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2mq x uno
La collettiva “2MQ x UNO” unisce in un’unica mostra le opere, realizzate appositamente per l’evento, di dieci giovani artisti che, ciascuno con la propria identità espressiva, collaborano con la galleria. Unico comune denominatore, le dimensioni dello spazio espositivo a disposizione di ognuno.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Sabato 10 aprile, alle ore 17.30, Amphisbæna Studio d’Arte Contemporanea inaugura la mostra collettiva 2mq x uno.
Il titolo gioca sul tema stesso della mostra: 2mq. è infatti l’area espositiva destinata a ciascun artista presente. L’obiettivo di questo progetto, è quello di riunire dieci giovani artisti che collaborano con la galleria, in un’unica mostra che ha come comune denominatore, per ognuno, soltanto le dimensioni dello spazio fisico a disposizione.
Questo, dunque, il fil rouge capace di affiancare, attraverso opere realizzate appositamente per l’evento, espressioni visive assolutamente diverse tra loro, permettendo comunque a ciascuna di mantenere la propria individualità ed identità.
Così Pietro Pastore, nell’impiego di tecniche differenti quali l’esercizio dell’acquerello su tela di cotone, analizza le forme della natura, spesso ingigantendone i particolari. In questa osservazione interna, dilatata e inusuale, una mela spaccata a metà, una foglia adagiata o un anemone spampanato, perdendo la propria misura e la propria struttura, assumono un’irruenza delicata, una inaspettata apparenza, quasi antropomorfa, mentre un dettaglio del corpo femminile, si fa segno indefinito tra altri fluttuanti.
Il lavoro presentato da Caterina Sbrana consiste, invece, nella riproduzione dell’opera “La grande zolla” di Albrecht Dürer del 1503. Il soggetto, ripreso dalla Sbrana attraverso il proprio linguaggio artistico, è qui realizzato utilizzando come strumenti le dita, a diretto contatto della tela, e come colori gli elementi della terra. Così il fango, insieme alla clorofilla estratta dalle foglie, si trovano a rappresentare, in maniera volutamente tautologica, la natura stessa, e, nell’imitazione calligrafica del segno di Dürer, a vivificarlo ulteriormente, vestendolo della sua essenza.
Giulia Bonora basa la propria composizione sul concetto di vergogna, “Verecúndia” appunto. L’espressione visiva di questo sentimento acquisisce, per l’artista, la forma di un’opera composta musivamente da quaranta lavori. Costituiti da una facciata di carta colorata, stazzonata e vissuta, provata, come la vergogna stessa, ciascuno di essi cela dietro la superficie un oggetto. Coperto, nascosto e dissimulato, tuttavia esso rimane, come una pecca, resiste, si intravede, segue ogni sguardo, segna ogni privato imbarazzo.
Le opere di Domenico Grenci rivelano, aprendosi a libro in una struttura a dittico, due profili femminili. Legati formalmente ad una superficie di seta e velluto, pare che, come un cofanetto privato e prezioso, il tessuto pregiato nasconda, protegga e sveli i ritratti, la cui bellezza espressiva è definita dal bitume. Emergendo liquidamente dal fondo della tela, o ancora più giù, districandosi, liberandosi dalle trame seriche buie e avviluppate, i volti conquistano la luce e carpiscono lo sguardo di chi osserva.
Lorenzo di Lucido, elabora, attraverso “Patientia” e “Dromos”, indagini sulla superficie. Le immagini scelte, ritratti o vanitas, sono quasi pretesti, accadimenti messi insieme, funzionali ad un’osservazione sperimentale. Di Lucido, ispirato dallo studio di un’opera del Tintoretto sopravvissuta ad un incendio, agisce sulla tela operando un rischio. Dipingendo le immagini e ricoprendole con uno strato nero, le oscura e le rivela al tempo stesso: egli uccide così la pittura, per mezzo della pittura stessa, per poi resuscitarla, accogliendo l’incertezza di un evento quasi luttuoso, accettando un controllo limitato sul caso.
