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52 Biennale. Padiglione australiano
Le nuove opere di tre artisti australiani realizzate per la Biennale di Venezia sono esposte in tre siti della città: Susan Norrie a Palazzo Giustinian Lolin, vicino all’Accademia; Daniel von Sturmer presso il padiglione australiano nei Giardini; Callum Morton a Palazzo Zenobio
Comunicato stampa
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HAVOC di Susan Norrie
Susan Norrie esplora le imperanti tematiche geopolitiche di un mondo in fase di trasformazione nella sua video installazione di tre stanze a Palazzo Giustinian Lolin.
HAVOC si incentra sugli interventi umani e sugli sconvolgimenti sismici che hanno portato devastazione nell’area di Giava Est. L’artista documenta sia l’inarrendevolezza di un popolo che affronta un disastro sia i più vasti cambiamenti sociali che si verificano in un ambito culturale.
La città di Porong a Giava Est è attualmente sommersa dal fango. È una di quelle cittadine assalite da un’ondata inarrestabile di fango vulcanico tossico che fuoriesce da una falda sotterranea spaccata accidentalmente nel 2006. Da maggio dell’anno scorso la fuoriuscita di fango è aumentata da 5.000 metri cubi a più di 125.000 metri cubi al giorno. I lavoratori tentano di fermarne il flusso ogni giorno.
Norrie ha realizzato un documentario sul popolo di questa zona con il suo collaboratore artistico, David Mackenzie (riprese e montaggio) e Justin Hale (interprete e giornalista).
Una parte della popolazione fa ricorso alla fede: colate di fango, tsunami, cicloni ed eruzioni vulcaniche hanno incoraggiato un ritorno ai rituali antichi, all’animismo e ai sacrifici. Alcuni abitanti dei villaggi locali sacrificano capre e polli per cercare di mettere fine a questa inondazione.
La musica indonesiana punk e metallara rappresenta un altro elemento della scena locale e attinge alla tradizione di percussioni, fiati e voce. Il movimento punk indonesiano abbraccia il caos, ponendo interrogativi sui concetti tradizionali di progressione e utopia, di occidente e oriente, e comprimendoli in una forma ibrida.
In una sequenza di stanze, Norrie presenta un caos semovente di immagini e ritmo. I video avvolgono il pubblico con sequenze ipnotiche e saturanti. Questi video viscerali richiamano il suo passato di pittrice.
Norrie afferma: “Piuttosto che utilizzare il film come elemento di consumo passivo, sono interessata a portarlo a un livello di discussione attiva. L’autonomia dell’arte e la sua connessione alla storia sociale è una contraddizione, un contrasto che corre lungo la disciplina della cultura visiva come una linea di frattura.”
Il messaggio di Al Gore su un mondo sull’orlo del collasso climatico è un’ulteriore conferma della profondità dei problemi che Norrie ha esaminato per oltre due decenni. I danni dovuti all’industrializzazione, i test nucleari e i cambiamenti climatici sono stati esaminati nelle sue opere precedenti, tra cui Undertow, Err, Black Wind e Twilight. Uno dei temi centrali delle sue opere recenti è stato l’irraggiamento a cui fu esposto un popolo indigeno e la sua terra a seguito dei test nucleari a Maralinga in Australia negli anni ’50. Queste opere evidenziavano le difficoltà in cui si trovava quel popolo, ma anche la sua capacità di sopravvivere.
L’artista si impegna a documentare le “verità delle nostre esperienze, ma non limitandosi a cancellare la storia e a dare man forte all’amnesia di massa.” Le forze contraddittorie della natura, che serbano al loro interno una bellezza illusoria e una violenza latente, e il contrasto tra le apparenze della superficie e ciò che può celarsi sotto di esse, sono per Norrie una metafora continua.
“Questi sono progetti”, afferma l’artista, “che trattano di una sorta di storia messianica… alla ricerca di qualcosa che deve essere salvato e, al tempo stesso, esplorando e accettando il fatto che tali documenti indicano una storia finale, e una storia escatologica, in cui qualcosa deve essere giudicato.”
Norrie lascia intendere che l’Indonesia è un microcosmo che rappresenta la più vasta condizione del mondo. La colata di fango e la cacofonia della musica punk locale sono i sintomi di una cultura sottoposta a un’enorme pressione, ma è sempre presente anche uno straordinario senso di speranza, resistenza e sopravvivenza.
