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9 x 99
Intitolata 9 x 99 (9 artisti per la città dei 99 castelli), è stata l’occasione per mettere in risalto diverse generazioni di scultori abruzzesi, con alcune presenze storiche (Venanzo Crocetti, Andrea e Pietro Cascella) e artisti delle ultime generazioni di fama e attività internazionali, nel cui lavoro è possibile rintracciare una permanenza di tracce della cultura più antica e della spiritualità che avvolge il territorio.
Comunicato stampa
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La Caserma di Coppito de L’Aquila è ormai una delle più famose d’Italia, divenuta quartier generale della Protezione civile dopo il terremoto del 6 aprile scorso, e sede del G8 di luglio. E anche – proprio in occasione del G8 – spazio espositivo: qui infatti sono state allestite una serie di mostre che illustravano la storia dell’arte abruzzese che si è salvata, e la storia di 45 monumenti gravemente danneggiati da far “adottare” dai diversi paesi partecipanti al G8 per essere recuperati.
Fra tanta distruzione, anche una mostra “eccentrica” - un momento di “vitalità” e uno sguardo verso il futuro -, curata da Gioia Mori, realizzata da Comunicare Organizzando. Intitolata 9 x 99 (9 artisti per la città dei 99 castelli), è stata l’occasione per mettere in risalto diverse generazioni di scultori abruzzesi, con alcune presenze storiche (Venanzo Crocetti, Andrea e Pietro Cascella) e artisti delle ultime generazioni di fama e attività internazionali, nel cui lavoro è possibile rintracciare una permanenza di tracce della cultura più antica e della spiritualità che avvolge il territorio.
Il progetto di Gioia Mori parte da una lettura “esoterica” della città, da quella sua caratteristica di essere fondata sul numero “9”, numero magico. Spiega la curatrice nel suo testo:
“Costruita da titani guerrieri santi e cavalieri, L’Aquila infatti è una città pensata come una mappa celeste e cela in un’urbanistica allusiva la sua origine iniziatica, nascosta dietro la ripetizione del numero 9: novantanove piazze, novantanove chiese, novantanove fontane sono lì a disegnare un percorso sapienziale, inseguendo idee di perfezione e di armonia cosmica. Perché gli antichi rappresentavano il cielo, la terra e gli inferi con un triangolo, e il numero nove raffigurava la totalità dei tre mondi. Perché nove erano le sfere celesti e simmetricamente erano nove i cerchi infernali. E nove - nove giorni e nove notti - era la misura del tempo che separa il cielo dalla terra e questa dall'inferno, come spiegava Esiodo nella Teogonia: “Un’incudine di bronzo cadrebbe dal cielo per nove giorni e nove notti prima di raggiungere il decimo giorno la terra. Allo stesso modo un’incudine di bronzo cadrebbe dalla terra per nove giorni e nove notti prima di raggiungere il decimo giorno il Tartaro”.
L’Aquila è dunque una città “divina”, specchio di un ordine superiore, come se fosse nata da una visione, forse per intervento dei nove cori angelici, o per volere di costruttori in possesso di antichi segreti, forse proprio quei nove maestri che ritrovarono la tomba di Hiram.
Dei nove scultori abruzzesi presentati, Venanzo Crocetti è il tempo più antico, essendo nato nel 1913. Uomo appartato e schivo, amplificò la limitata misura umana fino a costruire “giganti della montagna”, in magistrali e monumentali fusioni di bronzo. Una tradizione che trova un’eco nelle imponenti opere di Oliviero Rainaldi (1956), cariche del misticismo antico di una terra percorsa da santi francescani ed eremiti, in cui le case hanno sul portale il monogramma di Cristo e le valli sono punteggiate dalle chiese della transumanza.
Le opere in marmo di Andrea Cascella (1920) nascevano dalla combinazione a incastro di forme archetipiche di suprema eleganza e di semplicità classica, ripetendo i gesti dei mitici costruttori di mura ciclopiche. E il fratello Pietro Cascella (1921) lavorava quella che definì “l’ossatura della terra”, pietra asportata in dimensioni monumentali, piegata a forgiare forme e uomini di struttura arcaica, volumi essenziali memori delle rigide Madonne in trono medievali o degli antichi strumenti di misurazione. A ben guardare la predilezione per il gigantismo di Crocetti, Rainaldi e i Cascella, viene spontanea una lettura “diacronica” delle opere, fino a rintracciare un punto di partenza in quel Guerriero di Capestrano rinvenuto negli anni Trenta presso L’Aquila, un gigante in pietra calcarea del VI secolo a. C., alto oltre due metri.