Matteo Beltrami, in un allestimento composto da tele e disegni, crea un altare dedicato al tema dell’infanzia. Quella dell’artista stesso, rivissuta nelle immagini dei personaggi camuffati, del cavallo di legno, dei giochi domestici, ma anche, più lontano, la fragilità puerile di un’adolescenza mascherata, o quella nascosta ed evidente della società. Sopra a tutto impera il caos rutilante dei cromatismi accesi e densi, ordinato e ricomposto dai segni netti e decisi, propri dell’alfabeto iconografico dell’artista.
Anche Alice Colombo descrive l’età dell’infanzia, ma la sua è un’osservazione privata, solitaria. Nelle sue opere, ambienti apparentemente domestici, familiari, rivestiti di una rassicurante carta da parati gigliata, sono abitati da una sola bambina. Lontana dal resto, in un silenzio desolato e in una distanza che sembra possa essere interrotta da un filo, da un telefono per una comunicazione, l’esterno irrompe nella scena attraverso un ramo d’albero, spezzando, attraverso una forma di vita, una sospesa attesa malinconica.
Interpreta beffardamente alla lettera il titolo della mostra Luigi Leonidi. Attraverso un duplice Paperino di disneyana memoria prende, infatti, le misure dello spazio a disposizione. Tuttavia dello spensierato divertimento fumettistico, l’opera di Leonidi trattiene poco. Si può piuttosto parlare, a riguardo, di ironia sarcastica, di un’osservazione drammaticamente realistica e complessa della realtà contemporanea, nella quale la piacevolezza di un’iconografia perfettamente fedele a quella dei personaggi della nostra infanzia, non fa che acutamente accentuare lo stridore con l’umanità sofferta delle loro espressioni facciali.
Silvia Cicconi, in “Tempo off”, indaga con la fotografia un momento ed un vissuto passato, trascorso, appartenuto ad altri. Tuttavia, tramite il recupero di un vecchio fotogramma, l’artista fa risorgere quel frammento temporale. Con l’intervento di un’aureola, l’elemento più nitido inserito su un’immagine sgranata o segnata dagli anni, dichiara la scomparsa delle persone che intimamente abitarono quell’attimo, ma al contempo li riporta alla vita, alla nostra vita, ridando valore a quel loro momento privato, concedendoli ad un’attenzione visiva nuova e contemporanea.
Infine, i collage di Dominique Vaccaro si possono definire equilibri estetici. Composti da materiali vari, insetti, carte di recupero, assemblati tra loro, sovrapposti, acquisiscono un’armonia cromatica, di misure, di sagome. In questa stratificazione controllata, la superficie perde l’identità di ogni singolo elemento, per divenire un’opera astratta, tuttavia dotata di una sua forma, di un preciso verso, in cui l’equilibrio asimmetrico ne tiene in bilico l’organica eufonia.
Matteo Beltrami è nato a Reggio Emilia nel 1980. Vive e lavora a Reggio Emilia.
Giulia Bonora è nata a Ferrara nel 1986. Vive e lavora a Bologna.
Silvia Cicconi è nata a Maitland (Australia) nel 1986. Vive e lavora a Bologna.
Alice Colombo è nata a Cassano D’Adda (Mi) nel 1981. Vive e lavora a Milano.
Lorenzo Di Lucido è nato a Penne (Pe) nel 1983. Vive e lavora a Penne.
Domenico Grenci è nato ad Ardore (RC) nel 1981. Vive e lavora a Bologna.
Luigi Leonidi è nato a Bologna nel 1970. Vive e lavora a Bologna.
Pietro Pastore è nato a Barletta (Ba) nel 1983. Vive e lavora a Bologna.
Caterina Sbrana è nata a Pisa nel 1977. Vive e lavora a Pisa.
Dominique Vaccaro è nato a Lungro (Cs) nel 1980. Vive e lavora a Bologna.