Norrie ha partecipato alla Biennale di Busan in Corea del Sud nel 2006 e ha esposto presso: Art Tower Mito in Giappone nel 2004; Hamburger Bahnof a Berlino nel 2003; Museo Nazionale d’Arte Contemporanea in Corea nel 1992; Museo di Arte Contemporanea KIASMA in Finlandia nel 2001; Biennale d’Arte Contemporanea di Liverpool nel Regno Unito nel 1999; e Solomon R Guggenheim Museum a New York nel 1984/87.
Susan Norrie è rappresentata dalla Mori Gallery www.morigallery.com.au
Fonte: saggi di Juliana Engberg presenti nel catalogo.
Daniel von Sturmer trasforma il paradigma della percezione
The Object of Things è un’installazione multimediale creata appositamente per il padiglione australiano.
Con i suoi due livelli e il soffitto dall’altezza eterogenea, il padiglione australiano fornisce un’architettura spaziale peculiare che incoraggia a un approccio unico. In The Object of Things le videoproiezioni e gli oggetti sono messi insieme su una lunga piattaforma di compensato: un ripiano fluttuante e ininterrotto che si piega nel, sul, attorno e attraverso lo spazio, mutando di altezza e direzione lungo il suo percorso.
Von Sturmer esplora: il modo con cui si può forzare un significato per adattarlo o collegarlo a un altro concetto; il modo in cui il linguaggio struttura il nostro pensiero e la nostra comprensione del mondo; l’interazione tra “spazio pittorico” e “spazio reale”, tra aspettativa e percezione.
I video, di formato ridotto, sono proiettati su piccoli schermi creati su misura sulla superficie del ripiano. Essi giocano con i valori pittorici di colore e forma, dimensione e inquadratura, piattezza e profondità, usando vernice acrilica e diapositive a colori, modellando argilla e legno.
“Osserviamo il modo con cui cubi di plastilina blu tagliati a mano cadono dentro il nostro campo visivo: quelli grandi si trascinano dolcemente su quelli piccoli fino a formare un’improbabile grande catasta. Accanto, una pozza di vernice a strisce trasuda lateralmente lungo lo schermo, come un Kenneth Noland fuso. E poi, fogli di acetato colorato cadono silenziosi su un campo di bianco, come quadrati giunti in qualche modo privi di ormeggi dal loro spazio su una tela suprematista.”
I video rappresentano uno spazio di genere alternativo che espande l’interpretazione dello spazio reale. Essi descrivono un modo di guardare – dove l’ordinario e l’atteso assumono un altro ordine di significato. “Condividono un legame con scultura e pittura e invocano la storia dell’arte più di quella cinematografica usando: processi di modernismo e minimalismo, esperimenti da studio e una sorta di ricerca sul potenziale del materiale.”
Tutti gli elementi in The Object of Things – gli oggetti, i video e la struttura – propongono una visione per lo spettatore e mostrano come il significato si formi con l’incontro. Essi pongono interrogativi sulla natura dell’arte, sulla personificazione del tempo e su come il contesto sagomi il significato apparente.
“Nella maggior parte dell’opera di von Sturmer l’obiettivo sembra essere quello di rallentare e intensificare la nostra attenzione, con gli elementi scenografici dell’arte – piattaforme e piedistalli – che interpretano il ruolo principale.
“Esordì come pittore, mettendo alla prova lo spazio tra la superficie e l’illusione, tra la realtà materiale della superficie di un’opera d’arte e lo spazio illusorio che può schiudersi dentro di essa.”
Le sue opere recenti hanno esplorato concetti simili: lo scorrere misurato di vernice che riempie lo schermo, un panorama in miniatura costruito con materiali presenti nella quotidianità e semplici sculture di carta che formano astrazioni tridimensionali nello spazio. Le sue giocose rappresentazioni della percezione hanno avuto come protagonisti: palline di carta appallottolata, tazze monouso, nastro adesivo, un bicchiere e delle graffette – paesaggi in miniatura costruiti con materiali di ogni giorno. Nella sua recente installazione del 2006, The Field Equation, 50 piattaforme fatte a forma di piedistallo sono state costruite come “colonie di esperimenti visivi”, attraverso le quali il pubblico camminava per imbattersi nei “legami in costante svolgimento tra gli elementi visivi.”
