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A perdita d’occhio
Mostra collettiva
Comunicato stampa
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Epopea del paesaggio
che questa mostra a prima vista possa apparire reazionaria ne sono assolutamente consapevole. Voglio dirlo subito, il mio non vuole essere un velleitario auspicio di ritorno alla pittura nel momento che essa è bandita da tutti i consessi d'arte contemporanea che contano. Video, fotografia, installazioni, neo-performance sono i mezzi espressivi che dominano la scena facendo sembrare il dipingere un atto antiquato, superato. Ebbene, è notorio con quanta energia e convinzione, dai tempi dell'arte povera e delle prime performance al garage di via Beccaria, io per primo abbia propugnato quell'avanguardia extra pittorica. Però, adesso, innegabilmente essa ristagna, e lo stallo prolungato si riflette in un esercizio di pura accademia.Ben venga, dunque, questo ritrovato odore di pittura che sale alle narici del visitatore appena entrato in galleria. L'olfatto, d'altronde, è un fattore proustiano, alimenta la scia dei ricordi. Mi rivedo a vent'anni su un aeroplano della Sabena in volo da Roma a Bruxelles: il mio battesimo dell'aria. Ero in missione, incaricato da mio padre di comprare alcuni quadri di Permeke dagli eredi. Da lì a poco mi sarei recato a Jabbeke in Fiandra nello studio del pittore dove avrei fatto mie soprattutto delle marine e qualche figura rimasta. Marine come quella in cui ci si imbatte oggi all'ingresso de L'Attico, dipinta negli anni trenta, la cui splendente matericità di onde e di nubi mi trasmette la stessa gioia degli occhi di allora. Sono in sintonia da sempre con la pittura di materia, forse le marine di Permeke mi piacquero da giovanissimo proprio perché parenti prossime dell'informale che mio padre ed io tanto amavamo. Il secondo dipinto che ci viene incontro nella mostra è ancora una marina, stavolta di Pizzi Cannella, eseguita nel 1986 e mai esposta prima. Sorta finalmente da un buio magazzino, dopo un'eclissi di venticinque anni, la luna alonata di Pizzi brilla come un faro poetico sul mare del quadro e sulla mostra intera. Il quadro di Limoni è l'unico dei sei esposti dipinto per l'occasione. Ecco da dove viene l'odore nell'aria di pittura fresca! Ora che lo riguardo installato sulla parete, dopo averlo visionato allo studio, metto a fuoco ancor di più lo stacco che c'è con i suoi quadri floreali precedenti. Lì la spatolata assecondava giocoforza la rotondità congenita del petalo, qui ha il tratto ribelle, guizzante della fiamma. La siepe dell'infinito leopardiano, presa di mira, ha reso incendiaria la mano del pittore. Il campo di papaveri di Palmieri è un altro quadro che mi riporta di colpo agli anni ottanta quando imperava la transavanguardia di Bonito Oliva ed io, rientrando nell'agone dell'arte dopo una feconda stagione teatrale, puntai le mie fiches su San Lorenzo. Palmieri venne subito dopo, le sue doti di pittore si rivelarono appieno proprio con questi paesaggi di girasoli, di papaveri. E' stato bello liberare il quadro dal suo imballaggio e constatare che la combinazione di qualità retinica impressionista e gestualità espressionista ne aveva preservato miracolosamente la freschezza. Nel dipinto di Montani, un notturno dei suoi, con il nero esaltato dal supporto abrasivo, il paesaggio è inventato totalmente. Tutta la superficie pulsa come l'ebollizione d'un campo sulfureo celeste. Guardandolo ci si può immaginare atterrati su un altro pianeta, per poi constatare che il viaggio dalla partenza all'arrivo si è consumato dentro noi stessi.Infine l'opera di Picozza che mi ha ispirato il titolo della mostra "A perdita d'occhio". È un dipinto freddo in apparenza, caldo in realtà. Sono acque che dalle cime innevate si sciolgono a valle al primo sole di primavera. E' il quadro più lirico che Picozza abbia dipinto in vita sua. Era un paesaggista nato il nostro Paolo. L'ultimo di un'epopea.
