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A-tratti
La collettiva A-tratti affronta la ricerca pittorica astratta informale di generazioni a confronto, dove il linguaggio della percezione visiva e della materia si fonde attraverso la poesia con la materia e lo spazio, elementi della storia e del pensiero contemporaneo.
Comunicato stampa
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Partire da qui, dal privato senso dello spazio-tempo, dà quel processo atemporale che diventa “ideologia” in un idea infinita, è un esplodere di possibilità opposte, un giocare di attrazioni magnetiche ebbre di materie, di colori e suoni che quasi antagonisticamente si appartengono nella loro stessa originalità, intuendo attraverso l’esperienza una trasfigurazione in conflitto, nella quale si realizza quel valore contraddittorio che nel totale universum, o meglio nell’immaginario, si contendono il reale profumo dell’esistenza: un luogo “barocco” dell’esserci, vero nell’invalicabile complesso drammatico dell’emozione e al tempo dell’attesa.
Esiste un autonomia dove il frammento crea una totalità, una sorta di melanconia organica da cui si estende quella delicata azione del ricomporre, quasi un relativismo senza relatività, ma che attraverso il confluire delle sensazioni diventa attrazione: un tirare a se per essere disposti ad altro. Questo, in un certo senso, è il lavoro che questa mostra tenta di far vedere.
Ogni incontro, ogni storia o epoca o vita, sembrano una fabbrica di opportunità e razzolando dalla storia alla quotidianità secondo proprie simpatie e urgenze e rimescolando, o meglio, nascondendo importanti naturali valori, si perde di vista l’origine, ma se questo è consapevole e se tutto lascia vedere il suo presupposto, tale esperienza-esigenza diventa interessante. Anche perché non è la consapevolezza o la sola esigenza, ma quanto l’attrazione di quei frammenti emotivi che lasciano esplorare un’altra natura.
Rientrando nella sfera espressiva i fili che si incontrano tendono a un isolamento provvisorio, ma consapevolmente ben tirati verso quel piccolo mondo antico che unisce la diversità attraverso la tenue materia. La pittura dello spazio, il processo del segno che, come le miniature medievali, si accompagnano alla parola e a quell’immaginario astratto, infinito, di un mare impetuoso dove solo una “Nave dei Folli” può navigare senza meta.
Così lontani, quasi in discordanza, questi artisti sembrano in attesa e non per le loro storie narrate, ma quanto per quelle scelte, quelle rese racconto e accompagnate verso un pungente preludio di armoniche attrazioni. E’ questo invito che ho lasciato calare nelle loro tendenze espressive, quasi a trascrivere con loro una sensazione fatta di trame fuori dalla realtà oggettiva. Linguaggi simili nel libero sentiero dell’astrazione, ma avvolti da quell’isolamento precursore che osserva le direttrici della inefficiente realtà, per spingersi nella dimora del non reale.
La tensione che a tratti ripercorre questo progetto è dunque un istintivo raccoglimento originario, ed insieme percorrere un segno comune, una frase convincente che si desta al travaglio di una linfa futura.
La natura- visione supporterà questo raccontare con l’eventualità di cessare ogni qualvolta che un lampo di esigenza si accorderà al fruscio di una forza alterante, da un pre-supposto in opera in forma di energia, segnalando quel senso di appartenenza che attrae l’armonia alla poesia: una storia.
…quando, frenetico si sarà stabilizzato lo schiamazzo e la circonferenza smetterà di ruotare,
un segno lucido, sicuro come un rifugio nel passato, intreccerà il filo radente e rimarrà in procinto di cadere. Eletto a questo smarrimento e quasi nell’attirarsi a se un sostegno si sentirà cosa d’arte, quasi monili dissepolti. Il Bianco scenderà tra la folla e la sua spatola inciderà la notte e la superficie quadrata sguainerà lenta dalla materia; bianco e nero dileguati come oscuri capelli su le docili spalle, immoti tra i non colori, bronzo azzurro, rame dorato. Uno dopo l’altro risalgono l’orizzonte Bianco.
Questo non pellegrina dalla forma e dinanzi al tepore monocromo seguita il mistero. Pende da una parte il riverbero colorato, ponderoso come un fiore pesa in se stranezza. Alle corniciature astratte la selva variopinta informa lo spazio al limite e in scintillante parte punta il quadrato cielo, col pennello e col verso in divenire si appropria dell’evanescenza. Sguscia il colore al plurale, all’esemplare astratto, tra scintillii e amplificate immersioni nella natura, in rituale attrazione e in odore di santità e di stile. Mentre, appena le spalle rivolte a tanta calamitata emozione, sale generoso di lato lo sguardo come ad incontrare il serraglio emulsivo e quasi a stento scattato, pesava stranamente come un limite d’accesso, come un peso dinanzi ad un orizzonte, il varco chiuso di un sentiero dove più di prima l’animato colore rendeva altisonante la sua salda geometria. Verde e azzurro nei ritagli approssimati di essenze cristalline, quasi arcaiche le smagliature in quel filo del senso fino a riconoscere il cancello della compostezza.