“È un’artista non tanto interessato alle cose per quello che sono quanto a come esse sono – veloci o lente, secche o trasudanti, mondane o volubili. I suoi video ci mostrano cosa accade quando gli oggetti sono spinti lontano dai loro nomi, verso nuove e strane vite di azione.”
Le mostre recenti includono: Centre for Non Objective Art in Belgio nel 2006; Dunedin Public Art Gallery in Nuova Zelanda nel 2005; Auckland Art Gallery in Nuova Zelanda nel 2004; Hamburger Bahnhof in Germania nel 2003; Hamburg Kunsthaus in Germania nel 2003; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia in Spagna nel 2002.
Daniel von Sturmer è rappresentato dalla Anna Schwartz Gallery; www.annaschwartzgallery.com
Fonti: saggi di Juliana Engberg e Justin Paton presenti nel catalogo.
Gli squarci, i cumuli e le rovine di Callum Morton
I cortili di Palazzo Zenobio, edificio barocco del 17° secolo, ospitano un’installazione in grande scala di Callum Morton.
Morton ha ricostruito la casa della sua infanzia come se fosse stata devastata da un bombardamento: “incendiata, suturata e attraversata da squarci… un monumento a tutte quelle forme ridotte ai minimi termini e lasciate in forse dopo l’avvento di un disastro”.
Una casa dei sogni moderna, progettata dal suo padre architetto, ispirato a sua volta dall’architetto statunitense Louis Kahn, fatta di blocchi di calcestruzzo e caratterizzata da una cruda modernità che risalta la “genuinità dei materiali”, con gli interni tutti bianchi. Sottili ponti di calcestruzzo sul livello superiore passavano sopra il soggiorno e la sala da pranzo, dando luogo a fessure ventilate tra i piani. “Dalla strada assomigliava a un forte, ma dentro era un labirinto trasparente.”
Fu abitata dalla sua famiglia per breve tempo per poi essere venduta, imborghesita e demolita, e oggi è un isolato vuoto. “Fu il primo edificio che vidi crescere da zero. Mi sono reso conto di come essa eserciti ancora un’influenza significativa su ciò che faccio. Il ricordo persiste, tanto a causa del trauma relativo alla sua perdita quanto per la casa in sé.”
Morton stabilisce un parallelismo tra questa casa “locale e particolare”, ridotta in macerie, e la distruzione quotidiana degli edifici modernisti prodotti in massa a Gaza, Baghdad e Kabul. La sua casa “bombardata” si riferisce all’estetica moderna, con le sue “forme rettilinee, gli spazi aperti e i materiali industriali” noti in tutto il mondo.
“L’annientamento dello sviluppo edilizio è venuto a contatto con l’annientamento causato dalla guerra e dai disastri.”
La casa, ricostruita in scala 3/4 a Venezia, non è una semplice rovina. I visitatori entrano in una spazio interno immacolato, un antro aziendale dove gli ascensori si illuminano e si guastano, si odono urla, si sentono scosse sismiche e un sottofondo sonoro calma l’atmosfera. Le allusioni ai film di catastrofi, a ground zero e a varie zone di guerra si congiungono con l’angosciante luogo della distruzione domestica.
Valhalla esplora ulteriormente l’interesse di Morton nei confronti delle relazioni tra spazi interni psicologicamente carichi e la facciata pubblica degli edifici, tra biografie personali ed eventi globali, e nei confronti del destino del design ideale nel mondo.
Morton è noto per le sue installazioni su larga scala di ispirazione architettonica. Per molti anni i suoi progetti hanno riproposto edifici come sculture caratterizzate da centri illusori e chimerici, e il tutto con un tocco di Hollywood. Il suo progetto per Venezia mette insieme tutti i suoi elementi chiave: l’architettura modernista e domestica, e un enigma lanciato tra il personale e l’universale.
Stonewash trasformava l’esterno di un palazzo in rovina di Istanbul nella facciata intatta di un negozio della Levis. Babylonia, una fluttuante isola scoscesa che nascondeva un misterioso corridoio di un albergo di lusso, era una fusione ispirata di James Bond, The Shining e Disneyland.