Mentre le ceramiche di Giancarlo Sciannella (1943) nascono nel fuoco delle fornaci di Castelli: terra e fuoco restituiscono forme di scabra modernità, nate da una memoria ancestrale dei colori e delle forme degli utensili contadini, non privi di quella nobile eleganza che nasce dalla semplicità.
Il tempo delle favole narrate dalle donne intorno ai focolari, che come rudi Penelopi tessevano scialli e coperte, è rievocato nel lavoro di Lea Contestabile (1949), e una dimensione di eroica narrazione omerica traspare anche nel lavoro di Paride Petrei (1978), che nella scultura elabora macchine da assedio di memoria rinascimentale, mentre nei disegni dirige con certosina perfezione l’andamento della grafite e dell’inchiostro.
Dinosauri, varani e fantastici animali scomparsi popolano il lavoro di Sergio Sarra (1961), che non nascono da un’”imagerie” da “cartoons”, nonostante la loro espressione ludica: piuttosto, trapela il ricordo della meraviglia suscitata dal ritrovamento negli anni Cinquanta di quell’elefante preistorico riemerso nel territorio di Scoppito, memoria fossile di un tempo in cui la conca aquilana era solo un grande lago.
Licia Galizia (1966) è autrice di armonie scolpite, e i suoi lavori costruiti su sapienti elementi modulari (come facevano i monaci cistercensi) captano attraverso inserimenti di fini lamine d’acciaio (a volte provviste di sensori) ogni minima vibrazione, ogni variazione di energia, il sussurro del vento, il gesto discreto che li accarezza. Un lavoro sperimentale e d’avanguardia, ma forse “antico” nella città che ricorda le nove sfere del cielo: si raccontava infatti dai tempi di Pitagora e fino a Dante che emanassero una musica, onde armoniche e sublimi. Sovrastate a volte dalla dissonanza mortale delle onde dei nove cerchi infernali. Il lavoro Onde di Galizia è stato appositamente realizzato per L’Aquila del G8 ed è generato proprio dall’esperienza del terremoto, vissuto in prima persona dall’artista: le lamine che si piegano, si accartocciano e si sovrappongono a “spina di pesce” sono la trasposizione lirica dell’immagine dei mattoni crollati della sua casa, disposti in quel disegno dal movimento delle onde sismiche; ma sono anche l’idea delle onde del mare che hanno accolto l’artista sulla costa abruzzese, dove si è rifugiata. Onde è il primo frutto artistico nato dal caos e dal dolore della notte del 6 aprile”.
Fra tanta distruzione, anche una mostra “eccentrica” - un momento di “vitalità” e uno sguardo verso il futuro -, curata da Gioia Mori, realizzata da Comunicare Organizzando. Intitolata 9 x 99 (9 artisti per la città dei 99 castelli), è stata l’occasione per mettere in risalto diverse generazioni di scultori abruzzesi, con alcune presenze storiche (Venanzo Crocetti, Andrea e Pietro Cascella) e artisti delle ultime generazioni di fama e attività internazionali, nel cui lavoro è possibile rintracciare una permanenza di tracce della cultura più antica e della spiritualità che avvolge il territorio.
Il progetto di Gioia Mori parte da una lettura “esoterica” della città, da quella sua caratteristica di essere fondata sul numero “9”, numero magico. Spiega la curatrice nel suo testo:
“Costruita da titani guerrieri santi e cavalieri, L’Aquila infatti è una città pensata come una mappa celeste e cela in un’urbanistica allusiva la sua origine iniziatica, nascosta dietro la ripetizione del numero 9: novantanove piazze, novantanove chiese, novantanove fontane sono lì a disegnare un percorso sapienziale, inseguendo idee di perfezione e di armonia cosmica. Perché gli antichi rappresentavano il cielo, la terra e gli inferi con un triangolo, e il numero nove raffigurava la totalità dei tre mondi. Perché nove erano le sfere celesti e simmetricamente erano nove i cerchi infernali. E nove - nove giorni e nove notti - era la misura del tempo che separa il cielo dalla terra e questa dall'inferno, come spiegava Esiodo nella Teogonia: “Un’incudine di bronzo cadrebbe dal cielo per nove giorni e nove notti prima di raggiungere il decimo giorno la terra. Allo stesso modo un’incudine di bronzo cadrebbe dalla terra per nove giorni e nove notti prima di raggiungere il decimo giorno il Tartaro”.