Da qualche punto, e non è riconoscibile quale, concavo un segno apre un margine elicoidale, a sciame si inoltra a superficie radente come un altare sospeso tra le angolature terrestri e l’orizzonte carnio. Sale e discende come a cercarsi all’estrema bocca, come un fiume entra, poi si dispone tra l’una e l’altra parte, come rami s’avvolge fino all’attirarsi l’avvolgimento di precordi intimi; poi si svela…
Lucidi scintillii dal bianco e grigio al paesaggio che mai vide, frammentata stava dorata la cornice e la sua anima. Ancora l’immagine non c’era per un capriccio razionale, ma pendente e radente l’anomalia del quadro aveva nel sonno abbagliato. E allora non alberi, ma colonne di bruniti ornamenti, da radici inesistenti in vasche di stagni celesti.
Riaprendo gli occhi accanto al racconto, l’illusione batteva i denti, freddo l’angolo si converte al quadrato esistente d’acqua azzurra e turchina, fra rigorose origini del verde e del cielo fino a i confini dell’universo. Architetto lo spazio dal tepore al silenzio in un oceano quadrato tra le ombre e il grigio del bianco; taciturno e incurante l’abisso.
Ancora nel bagliore, tutto sembrava, anche il nero, chiaro e luminoso,quasi di cristallo sottile, graffito dalla punta di uno stelo a raccontare un’emozione: un fiore reciso con il liquido inchiostro di un disegno glorioso appuntato al frullo del vento, al bianco fuoco.
Da qualche luce usciva un po’ di fiato, era l’antro della Sibilla acceso tra lo spazio e il suo profondo. Un piano e la sua pianura circolavano paralleli, interminabili fino al cuore degli oggetti gremiti al gelido scintillare di faville di una notte senza Luna. E poi riuscire da quel ripostiglio di luoghi mai noti dove l’aria si addensa tra il freddo, muto piano dell’orizzonte e tratteggiare fino al limite deciso quella terra scavata. Ancora un ultimo lampo…e poi la parola! - Il cassero della nave, tavole di legno, un tavolo trascritto ad incisione, anatomia della parola, vetri, traspare il sentimento, libri – fantasma, quasi polverosi, quasi assopiti. Disegni dove il sapere sbircia il Bello di fronte al soggetto, poesia, visiva, a tratti inconsapevole… i contadini !...
Uscendo dalla traccia della storia, riprendendo il contatto, al termine rimane il profumo di un ragionamento con accanto la chimera, e per ri-vedere recitare una preghiera e che il tempo passi, perché il tempo ne avete e si dispone tra poesia e figura.
A-tratto da voi.
Esiste un autonomia dove il frammento crea una totalità, una sorta di melanconia organica da cui si estende quella delicata azione del ricomporre, quasi un relativismo senza relatività, ma che attraverso il confluire delle sensazioni diventa attrazione: un tirare a se per essere disposti ad altro. Questo, in un certo senso, è il lavoro che questa mostra tenta di far vedere.
Ogni incontro, ogni storia o epoca o vita, sembrano una fabbrica di opportunità e razzolando dalla storia alla quotidianità secondo proprie simpatie e urgenze e rimescolando, o meglio, nascondendo importanti naturali valori, si perde di vista l’origine, ma se questo è consapevole e se tutto lascia vedere il suo presupposto, tale esperienza-esigenza diventa interessante. Anche perché non è la consapevolezza o la sola esigenza, ma quanto l’attrazione di quei frammenti emotivi che lasciano esplorare un’altra natura.
Rientrando nella sfera espressiva i fili che si incontrano tendono a un isolamento provvisorio, ma consapevolmente ben tirati verso quel piccolo mondo antico che unisce la diversità attraverso la tenue materia. La pittura dello spazio, il processo del segno che, come le miniature medievali, si accompagnano alla parola e a quell’immaginario astratto, infinito, di un mare impetuoso dove solo una “Nave dei Folli” può navigare senza meta.
Così lontani, quasi in discordanza, questi artisti sembrano in attesa e non per le loro storie narrate, ma quanto per quelle scelte, quelle rese racconto e accompagnate verso un pungente preludio di armoniche attrazioni. E’ questo invito che ho lasciato calare nelle loro tendenze espressive, quasi a trascrivere con loro una sensazione fatta di trame fuori dalla realtà oggettiva. Linguaggi simili nel libero sentiero dell’astrazione, ma avvolti da quell’isolamento precursore che osserva le direttrici della inefficiente realtà, per spingersi nella dimora del non reale.
La tensione che a tratti ripercorre questo progetto è dunque un istintivo raccoglimento originario, ed insieme percorrere un segno comune, una frase convincente che si desta al travaglio di una linfa futura.