Egli infonde negli edifici vuoti e “quasi sacri” umorismo, un senso di drammaticità e i suoni provenienti dagli “sgradevoli interni del modernismo”. La porta di una cantina ringhia e vibra al suono di un mostro al suo interno; dentro un modello in scala della Casa Farnsworth si tiene un ricevimento con spari e urla raccapriccianti; la Casa di Vetro di Philip Johnson diventa una stazione di servizio abbandonata e saccheggiata nel mezzo del nulla, con benzina che fuoriesce, pochi istanti prima di un’esplosione; Habitat di Safdie viene riempito dai suoni di abluzioni mattutine, di discussioni domestiche e di bambini che giocano; e una voce fioca invoca: “Aiutami. Per favore aiutami!” in Gas & Fuel – un grido degli edifici spacciati o dell’ultimo occupante intrappolato all’interno?
Callum Morton ha vinto una medaglia d’oro rappresentando l’Australia alla Triennale d’India nel 2004. Le mostre recenti includono: Biennale di Busan in Corea del Sud nel 2006; Galleria Nazionale d’Arte Zacheta in Polonia e Centro d’Arte Contemporanea in Lituania nel 2006; 2nd Istanbul Pedestrians Exhibition in Turchia nel 2005; 2° Triennale di Auckland in Nuova Zelanda nel 2004; Hamburger Bahnhof in Germania nel 2003; Fondazione Bevilacqua La Masa in Italia nel 2003; e Santa Monica Museum of Art negli Stati Uniti nel 1999.
“Ho ricreato la casa come una specie di monumento pubblico. Un monumento alle estati trascorse sul bordo della piscina che non fu mai completata… a Harvest di Neil Young. Ma innanzitutto è un monumento a tutte quelle strutture ridotte ai minimi termini e lasciate in forse dopo l’avvento di un disastro”.
Callum Morton è rappresentato dalla Roslyn Oxley9 Gallery e dalla Anna Schwartz Gallery. www.roslynoxley9.com.au; www.annaschwartzgallery.com
Fonti: saggi di Juliana Engberg e Stuart Koop presenti nel catalogo.
Susan Norrie esplora le imperanti tematiche geopolitiche di un mondo in fase di trasformazione nella sua video installazione di tre stanze a Palazzo Giustinian Lolin.
HAVOC si incentra sugli interventi umani e sugli sconvolgimenti sismici che hanno portato devastazione nell’area di Giava Est. L’artista documenta sia l’inarrendevolezza di un popolo che affronta un disastro sia i più vasti cambiamenti sociali che si verificano in un ambito culturale.
La città di Porong a Giava Est è attualmente sommersa dal fango. È una di quelle cittadine assalite da un’ondata inarrestabile di fango vulcanico tossico che fuoriesce da una falda sotterranea spaccata accidentalmente nel 2006. Da maggio dell’anno scorso la fuoriuscita di fango è aumentata da 5.000 metri cubi a più di 125.000 metri cubi al giorno. I lavoratori tentano di fermarne il flusso ogni giorno.
Norrie ha realizzato un documentario sul popolo di questa zona con il suo collaboratore artistico, David Mackenzie (riprese e montaggio) e Justin Hale (interprete e giornalista).
Una parte della popolazione fa ricorso alla fede: colate di fango, tsunami, cicloni ed eruzioni vulcaniche hanno incoraggiato un ritorno ai rituali antichi, all’animismo e ai sacrifici. Alcuni abitanti dei villaggi locali sacrificano capre e polli per cercare di mettere fine a questa inondazione.
La musica indonesiana punk e metallara rappresenta un altro elemento della scena locale e attinge alla tradizione di percussioni, fiati e voce. Il movimento punk indonesiano abbraccia il caos, ponendo interrogativi sui concetti tradizionali di progressione e utopia, di occidente e oriente, e comprimendoli in una forma ibrida.
In una sequenza di stanze, Norrie presenta un caos semovente di immagini e ritmo. I video avvolgono il pubblico con sequenze ipnotiche e saturanti. Questi video viscerali richiamano il suo passato di pittrice.
Norrie afferma: “Piuttosto che utilizzare il film come elemento di consumo passivo, sono interessata a portarlo a un livello di discussione attiva. L’autonomia dell’arte e la sua connessione alla storia sociale è una contraddizione, un contrasto che corre lungo la disciplina della cultura visiva come una linea di frattura.”
