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Summer Love – Welcome Home
Una riflessione sul fare casa e spostarsi in relazione con gli altri. Opere di Mohsen Baghernejad Moghanjooghi, Lori Lako, Erika Pellicci.
Comunicato stampa
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Nessuno dei tre artisti protagonisti di questa mostra in questo momento sta vivendo nella città in cui è nato, a dir la verità nemmeno nel paese di origine. Mohsen Baghernejad è iraniano ma vive e lavora a Torino, Lori Lako è albanese ma vive e lavora Firenze, Erika Pellicci proviene dalla provincia di Lucca ma vive e lavora attualmente a Berlino.
Si può dire che è una mostra che parla di spostamenti per trovare stanza altrove. Prendere stanza 1. [andare ad abitare in un luogo] ≈ domiciliarsi, prendere alloggio, sistemarsi, stabilirsi. 2. [trovare temporaneamente dimora in un luogo] ≈ alloggiare, dimorare, installarsi, prendere alloggio.
Summer Love – Welcome Home ha il sapore di un amore estivo, temporaneo, leggero, precario, misterioso, nuovo. Ha l’aspirazione a fare casa ovunque, di essere a casa altrove. Fare case è faticoso, dispendioso, è un luogo di relazione con gli altri.
Il filosofo Emanuele Coccia nel suo saggio Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità parla della casa come un insieme di cose che hai bisogno di portare con te. “Abitare non significa essere circondato da qualcosa né occupare una certa porzione dello spazio terrestre. Significa intrecciare una relazione talmente intensa con certe cose e certe persone da rendere la felicità e il nostro respiro inseparabili”. “Abbiamo bisogno di pensare la casa: viviamo nell’urgenza di fare di questo pianeta una vera e propria dimora, o meglio di fare della nostra abitazione un vero pianeta, uno spazio capace di accogliere tutte e tutti. Al progetto moderno di globalizzare la città si è sostituito quello di aprire i nostri appartamenti per farli coincidere con la Terra.” Siamo tutti stranieri, eppure ogni volta riusciamo a farci casa.
Mohsen Baghernejad (Tehran, Iran,1988) da sempre porta all’interno della propria opera un ricordo di quando a Tehran lavorava come assistente nello studio di architettura del fratello, recuperando un materiale come il cemento per costruire piante e elementi organici di cui prenderci cura e in continua trasformazione. Un’altra pratica del suo lavoro sta nell’intaccare pareti con delle frasi incise e scavate in diverse lingue, tra cui la sua lingua madre, il persiano. Questo suo scavare sembra scalfire la superficie, quasi per studiare le storie e le stratificazioni di quelle mura, oltre a lasciare un segno del suo passaggio, dire qualcosa. In occasione della sua recente personale Per Piruz ha riempito tutte la pareti di una stanza di Villa Rey a Torino con il testo della canzone Baraye (in italiano “Per”), l’inno della protesta iraniana in nome di Mahsa Amini che il musicista iraniano Shervin Hajiapour ha composto cucendo insieme i messaggi della protesta. Allo stesso tempo porta avanti una serie di lavori con il tessuto, passando quindi dalla pesantezza del cemento alle superfici leggere come veli che l’artista disegna e fa stampare. E proprio con una stoffa trasparente ricrea in questa mostra un ambiente separato, una sorta di luogo mentale in cui alcune sculture vanno a ricostruire metaforicamente l’interno di una stanza, un interno che è anche una presenza fisica, una stanza che è a sua volta pronta ad ospitarci in una dimensione autonoma ma in connessione con lo spazio circostante.
Pareti che si fanno leggere, trasparenti, che rendono sempre più labile il confine tra dentro e fuori.
Lori Lako (Pogradec, Albania, 1991) è chiamata a fare quasi un lavoro di cucitura e ritrovare origini e punti di contatto con la comunità albanese di Pistoia, a seguito di una doppia residenza a Pistoia e Biella per uno scambio con la Città dell’Arte - Fondazione Pistoletto. Nell'installazione Zoo Lori Lako riflette sui nazionalismi e le bandiere. L’aquila della bandiera albanese è stata cucita da una delle poche donne che appaiono sui libri di storia dell’Albania, Marigo Posio. Lori Lako compie il gesto opposto, scuce l’aquila bifronte e insieme ad essa alcuni animali presenti nelle bandiere di altre nazioni, liberandoli da tutti quei confini che li limitano.