La natura- visione supporterà questo raccontare con l’eventualità di cessare ogni qualvolta che un lampo di esigenza si accorderà al fruscio di una forza alterante, da un pre-supposto in opera in forma di energia, segnalando quel senso di appartenenza che attrae l’armonia alla poesia: una storia.
…quando, frenetico si sarà stabilizzato lo schiamazzo e la circonferenza smetterà di ruotare,
un segno lucido, sicuro come un rifugio nel passato, intreccerà il filo radente e rimarrà in procinto di cadere. Eletto a questo smarrimento e quasi nell’attirarsi a se un sostegno si sentirà cosa d’arte, quasi monili dissepolti. Il Bianco scenderà tra la folla e la sua spatola inciderà la notte e la superficie quadrata sguainerà lenta dalla materia; bianco e nero dileguati come oscuri capelli su le docili spalle, immoti tra i non colori, bronzo azzurro, rame dorato. Uno dopo l’altro risalgono l’orizzonte Bianco.
Questo non pellegrina dalla forma e dinanzi al tepore monocromo seguita il mistero. Pende da una parte il riverbero colorato, ponderoso come un fiore pesa in se stranezza. Alle corniciature astratte la selva variopinta informa lo spazio al limite e in scintillante parte punta il quadrato cielo, col pennello e col verso in divenire si appropria dell’evanescenza. Sguscia il colore al plurale, all’esemplare astratto, tra scintillii e amplificate immersioni nella natura, in rituale attrazione e in odore di santità e di stile. Mentre, appena le spalle rivolte a tanta calamitata emozione, sale generoso di lato lo sguardo come ad incontrare il serraglio emulsivo e quasi a stento scattato, pesava stranamente come un limite d’accesso, come un peso dinanzi ad un orizzonte, il varco chiuso di un sentiero dove più di prima l’animato colore rendeva altisonante la sua salda geometria. Verde e azzurro nei ritagli approssimati di essenze cristalline, quasi arcaiche le smagliature in quel filo del senso fino a riconoscere il cancello della compostezza.
Da qualche punto, e non è riconoscibile quale, concavo un segno apre un margine elicoidale, a sciame si inoltra a superficie radente come un altare sospeso tra le angolature terrestri e l’orizzonte carnio. Sale e discende come a cercarsi all’estrema bocca, come un fiume entra, poi si dispone tra l’una e l’altra parte, come rami s’avvolge fino all’attirarsi l’avvolgimento di precordi intimi; poi si svela…
Lucidi scintillii dal bianco e grigio al paesaggio che mai vide, frammentata stava dorata la cornice e la sua anima. Ancora l’immagine non c’era per un capriccio razionale, ma pendente e radente l’anomalia del quadro aveva nel sonno abbagliato. E allora non alberi, ma colonne di bruniti ornamenti, da radici inesistenti in vasche di stagni celesti.
Riaprendo gli occhi accanto al racconto, l’illusione batteva i denti, freddo l’angolo si converte al quadrato esistente d’acqua azzurra e turchina, fra rigorose origini del verde e del cielo fino a i confini dell’universo. Architetto lo spazio dal tepore al silenzio in un oceano quadrato tra le ombre e il grigio del bianco; taciturno e incurante l’abisso.
Ancora nel bagliore, tutto sembrava, anche il nero, chiaro e luminoso,quasi di cristallo sottile, graffito dalla punta di uno stelo a raccontare un’emozione: un fiore reciso con il liquido inchiostro di un disegno glorioso appuntato al frullo del vento, al bianco fuoco.
Da qualche luce usciva un po’ di fiato, era l’antro della Sibilla acceso tra lo spazio e il suo profondo. Un piano e la sua pianura circolavano paralleli, interminabili fino al cuore degli oggetti gremiti al gelido scintillare di faville di una notte senza Luna. E poi riuscire da quel ripostiglio di luoghi mai noti dove l’aria si addensa tra il freddo, muto piano dell’orizzonte e tratteggiare fino al limite deciso quella terra scavata. Ancora un ultimo lampo…e poi la parola! - Il cassero della nave, tavole di legno, un tavolo trascritto ad incisione, anatomia della parola, vetri, traspare il sentimento, libri – fantasma, quasi polverosi, quasi assopiti. Disegni dove il sapere sbircia il Bello di fronte al soggetto, poesia, visiva, a tratti inconsapevole… i contadini !...
Uscendo dalla traccia della storia, riprendendo il contatto, al termine rimane il profumo di un ragionamento con accanto la chimera, e per ri-vedere recitare una preghiera e che il tempo passi, perché il tempo ne avete e si dispone tra poesia e figura.
A-tratto da voi.
16
luglio 2010
A-tratti
Dal 16 luglio al 09 agosto 2010
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
GALLERIA TANNAZ
Firenze, Via Dell'oche, 9-11r, (Firenze)
Firenze, Via Dell'oche, 9-11r, (Firenze)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 16-20
Vernissage
16 Luglio 2010, ore 18.00 - 21.00
Autore
Curatore