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A trazione materiale
Per la mostra collettiva “A trazione materiale” si è scelto come luogo di esposizione un ambiente conviviale per un rinnovato appuntamento informale
Comunicato stampa
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A trazione materiale
Sono passati 100 anni da quando nel mondo dell’arte conviviale apparve Les demoiselles d’Avignon. Un quadro d’avanguardia, già casa d’appuntamenti informali per inaugurare a mo’ di bordel philosophique le avventure della sintesi. E di crisi figurata. Uno primo slargo insomma, bordura e radura secolare di seduzione materiale. Chair du mond.
Per la mostra collettiva “A trazione materiale” si è scelto come luogo di esposizione un ambiente conviviale per un rinnovato appuntamento informale. Cinque gli artisti: Riccardo Aulehla, Benedetta Jacovoni, Marco Fedele di Catrano, Andrea Pochetti e Alexandra Wolframm. Una generazione alle prese con la seduzione del materiale, e l’insistenza autopoietica che ne deriva all’opera. Una seduzione di fondo e impressione originale che “si forma” e prende forma “seguendo una regola” percettiva. Parimenti l’esercizio della percezione, l’essere attratti da qualche cosa, permette infatti di individuare una gradualità della visione avvertibile in senso specifico che non recide i legami organici del pensare in astratto. Quella linfa ignorata che nutre la trasparenza dell’idea e la ricorrenza sonora dello stile. Analogo il dato oggettivo che si manifesta come processo di risonanza dell’opera. Si assiste così “in diretta” ad un venire alla luce dell’opera mediante un processo di astrazione che risponde di un’impronta materiale del mondo. Astrazione che non può che sentirsi dall’interno attraverso la pratica aperta dalla complicità delle cose.
Riccardo Aulehla cammina per la campagna romana e rinviene, nell’esercizio di vedere e raccogliere i materiali abbandonati che incontra, i riferimenti viventi del linguaggio formale dell’opera. Una raccolta differenziata nel riciclaggio dei significati utilizzati come un cespuglio di sensi figurati per una manualità che risiede nel contatto silenzioso con le cose. L’attrazione della cavità, il silenzio interiore si conforma solidale con una certa concrezione verbale dell’opera: nidi, bottiglie, collane, fessure. Ne consegue un’astrazione materiale come una vertigine che si costruisce intorno ad un mistero timbrico della natura che assegna all’artista il compito di formare nuovo strumenti di espressione ecosofica.
Benedetta Jacovoni viene attratta dalle prove materiali di colore che si trovano nei pacchetti di sigarette. Il carattere simultaneo dell’impressione originale si riordina attraverso la tecnica dell’incollaggio e con la stampa di vinile su forex. Il movimento timbrico della materia cromatica appare come un vero e proprio decorso percettivo. Una differenza che s’inscrive come sequenza di scene percettive che si unificano nella simultanea apparizione spazio temporali delle prove in successione. Una differenza impiegata dalle mani e dagli occhi che scorrono sulla superficie del colore come variante sonoro e in rapporto ad altri colori. Per un multiplo senza originale e identità materiale dell’opera dal potenziale metamorfico infinito.
Marco Fedele di Catrano esplora una foresta alla luce del giorno, per poi tornarci di notte e scattare le sue fotografie al buio. Uno scatto depotenziato dal momento dell’inquadratura. Ma il lampo di luce intenso e di brevissima durata fa sì che il punto cieco della visione si appoggi su di un albero, elemento singolare entro una selva di riferimenti, per esplicitare il passaggio temporale della veduta stessa. L’apparizione dell’albero come visione della cosa stessa che emerge da uno sfondo, ha infatti la potenzialità di imporsi alla sensibilità e di impressionarla. L’impronta fisica di ciò che è passato consente di accedere ad una seconda accezione di passività che coinvolge esplicitamente lo spettatore in una pura affezione. Evidenza apodittica di un interno fluire dei fenomeni e matrice di astrazione sensibile che avviene come estatica.
Il video “Senza titolo” di Andrea Pochetti registra la diacronia della visione nella simultaneità della scena come in un sogno. La duplicità strutturale della vita di coscienza si offre così alla visione come identificazione che avviene a livello di tendenza verso una meta inconscia. La ripetizione involontaria della scena primaria si traduce mediante l’utilizzo intransitivo della macchina da presa nella modalità della ricorrenza del modulo formale e sonoro. Un’attrazione incantata impersonata da un pupazzo sullo sfondo di un treno in movimento dove il rigore motorio (s) maschera la sua matrice materiale di fondo. Una risonanza inconscia dove la seduzione di fondo dell’immagine che ricorre fa sì che lo spettatore si senta portatore di lacune e la visione metta in scena la pulsione interiore del desiderio, l’unico rigore che siamo destinati a conoscere.
L’installazione “Hingang” di Alexandra Wolframm mette in scena il decorso organico di un giglio. Un senso vivente che in quanto tale fluisce nel tempo, si conserva e si degrada. Il senso oggettuale di “giglio” appartiene ad ogni singola percezione, e ci permette di riconoscere quali aspetti dell'oggetto siano propriamente presenti in ogni fase percettiva, e quali siano implicati per la costituzione di questo stesso senso. Una modificazione del presente originale dove il fiore è già un ricordo che si offre alla visione come “stato presente”. E fragile apparizione di finitezza umana.