Nella serie fotografica Lullaby, l’artista procede, come spesso fa nel suo percorso, recuperando immagini dall’archivio e dai ricordi delle persone con le quali entra in contatto. In questo caso sceglie alcune fotografie da una serie di scatti fatti nei primi anni Novanta dall’illustratore Francesco Fagnani, allora inviato del settimanale Cuore in Albania. Per Lori Lako lavorare con materiali che precedono o coincidono con il suo anno di nascita diventa sempre un confronto e una riscrittura della sua storia: la statua del dittatore Enver Hoxha viene abbattuta a Tirana il 20 febbraio 1991, tre giorni prima della nascita dell’artista.
In Lullaby le foto in bianco e nero vengono riportate a colori attraverso una app, un processo tecnologico meccanico, che però in alcuni punti sbaglia e sbava i colori. Questo processo opera una sorta di eliminazione della distanza temporale, come se queste storie ci parlassero ancora.
L’artista se le immagina come frame di un film, pezzi di vita inseriti dentro una nuova storia, una nuova narrazione. Ecco che in basso appaiono delle scritte, come fossero sottotitoli che raccontano ai non udenti quello che si sente nella scena. Le immagini di un viaggio, ipoteticamente il ricordo di una vacanza estiva in Albania, diventano ancora una volta per Lori Lako un pretesto per parlare del proprio Paese e della reale possibilità di spostarsi, varcare i confini, fare casa altrove, come ha fatto anni fa la folta comunità albanese che si è ricostituita a Pistoia.
Erika Pellicci (Barga, Lucca, 1992) occupa temporaneamente una stanza a Berlino, un anno fa si è trasferita per lavoro e da subito ha iniziato ad avere difficoltà nel trovare casa.
Erika lavora con la fotografia e con il suo corpo e sente da sempre il legame con il suo Luogo di origine (questo il titolo di un suo video del 2021 che parlava dell’essere nella sua casa in provincia di Lucca e altrove contemporaneamente). Nella sua stanza Erika ama esercitarsi in passi di danza, a volte indossando delle cuffie. Si muove e si riprende con il telefonino o la videocamera.
Una lotta continua con la tecnologia: il corpo si muove in modo più o meno fluido, perlustra il pavimento e guarda nella telecamera che meccanicamente e passivamente riprende. Ecco che per un attimo il meccanismo si inceppa e sullo schermo il corpo appare pixelato, sgranato. Un errore. Erika esegue subito uno screenshot della sua immagine che sullo schermo sta per sparire. Un corpo che temporaneamente occupa quella stanza, che appare e scompare a intermittenza.
“Se prima cercavo una definizione per la parola casa o cercavo un luogo fisico, mi sono ritrovata a concentrarmi sulla mia presenza materica nello spazio, il luogo che occupo o che occuperò si muoverà con me, non sarà statico.”
Quando Erika è arrivata a Berlino era appena scoppiata la guerra in Ucraina, e proprio nella città tedesca ha incontrato molte persone fuggite dalla guerra, persone che al ritorno – chissà quando – troveranno soltanto macerie della propria casa. Direttamente dall’orto di casa, attraverso un corriere, i suoi fanno arrivare ad Erika ogni tanto cose buone da mangiare e in mezzo a un cesto di insalata tempo fa è arrivata anche una chiocciola. Una chiocciola lucchese e Berlino. Erika si chiede se il mollusco sia maschio o femmina e la chiama Herma, un piccolo essere alla ricerca di identità e di casa, che in fondo la casa se la porta dietro, si ambienta, si attacca. Herma inizia a diventare protagonista delle immagini di Erika, e infine anche dei suoi lavori: la fotografa, ci fa un video ma poi la chiocciola sparisce, forse è scappata, forse è andata in letargo. Di nuovo la necessità di prendersi un tempo, trovare uno spazio per gesti lenti, per una meritata pace.
Summer Love è il nome del caicco turco con a bordo 180 migranti che è naufragato nelle acque calabresi di Cutro il 26 febbraio 2023. Mentre riflettevamo sul tema della casa, sullo stare, sul cercare, sullo spostarsi, sul trovare riparo, sul fare casa, anche lontano dal proprio luogo di origine, è accaduto questo naufragio sulle coste italiane.