L’Aquila è dunque una città “divina”, specchio di un ordine superiore, come se fosse nata da una visione, forse per intervento dei nove cori angelici, o per volere di costruttori in possesso di antichi segreti, forse proprio quei nove maestri che ritrovarono la tomba di Hiram.
Dei nove scultori abruzzesi presentati, Venanzo Crocetti è il tempo più antico, essendo nato nel 1913. Uomo appartato e schivo, amplificò la limitata misura umana fino a costruire “giganti della montagna”, in magistrali e monumentali fusioni di bronzo. Una tradizione che trova un’eco nelle imponenti opere di Oliviero Rainaldi (1956), cariche del misticismo antico di una terra percorsa da santi francescani ed eremiti, in cui le case hanno sul portale il monogramma di Cristo e le valli sono punteggiate dalle chiese della transumanza.
Le opere in marmo di Andrea Cascella (1920) nascevano dalla combinazione a incastro di forme archetipiche di suprema eleganza e di semplicità classica, ripetendo i gesti dei mitici costruttori di mura ciclopiche. E il fratello Pietro Cascella (1921) lavorava quella che definì “l’ossatura della terra”, pietra asportata in dimensioni monumentali, piegata a forgiare forme e uomini di struttura arcaica, volumi essenziali memori delle rigide Madonne in trono medievali o degli antichi strumenti di misurazione. A ben guardare la predilezione per il gigantismo di Crocetti, Rainaldi e i Cascella, viene spontanea una lettura “diacronica” delle opere, fino a rintracciare un punto di partenza in quel Guerriero di Capestrano rinvenuto negli anni Trenta presso L’Aquila, un gigante in pietra calcarea del VI secolo a. C., alto oltre due metri.
Mentre le ceramiche di Giancarlo Sciannella (1943) nascono nel fuoco delle fornaci di Castelli: terra e fuoco restituiscono forme di scabra modernità, nate da una memoria ancestrale dei colori e delle forme degli utensili contadini, non privi di quella nobile eleganza che nasce dalla semplicità.
Il tempo delle favole narrate dalle donne intorno ai focolari, che come rudi Penelopi tessevano scialli e coperte, è rievocato nel lavoro di Lea Contestabile (1949), e una dimensione di eroica narrazione omerica traspare anche nel lavoro di Paride Petrei (1978), che nella scultura elabora macchine da assedio di memoria rinascimentale, mentre nei disegni dirige con certosina perfezione l’andamento della grafite e dell’inchiostro.
Dinosauri, varani e fantastici animali scomparsi popolano il lavoro di Sergio Sarra (1961), che non nascono da un’”imagerie” da “cartoons”, nonostante la loro espressione ludica: piuttosto, trapela il ricordo della meraviglia suscitata dal ritrovamento negli anni Cinquanta di quell’elefante preistorico riemerso nel territorio di Scoppito, memoria fossile di un tempo in cui la conca aquilana era solo un grande lago.
Licia Galizia (1966) è autrice di armonie scolpite, e i suoi lavori costruiti su sapienti elementi modulari (come facevano i monaci cistercensi) captano attraverso inserimenti di fini lamine d’acciaio (a volte provviste di sensori) ogni minima vibrazione, ogni variazione di energia, il sussurro del vento, il gesto discreto che li accarezza. Un lavoro sperimentale e d’avanguardia, ma forse “antico” nella città che ricorda le nove sfere del cielo: si raccontava infatti dai tempi di Pitagora e fino a Dante che emanassero una musica, onde armoniche e sublimi. Sovrastate a volte dalla dissonanza mortale delle onde dei nove cerchi infernali. Il lavoro Onde di Galizia è stato appositamente realizzato per L’Aquila del G8 ed è generato proprio dall’esperienza del terremoto, vissuto in prima persona dall’artista: le lamine che si piegano, si accartocciano e si sovrappongono a “spina di pesce” sono la trasposizione lirica dell’immagine dei mattoni crollati della sua casa, disposti in quel disegno dal movimento delle onde sismiche; ma sono anche l’idea delle onde del mare che hanno accolto l’artista sulla costa abruzzese, dove si è rifugiata. Onde è il primo frutto artistico nato dal caos e dal dolore della notte del 6 aprile”.
06
luglio 2009
9 x 99
Dal 06 al 31 luglio 2009
arte contemporanea
Location
CASERMA VINCENZO GIUDICE
L'aquila, (L'aquila)
L'aquila, (L'aquila)
Autore
Curatore