Il messaggio di Al Gore su un mondo sull’orlo del collasso climatico è un’ulteriore conferma della profondità dei problemi che Norrie ha esaminato per oltre due decenni. I danni dovuti all’industrializzazione, i test nucleari e i cambiamenti climatici sono stati esaminati nelle sue opere precedenti, tra cui Undertow, Err, Black Wind e Twilight. Uno dei temi centrali delle sue opere recenti è stato l’irraggiamento a cui fu esposto un popolo indigeno e la sua terra a seguito dei test nucleari a Maralinga in Australia negli anni ’50. Queste opere evidenziavano le difficoltà in cui si trovava quel popolo, ma anche la sua capacità di sopravvivere.
L’artista si impegna a documentare le “verità delle nostre esperienze, ma non limitandosi a cancellare la storia e a dare man forte all’amnesia di massa.” Le forze contraddittorie della natura, che serbano al loro interno una bellezza illusoria e una violenza latente, e il contrasto tra le apparenze della superficie e ciò che può celarsi sotto di esse, sono per Norrie una metafora continua.
“Questi sono progetti”, afferma l’artista, “che trattano di una sorta di storia messianica… alla ricerca di qualcosa che deve essere salvato e, al tempo stesso, esplorando e accettando il fatto che tali documenti indicano una storia finale, e una storia escatologica, in cui qualcosa deve essere giudicato.”
Norrie lascia intendere che l’Indonesia è un microcosmo che rappresenta la più vasta condizione del mondo. La colata di fango e la cacofonia della musica punk locale sono i sintomi di una cultura sottoposta a un’enorme pressione, ma è sempre presente anche uno straordinario senso di speranza, resistenza e sopravvivenza.
Norrie ha partecipato alla Biennale di Busan in Corea del Sud nel 2006 e ha esposto presso: Art Tower Mito in Giappone nel 2004; Hamburger Bahnof a Berlino nel 2003; Museo Nazionale d’Arte Contemporanea in Corea nel 1992; Museo di Arte Contemporanea KIASMA in Finlandia nel 2001; Biennale d’Arte Contemporanea di Liverpool nel Regno Unito nel 1999; e Solomon R Guggenheim Museum a New York nel 1984/87.
Susan Norrie è rappresentata dalla Mori Gallery www.morigallery.com.au
Fonte: saggi di Juliana Engberg presenti nel catalogo.
Daniel von Sturmer trasforma il paradigma della percezione
The Object of Things è un’installazione multimediale creata appositamente per il padiglione australiano.
Con i suoi due livelli e il soffitto dall’altezza eterogenea, il padiglione australiano fornisce un’architettura spaziale peculiare che incoraggia a un approccio unico. In The Object of Things le videoproiezioni e gli oggetti sono messi insieme su una lunga piattaforma di compensato: un ripiano fluttuante e ininterrotto che si piega nel, sul, attorno e attraverso lo spazio, mutando di altezza e direzione lungo il suo percorso.
Von Sturmer esplora: il modo con cui si può forzare un significato per adattarlo o collegarlo a un altro concetto; il modo in cui il linguaggio struttura il nostro pensiero e la nostra comprensione del mondo; l’interazione tra “spazio pittorico” e “spazio reale”, tra aspettativa e percezione.
I video, di formato ridotto, sono proiettati su piccoli schermi creati su misura sulla superficie del ripiano. Essi giocano con i valori pittorici di colore e forma, dimensione e inquadratura, piattezza e profondità, usando vernice acrilica e diapositive a colori, modellando argilla e legno.
“Osserviamo il modo con cui cubi di plastilina blu tagliati a mano cadono dentro il nostro campo visivo: quelli grandi si trascinano dolcemente su quelli piccoli fino a formare un’improbabile grande catasta. Accanto, una pozza di vernice a strisce trasuda lateralmente lungo lo schermo, come un Kenneth Noland fuso. E poi, fogli di acetato colorato cadono silenziosi su un campo di bianco, come quadrati giunti in qualche modo privi di ormeggi dal loro spazio su una tela suprematista.”