Si può dire che è una mostra che parla di spostamenti per trovare stanza altrove. Prendere stanza 1. [andare ad abitare in un luogo] ≈ domiciliarsi, prendere alloggio, sistemarsi, stabilirsi. 2. [trovare temporaneamente dimora in un luogo] ≈ alloggiare, dimorare, installarsi, prendere alloggio.
Summer Love – Welcome Home ha il sapore di un amore estivo, temporaneo, leggero, precario, misterioso, nuovo. Ha l’aspirazione a fare casa ovunque, di essere a casa altrove. Fare case è faticoso, dispendioso, è un luogo di relazione con gli altri.
Il filosofo Emanuele Coccia nel suo saggio Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità parla della casa come un insieme di cose che hai bisogno di portare con te. “Abitare non significa essere circondato da qualcosa né occupare una certa porzione dello spazio terrestre. Significa intrecciare una relazione talmente intensa con certe cose e certe persone da rendere la felicità e il nostro respiro inseparabili”. “Abbiamo bisogno di pensare la casa: viviamo nell’urgenza di fare di questo pianeta una vera e propria dimora, o meglio di fare della nostra abitazione un vero pianeta, uno spazio capace di accogliere tutte e tutti. Al progetto moderno di globalizzare la città si è sostituito quello di aprire i nostri appartamenti per farli coincidere con la Terra.” Siamo tutti stranieri, eppure ogni volta riusciamo a farci casa.
Mohsen Baghernejad (Tehran, Iran,1988) da sempre porta all’interno della propria opera un ricordo di quando a Tehran lavorava come assistente nello studio di architettura del fratello, recuperando un materiale come il cemento per costruire piante e elementi organici di cui prenderci cura e in continua trasformazione. Un’altra pratica del suo lavoro sta nell’intaccare pareti con delle frasi incise e scavate in diverse lingue, tra cui la sua lingua madre, il persiano. Questo suo scavare sembra scalfire la superficie, quasi per studiare le storie e le stratificazioni di quelle mura, oltre a lasciare un segno del suo passaggio, dire qualcosa. In occasione della sua recente personale Per Piruz ha riempito tutte la pareti di una stanza di Villa Rey a Torino con il testo della canzone Baraye (in italiano “Per”), l’inno della protesta iraniana in nome di Mahsa Amini che il musicista iraniano Shervin Hajiapour ha composto cucendo insieme i messaggi della protesta. Allo stesso tempo porta avanti una serie di lavori con il tessuto, passando quindi dalla pesantezza del cemento alle superfici leggere come veli che l’artista disegna e fa stampare. E proprio con una stoffa trasparente ricrea in questa mostra un ambiente separato, una sorta di luogo mentale in cui alcune sculture vanno a ricostruire metaforicamente l’interno di una stanza, un interno che è anche una presenza fisica, una stanza che è a sua volta pronta ad ospitarci in una dimensione autonoma ma in connessione con lo spazio circostante.
Pareti che si fanno leggere, trasparenti, che rendono sempre più labile il confine tra dentro e fuori.
Lori Lako (Pogradec, Albania, 1991) è chiamata a fare quasi un lavoro di cucitura e ritrovare origini e punti di contatto con la comunità albanese di Pistoia, a seguito di una doppia residenza a Pistoia e Biella per uno scambio con la Città dell’Arte - Fondazione Pistoletto. Nell'installazione Zoo Lori Lako riflette sui nazionalismi e le bandiere. L’aquila della bandiera albanese è stata cucita da una delle poche donne che appaiono sui libri di storia dell’Albania, Marigo Posio. Lori Lako compie il gesto opposto, scuce l’aquila bifronte e insieme ad essa alcuni animali presenti nelle bandiere di altre nazioni, liberandoli da tutti quei confini che li limitano.
Nella serie fotografica Lullaby, l’artista procede, come spesso fa nel suo percorso, recuperando immagini dall’archivio e dai ricordi delle persone con le quali entra in contatto. In questo caso sceglie alcune fotografie da una serie di scatti fatti nei primi anni Novanta dall’illustratore Francesco Fagnani, allora inviato del settimanale Cuore in Albania. Per Lori Lako lavorare con materiali che precedono o coincidono con il suo anno di nascita diventa sempre un confronto e una riscrittura della sua storia: la statua del dittatore Enver Hoxha viene abbattuta a Tirana il 20 febbraio 1991, tre giorni prima della nascita dell’artista.