Fabio Sargentini
che questa mostra a prima vista possa apparire reazionaria ne sono assolutamente consapevole. Voglio dirlo subito, il mio non vuole essere un velleitario auspicio di ritorno alla pittura nel momento che essa è bandita da tutti i consessi d'arte contemporanea che contano. Video, fotografia, installazioni, neo-performance sono i mezzi espressivi che dominano la scena facendo sembrare il dipingere un atto antiquato, superato. Ebbene, è notorio con quanta energia e convinzione, dai tempi dell'arte povera e delle prime performance al garage di via Beccaria, io per primo abbia propugnato quell'avanguardia extra pittorica. Però, adesso, innegabilmente essa ristagna, e lo stallo prolungato si riflette in un esercizio di pura accademia.Ben venga, dunque, questo ritrovato odore di pittura che sale alle narici del visitatore appena entrato in galleria. L'olfatto, d'altronde, è un fattore proustiano, alimenta la scia dei ricordi. Mi rivedo a vent'anni su un aeroplano della Sabena in volo da Roma a Bruxelles: il mio battesimo dell'aria. Ero in missione, incaricato da mio padre di comprare alcuni quadri di Permeke dagli eredi. Da lì a poco mi sarei recato a Jabbeke in Fiandra nello studio del pittore dove avrei fatto mie soprattutto delle marine e qualche figura rimasta. Marine come quella in cui ci si imbatte oggi all'ingresso de L'Attico, dipinta negli anni trenta, la cui splendente matericità di onde e di nubi mi trasmette la stessa gioia degli occhi di allora. Sono in sintonia da sempre con la pittura di materia, forse le marine di Permeke mi piacquero da giovanissimo proprio perché parenti prossime dell'informale che mio padre ed io tanto amavamo. Il secondo dipinto che ci viene incontro nella mostra è ancora una marina, stavolta di Pizzi Cannella, eseguita nel 1986 e mai esposta prima. Sorta finalmente da un buio magazzino, dopo un'eclissi di venticinque anni, la luna alonata di Pizzi brilla come un faro poetico sul mare del quadro e sulla mostra intera. Il quadro di Limoni è l'unico dei sei esposti dipinto per l'occasione. Ecco da dove viene l'odore nell'aria di pittura fresca! Ora che lo riguardo installato sulla parete, dopo averlo visionato allo studio, metto a fuoco ancor di più lo stacco che c'è con i suoi quadri floreali precedenti. Lì la spatolata assecondava giocoforza la rotondità congenita del petalo, qui ha il tratto ribelle, guizzante della fiamma. La siepe dell'infinito leopardiano, presa di mira, ha reso incendiaria la mano del pittore. Il campo di papaveri di Palmieri è un altro quadro che mi riporta di colpo agli anni ottanta quando imperava la transavanguardia di Bonito Oliva ed io, rientrando nell'agone dell'arte dopo una feconda stagione teatrale, puntai le mie fiches su San Lorenzo. Palmieri venne subito dopo, le sue doti di pittore si rivelarono appieno proprio con questi paesaggi di girasoli, di papaveri. E' stato bello liberare il quadro dal suo imballaggio e constatare che la combinazione di qualità retinica impressionista e gestualità espressionista ne aveva preservato miracolosamente la freschezza. Nel dipinto di Montani, un notturno dei suoi, con il nero esaltato dal supporto abrasivo, il paesaggio è inventato totalmente. Tutta la superficie pulsa come l'ebollizione d'un campo sulfureo celeste. Guardandolo ci si può immaginare atterrati su un altro pianeta, per poi constatare che il viaggio dalla partenza all'arrivo si è consumato dentro noi stessi.Infine l'opera di Picozza che mi ha ispirato il titolo della mostra "A perdita d'occhio". È un dipinto freddo in apparenza, caldo in realtà. Sono acque che dalle cime innevate si sciolgono a valle al primo sole di primavera. E' il quadro più lirico che Picozza abbia dipinto in vita sua. Era un paesaggista nato il nostro Paolo. L'ultimo di un'epopea.
Fabio Sargentini
26
novembre 2010
A perdita d’occhio
Dal 26 novembre 2010 al 26 gennaio 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA L’ATTICO – FABIO SARGENTINI
Roma, Via Del Paradiso, 41, (Roma)
Roma, Via Del Paradiso, 41, (Roma)
Vernissage
26 Novembre 2010, ore 19
Autore