I video rappresentano uno spazio di genere alternativo che espande l’interpretazione dello spazio reale. Essi descrivono un modo di guardare – dove l’ordinario e l’atteso assumono un altro ordine di significato. “Condividono un legame con scultura e pittura e invocano la storia dell’arte più di quella cinematografica usando: processi di modernismo e minimalismo, esperimenti da studio e una sorta di ricerca sul potenziale del materiale.”
Tutti gli elementi in The Object of Things – gli oggetti, i video e la struttura – propongono una visione per lo spettatore e mostrano come il significato si formi con l’incontro. Essi pongono interrogativi sulla natura dell’arte, sulla personificazione del tempo e su come il contesto sagomi il significato apparente.
“Nella maggior parte dell’opera di von Sturmer l’obiettivo sembra essere quello di rallentare e intensificare la nostra attenzione, con gli elementi scenografici dell’arte – piattaforme e piedistalli – che interpretano il ruolo principale.
“Esordì come pittore, mettendo alla prova lo spazio tra la superficie e l’illusione, tra la realtà materiale della superficie di un’opera d’arte e lo spazio illusorio che può schiudersi dentro di essa.”
Le sue opere recenti hanno esplorato concetti simili: lo scorrere misurato di vernice che riempie lo schermo, un panorama in miniatura costruito con materiali presenti nella quotidianità e semplici sculture di carta che formano astrazioni tridimensionali nello spazio. Le sue giocose rappresentazioni della percezione hanno avuto come protagonisti: palline di carta appallottolata, tazze monouso, nastro adesivo, un bicchiere e delle graffette – paesaggi in miniatura costruiti con materiali di ogni giorno. Nella sua recente installazione del 2006, The Field Equation, 50 piattaforme fatte a forma di piedistallo sono state costruite come “colonie di esperimenti visivi”, attraverso le quali il pubblico camminava per imbattersi nei “legami in costante svolgimento tra gli elementi visivi.”
“È un’artista non tanto interessato alle cose per quello che sono quanto a come esse sono – veloci o lente, secche o trasudanti, mondane o volubili. I suoi video ci mostrano cosa accade quando gli oggetti sono spinti lontano dai loro nomi, verso nuove e strane vite di azione.”
Le mostre recenti includono: Centre for Non Objective Art in Belgio nel 2006; Dunedin Public Art Gallery in Nuova Zelanda nel 2005; Auckland Art Gallery in Nuova Zelanda nel 2004; Hamburger Bahnhof in Germania nel 2003; Hamburg Kunsthaus in Germania nel 2003; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia in Spagna nel 2002.
Daniel von Sturmer è rappresentato dalla Anna Schwartz Gallery; www.annaschwartzgallery.com
Fonti: saggi di Juliana Engberg e Justin Paton presenti nel catalogo.
Gli squarci, i cumuli e le rovine di Callum Morton
I cortili di Palazzo Zenobio, edificio barocco del 17° secolo, ospitano un’installazione in grande scala di Callum Morton.
Morton ha ricostruito la casa della sua infanzia come se fosse stata devastata da un bombardamento: “incendiata, suturata e attraversata da squarci… un monumento a tutte quelle forme ridotte ai minimi termini e lasciate in forse dopo l’avvento di un disastro”.
Una casa dei sogni moderna, progettata dal suo padre architetto, ispirato a sua volta dall’architetto statunitense Louis Kahn, fatta di blocchi di calcestruzzo e caratterizzata da una cruda modernità che risalta la “genuinità dei materiali”, con gli interni tutti bianchi. Sottili ponti di calcestruzzo sul livello superiore passavano sopra il soggiorno e la sala da pranzo, dando luogo a fessure ventilate tra i piani. “Dalla strada assomigliava a un forte, ma dentro era un labirinto trasparente.”
Fu abitata dalla sua famiglia per breve tempo per poi essere venduta, imborghesita e demolita, e oggi è un isolato vuoto. “Fu il primo edificio che vidi crescere da zero. Mi sono reso conto di come essa eserciti ancora un’influenza significativa su ciò che faccio. Il ricordo persiste, tanto a causa del trauma relativo alla sua perdita quanto per la casa in sé.”
Morton stabilisce un parallelismo tra questa casa “locale e particolare”, ridotta in macerie, e la distruzione quotidiana degli edifici modernisti prodotti in massa a Gaza, Baghdad e Kabul. La sua casa “bombardata” si riferisce all’estetica moderna, con le sue “forme rettilinee, gli spazi aperti e i materiali industriali” noti in tutto il mondo.