In Lullaby le foto in bianco e nero vengono riportate a colori attraverso una app, un processo tecnologico meccanico, che però in alcuni punti sbaglia e sbava i colori. Questo processo opera una sorta di eliminazione della distanza temporale, come se queste storie ci parlassero ancora.
L’artista se le immagina come frame di un film, pezzi di vita inseriti dentro una nuova storia, una nuova narrazione. Ecco che in basso appaiono delle scritte, come fossero sottotitoli che raccontano ai non udenti quello che si sente nella scena. Le immagini di un viaggio, ipoteticamente il ricordo di una vacanza estiva in Albania, diventano ancora una volta per Lori Lako un pretesto per parlare del proprio Paese e della reale possibilità di spostarsi, varcare i confini, fare casa altrove, come ha fatto anni fa la folta comunità albanese che si è ricostituita a Pistoia.
Erika Pellicci (Barga, Lucca, 1992) occupa temporaneamente una stanza a Berlino, un anno fa si è trasferita per lavoro e da subito ha iniziato ad avere difficoltà nel trovare casa.
Erika lavora con la fotografia e con il suo corpo e sente da sempre il legame con il suo Luogo di origine (questo il titolo di un suo video del 2021 che parlava dell’essere nella sua casa in provincia di Lucca e altrove contemporaneamente). Nella sua stanza Erika ama esercitarsi in passi di danza, a volte indossando delle cuffie. Si muove e si riprende con il telefonino o la videocamera.
Una lotta continua con la tecnologia: il corpo si muove in modo più o meno fluido, perlustra il pavimento e guarda nella telecamera che meccanicamente e passivamente riprende. Ecco che per un attimo il meccanismo si inceppa e sullo schermo il corpo appare pixelato, sgranato. Un errore. Erika esegue subito uno screenshot della sua immagine che sullo schermo sta per sparire. Un corpo che temporaneamente occupa quella stanza, che appare e scompare a intermittenza.
“Se prima cercavo una definizione per la parola casa o cercavo un luogo fisico, mi sono ritrovata a concentrarmi sulla mia presenza materica nello spazio, il luogo che occupo o che occuperò si muoverà con me, non sarà statico.”
Quando Erika è arrivata a Berlino era appena scoppiata la guerra in Ucraina, e proprio nella città tedesca ha incontrato molte persone fuggite dalla guerra, persone che al ritorno – chissà quando – troveranno soltanto macerie della propria casa. Direttamente dall’orto di casa, attraverso un corriere, i suoi fanno arrivare ad Erika ogni tanto cose buone da mangiare e in mezzo a un cesto di insalata tempo fa è arrivata anche una chiocciola. Una chiocciola lucchese e Berlino. Erika si chiede se il mollusco sia maschio o femmina e la chiama Herma, un piccolo essere alla ricerca di identità e di casa, che in fondo la casa se la porta dietro, si ambienta, si attacca. Herma inizia a diventare protagonista delle immagini di Erika, e infine anche dei suoi lavori: la fotografa, ci fa un video ma poi la chiocciola sparisce, forse è scappata, forse è andata in letargo. Di nuovo la necessità di prendersi un tempo, trovare uno spazio per gesti lenti, per una meritata pace.
Summer Love è il nome del caicco turco con a bordo 180 migranti che è naufragato nelle acque calabresi di Cutro il 26 febbraio 2023. Mentre riflettevamo sul tema della casa, sullo stare, sul cercare, sullo spostarsi, sul trovare riparo, sul fare casa, anche lontano dal proprio luogo di origine, è accaduto questo naufragio sulle coste italiane.
16
aprile 2023
Summer Love – Welcome Home
Dal 16 aprile al 18 giugno 2023
arte contemporanea
Location
Galleria Vannucci
Pistoia, Via Gorizia, 122, (PT)
Pistoia, Via Gorizia, 122, (PT)
Orario di apertura
da mercoledì a venerdì 17:00-19:30
sabato 9:30-12:30 / 17:00 -19:30
Vernissage
16 Aprile 2023, 16:00
Autore
Curatore
Autore testo critico