia del sistema mediatico possiamo forse chiamarla, insieme a Walter Benjamin, “inconscio ottico”. È questo a guidare Olaf Pignataro mentre ritrae il magnate Bill Gates, elaborando un particolare spazio in cui appare stridente la disparità tra la fragilità della sua presenza fisica e la deformazione amplificata del suo volto in wide screen, fedele nei lineamenti ma monumentale e astratto come una icona orientale. La stessa sensibilità guida Francesco Mernini nei suoi ritratti di outsider e clochard (2006), dei quali però non è possibile vedere completamente il volto. La luce o l’inquadratura mettono in condizione di non conoscerne interamente l’identità. Forse perché l’hanno persa; o forse per evidenziare lo sconcerto di fronte alla diversità e la difficoltà, di chi guarda, a cogliere, oltre la percezione fisica, l’umanità nascosta eppure evidente di queste persone. Nei loro lineamenti sono le tracce di una storia ripetutamente scritta e cancellata, come i dipinti con resina epossidica di Enrico Bertlli (Brain,
2006), di cui restano alla vista solo poche tessere ad attraversare il buio destabilizzante degli annullamenti. Cancellare, alterare, sfregiare la realtà dell’immagine di chi ci circonda e con cui abbiamo quotidianamente rapporto – magari formale o addirittura affettuoso - è spesso facile e subitaneo, ma anche calcolato, come gli scarabocchi che Federico Caprilli compie sui volti delle persone che ritrae, con una semplice fotocamera da cellulare (2006), nell’intimità di situazioni domestiche. Perché «fare del male non è solo il sadismo, non è rompere braccia e gambe al prossimo, c’è un fare del male che è altro»3. Bisogna allora domandarsi se i delitti passionali, familiari, politici, mafiosi continuamente riportati dai mezzi di comunicazione di massa siano un ritorno al medioevo o, piuttosto, il risultato di una moderna società che si fonda, dai tempi della guerra fra Troia e Atene, sulla razionalità, teorizzata a livello filosofico e politico come identità umana e normalità e che, a quest’epoca, avrebbe ormai dovuto produrre un mondo migliore, non solo in termini materiali. Viene da supporre che l’identità umana sia altrove: nei pensieri e nella memoria non coscienti, negli affetti che sfuggono al controllo della ragione. In quella realtà attiva e visibile solo nei sogni, dove finalmente emerge protetta dall’oscurità della notte, come accade nei dipinti al lumen di Federico Borselli, che con la complicità del buio si trasformano, ripetendo quanto avviene nell’essere umano nel passaggio dalla veglia al sonno. Significativamente Borselli ripropone l’immagine intima e sensuale della donna(Vintage voyer, 2005): espressione di un mondo irrazionale che pretende spontaneità e passionalità e portatrice di un modo di essere diverso rispetto all’uomo, anche questi presente – in un altro lavoro dell’artista - vestito scrupolosamente in giacca e cravatta. Sembra la storia della metà della luna che non si vede mai. Lì Astolfo dovette andare, con la guida di S. Giovanni Evangelista, per recuperare il senno di Orlando, folle d’amore per la bella Angelica, dimentico e ribelle dei suoi doveri di cavaliere cristiano. Oggi che l’uomo ha a sua disposizione non solo la luna ma molteplici lune artificiali (i Ripetitori, fotografati da Luigi Zanetti nel 2005), riuscirà ancora a perdere la ragione per amore di una donna? Oggi che materia, spazio e tempo non sono più quello che erano stati da sempre, che modi e mezzi della percezione sensoriale della realtà e dell’esistenza sono cambiati, l’uomo saprà, finalmente, ribellarsi al dato, al costituito, alla conservazione delle ideologie, e immaginare un’altra realtà, senza per questo dover fallire o morire?
1 Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino 2000.
2 Roberto Calasso, Diamo retta a Confucio, “La Repubblica”, 27 aprile 2006.
3 Massimo Fagioli, Lezioni 2002, Roma 2006.
19
maggio 2006
10+1 e il Nuovo realismo
Dal 19 al 23 maggio 2006
arte contemporanea
Location
CASSERO MEDICEO
Grosseto, Piazza Del Cassero, (Grosseto)
Grosseto, Piazza Del Cassero, (Grosseto)
Orario di apertura
tutti i giorni 10-13 e 15.30-20
Vernissage
19 Maggio 2006, ore 18
Autore
Curatore