“L’annientamento dello sviluppo edilizio è venuto a contatto con l’annientamento causato dalla guerra e dai disastri.”
La casa, ricostruita in scala 3/4 a Venezia, non è una semplice rovina. I visitatori entrano in una spazio interno immacolato, un antro aziendale dove gli ascensori si illuminano e si guastano, si odono urla, si sentono scosse sismiche e un sottofondo sonoro calma l’atmosfera. Le allusioni ai film di catastrofi, a ground zero e a varie zone di guerra si congiungono con l’angosciante luogo della distruzione domestica.
Valhalla esplora ulteriormente l’interesse di Morton nei confronti delle relazioni tra spazi interni psicologicamente carichi e la facciata pubblica degli edifici, tra biografie personali ed eventi globali, e nei confronti del destino del design ideale nel mondo.
Morton è noto per le sue installazioni su larga scala di ispirazione architettonica. Per molti anni i suoi progetti hanno riproposto edifici come sculture caratterizzate da centri illusori e chimerici, e il tutto con un tocco di Hollywood. Il suo progetto per Venezia mette insieme tutti i suoi elementi chiave: l’architettura modernista e domestica, e un enigma lanciato tra il personale e l’universale.
Stonewash trasformava l’esterno di un palazzo in rovina di Istanbul nella facciata intatta di un negozio della Levis. Babylonia, una fluttuante isola scoscesa che nascondeva un misterioso corridoio di un albergo di lusso, era una fusione ispirata di James Bond, The Shining e Disneyland.
Egli infonde negli edifici vuoti e “quasi sacri” umorismo, un senso di drammaticità e i suoni provenienti dagli “sgradevoli interni del modernismo”. La porta di una cantina ringhia e vibra al suono di un mostro al suo interno; dentro un modello in scala della Casa Farnsworth si tiene un ricevimento con spari e urla raccapriccianti; la Casa di Vetro di Philip Johnson diventa una stazione di servizio abbandonata e saccheggiata nel mezzo del nulla, con benzina che fuoriesce, pochi istanti prima di un’esplosione; Habitat di Safdie viene riempito dai suoni di abluzioni mattutine, di discussioni domestiche e di bambini che giocano; e una voce fioca invoca: “Aiutami. Per favore aiutami!” in Gas & Fuel – un grido degli edifici spacciati o dell’ultimo occupante intrappolato all’interno?
Callum Morton ha vinto una medaglia d’oro rappresentando l’Australia alla Triennale d’India nel 2004. Le mostre recenti includono: Biennale di Busan in Corea del Sud nel 2006; Galleria Nazionale d’Arte Zacheta in Polonia e Centro d’Arte Contemporanea in Lituania nel 2006; 2nd Istanbul Pedestrians Exhibition in Turchia nel 2005; 2° Triennale di Auckland in Nuova Zelanda nel 2004; Hamburger Bahnhof in Germania nel 2003; Fondazione Bevilacqua La Masa in Italia nel 2003; e Santa Monica Museum of Art negli Stati Uniti nel 1999.
“Ho ricreato la casa come una specie di monumento pubblico. Un monumento alle estati trascorse sul bordo della piscina che non fu mai completata… a Harvest di Neil Young. Ma innanzitutto è un monumento a tutte quelle strutture ridotte ai minimi termini e lasciate in forse dopo l’avvento di un disastro”.
Callum Morton è rappresentato dalla Roslyn Oxley9 Gallery e dalla Anna Schwartz Gallery. www.roslynoxley9.com.au; www.annaschwartzgallery.com
Fonti: saggi di Juliana Engberg e Stuart Koop presenti nel catalogo.
07
giugno 2007
52 Biennale. Padiglione australiano
Dal 07 giugno al 21 novembre 2007
arte contemporanea
Location
GIARDINI DI CASTELLO – PADIGLIONE AUSTRALIANO
Venezia, Castello, (Venezia)
Venezia, Castello, (Venezia)
Orario di apertura
10-18 (chiuso il lunedì)
Vernissage
7 Giugno 2007, ore 11
Sito web
www.australiavenicebiennale.com.au
Autore
Curatore