Il titolo gioca sul tema stesso della mostra: 2mq. è infatti l’area espositiva destinata a ciascun artista presente. L’obiettivo di questo progetto, è quello di riunire dieci giovani artisti che collaborano con la galleria, in un’unica mostra che ha come comune denominatore, per ognuno, soltanto le dimensioni dello spazio fisico a disposizione.
Questo, dunque, il fil rouge capace di affiancare, attraverso opere realizzate appositamente per l’evento, espressioni visive assolutamente diverse tra loro, permettendo comunque a ciascuna di mantenere la propria individualità ed identità.
Così Pietro Pastore, nell’impiego di tecniche differenti quali l’esercizio dell’acquerello su tela di cotone, analizza le forme della natura, spesso ingigantendone i particolari. In questa osservazione interna, dilatata e inusuale, una mela spaccata a metà, una foglia adagiata o un anemone spampanato, perdendo la propria misura e la propria struttura, assumono un’irruenza delicata, una inaspettata apparenza, quasi antropomorfa, mentre un dettaglio del corpo femminile, si fa segno indefinito tra altri fluttuanti.
Il lavoro presentato da Caterina Sbrana consiste, invece, nella riproduzione dell’opera “La grande zolla” di Albrecht Dürer del 1503. Il soggetto, ripreso dalla Sbrana attraverso il proprio linguaggio artistico, è qui realizzato utilizzando come strumenti le dita, a diretto contatto della tela, e come colori gli elementi della terra. Così il fango, insieme alla clorofilla estratta dalle foglie, si trovano a rappresentare, in maniera volutamente tautologica, la natura stessa, e, nell’imitazione calligrafica del segno di Dürer, a vivificarlo ulteriormente, vestendolo della sua essenza.
Giulia Bonora basa la propria composizione sul concetto di vergogna, “Verecúndia” appunto. L’espressione visiva di questo sentimento acquisisce, per l’artista, la forma di un’opera composta musivamente da quaranta lavori. Costituiti da una facciata di carta colorata, stazzonata e vissuta, provata, come la vergogna stessa, ciascuno di essi cela dietro la superficie un oggetto. Coperto, nascosto e dissimulato, tuttavia esso rimane, come una pecca, resiste, si intravede, segue ogni sguardo, segna ogni privato imbarazzo.
Le opere di Domenico Grenci rivelano, aprendosi a libro in una struttura a dittico, due profili femminili. Legati formalmente ad una superficie di seta e velluto, pare che, come un cofanetto privato e prezioso, il tessuto pregiato nasconda, protegga e sveli i ritratti, la cui bellezza espressiva è definita dal bitume. Emergendo liquidamente dal fondo della tela, o ancora più giù, districandosi, liberandosi dalle trame seriche buie e avviluppate, i volti conquistano la luce e carpiscono lo sguardo di chi osserva.
Lorenzo di Lucido, elabora, attraverso “Patientia” e “Dromos”, indagini sulla superficie. Le immagini scelte, ritratti o vanitas, sono quasi pretesti, accadimenti messi insieme, funzionali ad un’osservazione sperimentale. Di Lucido, ispirato dallo studio di un’opera del Tintoretto sopravvissuta ad un incendio, agisce sulla tela operando un rischio. Dipingendo le immagini e ricoprendole con uno strato nero, le oscura e le rivela al tempo stesso: egli uccide così la pittura, per mezzo della pittura stessa, per poi resuscitarla, accogliendo l’incertezza di un evento quasi luttuoso, accettando un controllo limitato sul caso.
Matteo Beltrami, in un allestimento composto da tele e disegni, crea un altare dedicato al tema dell’infanzia. Quella dell’artista stesso, rivissuta nelle immagini dei personaggi camuffati, del cavallo di legno, dei giochi domestici, ma anche, più lontano, la fragilità puerile di un’adolescenza mascherata, o quella nascosta ed evidente della società. Sopra a tutto impera il caos rutilante dei cromatismi accesi e densi, ordinato e ricomposto dai segni netti e decisi, propri dell’alfabeto iconografico dell’artista.