Sono passati 100 anni da quando nel mondo dell’arte conviviale apparve Les demoiselles d’Avignon. Un quadro d’avanguardia, già casa d’appuntamenti informali per inaugurare a mo’ di bordel philosophique le avventure della sintesi. E di crisi figurata. Uno primo slargo insomma, bordura e radura secolare di seduzione materiale. Chair du mond.
Per la mostra collettiva “A trazione materiale” si è scelto come luogo di esposizione un ambiente conviviale per un rinnovato appuntamento informale. Cinque gli artisti: Riccardo Aulehla, Benedetta Jacovoni, Marco Fedele di Catrano, Andrea Pochetti e Alexandra Wolframm. Una generazione alle prese con la seduzione del materiale, e l’insistenza autopoietica che ne deriva all’opera. Una seduzione di fondo e impressione originale che “si forma” e prende forma “seguendo una regola” percettiva. Parimenti l’esercizio della percezione, l’essere attratti da qualche cosa, permette infatti di individuare una gradualità della visione avvertibile in senso specifico che non recide i legami organici del pensare in astratto. Quella linfa ignorata che nutre la trasparenza dell’idea e la ricorrenza sonora dello stile. Analogo il dato oggettivo che si manifesta come processo di risonanza dell’opera. Si assiste così “in diretta” ad un venire alla luce dell’opera mediante un processo di astrazione che risponde di un’impronta materiale del mondo. Astrazione che non può che sentirsi dall’interno attraverso la pratica aperta dalla complicità delle cose.
Riccardo Aulehla cammina per la campagna romana e rinviene, nell’esercizio di vedere e raccogliere i materiali abbandonati che incontra, i riferimenti viventi del linguaggio formale dell’opera. Una raccolta differenziata nel riciclaggio dei significati utilizzati come un cespuglio di sensi figurati per una manualità che risiede nel contatto silenzioso con le cose. L’attrazione della cavità, il silenzio interiore si conforma solidale con una certa concrezione verbale dell’opera: nidi, bottiglie, collane, fessure. Ne consegue un’astrazione materiale come una vertigine che si costruisce intorno ad un mistero timbrico della natura che assegna all’artista il compito di formare nuovo strumenti di espressione ecosofica.
Benedetta Jacovoni viene attratta dalle prove materiali di colore che si trovano nei pacchetti di sigarette. Il carattere simultaneo dell’impressione originale si riordina attraverso la tecnica dell’incollaggio e con la stampa di vinile su forex. Il movimento timbrico della materia cromatica appare come un vero e proprio decorso percettivo. Una differenza che s’inscrive come sequenza di scene percettive che si unificano nella simultanea apparizione spazio temporali delle prove in successione. Una differenza impiegata dalle mani e dagli occhi che scorrono sulla superficie del colore come variante sonoro e in rapporto ad altri colori. Per un multiplo senza originale e identità materiale dell’opera dal potenziale metamorfico infinito.
Marco Fedele di Catrano esplora una foresta alla luce del giorno, per poi tornarci di notte e scattare le sue fotografie al buio. Uno scatto depotenziato dal momento dell’inquadratura. Ma il lampo di luce intenso e di brevissima durata fa sì che il punto cieco della visione si appoggi su di un albero, elemento singolare entro una selva di riferimenti, per esplicitare il passaggio temporale della veduta stessa. L’apparizione dell’albero come visione della cosa stessa che emerge da uno sfondo, ha infatti la potenzialità di imporsi alla sensibilità e di impressionarla. L’impronta fisica di ciò che è passato consente di accedere ad una seconda accezione di passività che coinvolge esplicitamente lo spettatore in una pura affezione. Evidenza apodittica di un interno fluire dei fenomeni e matrice di astrazione sensibile che avviene come estatica.
Il video “Senza titolo” di Andrea Pochetti registra la diacronia della visione nella simultaneità della scena come in un sogno. La duplicità strutturale della vita di coscienza si offre così alla visione come identificazione che avviene a livello di tendenza verso una meta inconscia. La ripetizione involontaria della scena primaria si traduce mediante l’utilizzo intransitivo della macchina da presa nella modalità della ricorrenza del modulo formale e sonoro. Un’attrazione incantata impersonata da un pupazzo sullo sfondo di un treno in movimento dove il rigore motorio (s) maschera la sua matrice materiale di fondo. Una risonanza inconscia dove la seduzione di fondo dell’immagine che ricorre fa sì che lo spettatore si senta portatore di lacune e la visione metta in scena la pulsione interiore del desiderio, l’unico rigore che siamo destinati a conoscere.
L’installazione “Hingang” di Alexandra Wolframm mette in scena il decorso organico di un giglio. Un senso vivente che in quanto tale fluisce nel tempo, si conserva e si degrada. Il senso oggettuale di “giglio” appartiene ad ogni singola percezione, e ci permette di riconoscere quali aspetti dell'oggetto siano propriamente presenti in ogni fase percettiva, e quali siano implicati per la costituzione di questo stesso senso. Una modificazione del presente originale dove il fiore è già un ricordo che si offre alla visione come “stato presente”. E fragile apparizione di finitezza umana.
12
gennaio 2007
A trazione materiale
Dal 12 al 17 gennaio 2007
arte contemporanea
Location
SPAZIO ::
Roma, Via Goffredo Mameli, 47a, (ROMA)
Roma, Via Goffredo Mameli, 47a, (ROMA)
Orario di apertura
18-22. Domenica e lunedì chiuso
Vernissage
12 Gennaio 2007, ore 18
Ufficio stampa
CALAMARO AGENCY
Autore
Curatore