Anche Alice Colombo descrive l’età dell’infanzia, ma la sua è un’osservazione privata, solitaria. Nelle sue opere, ambienti apparentemente domestici, familiari, rivestiti di una rassicurante carta da parati gigliata, sono abitati da una sola bambina. Lontana dal resto, in un silenzio desolato e in una distanza che sembra possa essere interrotta da un filo, da un telefono per una comunicazione, l’esterno irrompe nella scena attraverso un ramo d’albero, spezzando, attraverso una forma di vita, una sospesa attesa malinconica.
Interpreta beffardamente alla lettera il titolo della mostra Luigi Leonidi. Attraverso un duplice Paperino di disneyana memoria prende, infatti, le misure dello spazio a disposizione. Tuttavia dello spensierato divertimento fumettistico, l’opera di Leonidi trattiene poco. Si può piuttosto parlare, a riguardo, di ironia sarcastica, di un’osservazione drammaticamente realistica e complessa della realtà contemporanea, nella quale la piacevolezza di un’iconografia perfettamente fedele a quella dei personaggi della nostra infanzia, non fa che acutamente accentuare lo stridore con l’umanità sofferta delle loro espressioni facciali.
Silvia Cicconi, in “Tempo off”, indaga con la fotografia un momento ed un vissuto passato, trascorso, appartenuto ad altri. Tuttavia, tramite il recupero di un vecchio fotogramma, l’artista fa risorgere quel frammento temporale. Con l’intervento di un’aureola, l’elemento più nitido inserito su un’immagine sgranata o segnata dagli anni, dichiara la scomparsa delle persone che intimamente abitarono quell’attimo, ma al contempo li riporta alla vita, alla nostra vita, ridando valore a quel loro momento privato, concedendoli ad un’attenzione visiva nuova e contemporanea.
Infine, i collage di Dominique Vaccaro si possono definire equilibri estetici. Composti da materiali vari, insetti, carte di recupero, assemblati tra loro, sovrapposti, acquisiscono un’armonia cromatica, di misure, di sagome. In questa stratificazione controllata, la superficie perde l’identità di ogni singolo elemento, per divenire un’opera astratta, tuttavia dotata di una sua forma, di un preciso verso, in cui l’equilibrio asimmetrico ne tiene in bilico l’organica eufonia.
Matteo Beltrami è nato a Reggio Emilia nel 1980. Vive e lavora a Reggio Emilia.
Giulia Bonora è nata a Ferrara nel 1986. Vive e lavora a Bologna.
Silvia Cicconi è nata a Maitland (Australia) nel 1986. Vive e lavora a Bologna.
Alice Colombo è nata a Cassano D’Adda (Mi) nel 1981. Vive e lavora a Milano.
Lorenzo Di Lucido è nato a Penne (Pe) nel 1983. Vive e lavora a Penne.
Domenico Grenci è nato ad Ardore (RC) nel 1981. Vive e lavora a Bologna.
Luigi Leonidi è nato a Bologna nel 1970. Vive e lavora a Bologna.
Pietro Pastore è nato a Barletta (Ba) nel 1983. Vive e lavora a Bologna.
Caterina Sbrana è nata a Pisa nel 1977. Vive e lavora a Pisa.
Dominique Vaccaro è nato a Lungro (Cs) nel 1980. Vive e lavora a Bologna.
10
aprile 2010
2mq x uno
Dal 10 aprile al 22 maggio 2010
arte contemporanea
Location
AMPHISBAENA
Modena, Via Mascherella, 36, (Modena)
Modena, Via Mascherella, 36, (Modena)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 10.30-12.30 / 17.30-19.30
giovedì e domenica chiuso
Vernissage
10 Aprile 2010, ore 17.30
Autore
Curatore