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A wonderful world
Un nutrito ed eccezionale gruppo di artisti sono stati riuniti per mostrarsi, nella loro diversità, al fine di sottolineare, ancora una volta e con forza, la bellezza del mondo a partire dalle proprie possibilità, come a comporre uno spartito il cui obiettivo melodico non sia l’armonia o l’attuazione di un concetto, ma il manifestarsi di una campionatura delle possibilità della creazione…
Comunicato stampa
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Se ci si sofferma ad osservarlo, scevro delle brutture adoperate dall'uomo nella sua corsa al progresso, il mondo è davvero una cosa meravigliosa e zeppa di miracoli, primo fra tutti la presenza praticamente infinita di materie e metodi. Ma anche il progresso è una medaglia con due lati, uno dei quali lascia propendere per il sorriso di occhi e mente: dopo i capisaldi sanciti dal testo di Benjamin negli anni '30: non solo l'introduzione di nuove tecniche e di nuovi metodi di diffusione porta ad un conseguente cambiamento radicale di artisti e di pubblico. Non solo l'introduzione di nuove tecniche come la fotografia e il cinema invalidano il principio di autenticità dell'opera d'arte nella sua unicità, ma soprattutto portano una ventata di libertà sconfinata al mondo del fare a partire dai suoi materiali in nome di un'originalità che sia fortemente stimolante per la mente oltre che per gli occhi prima, e sostanzialmente rivolta al mondo dei ragionamenti poi attraverso attuazioni sempre più ardite ed estreme nelle più disparate direzioni. Il fatto che il concetto di estetica subisca una variazione così radicale, non significa certamente che l'estetica venga negata a priori, anzi: il suo concetto si allarga fino a divenire pressoché sconfinato e fino a fissare i proprio confini nella negazione degli stessi.
La Galleria Fiorella Pieri Arte Contemporanea di Cesena, riunisce un nutrito ed eccezionale gruppo di artisti, invitandoli a mostrarsi nella loro diversità, al fine di sottolineare, ancora una volta e con forza, la bellezza del mondo a partire dalle proprie possibilità, come a comporre uno spartito il cui obiettivo melodico non sia l'armonia o l'attuazione di un concetto, ma il manifestarsi di una campionatura delle possibilità stesse della musica... E alla musica ci si rivolge a partire dal titolo della collettiva, (con un gioco verbale che fa slittare il pensiero dal mondo delle cose tangibili a quello dei linguaggi) per sottolineare quell'atteggiamento mentale che ci si aspetta per comprendere tutto ciò in cui debba prevalere l'emotività interpretativa più della ricerca incessante di un soggetto riconoscibile da poter tradurre in ragionamento. Ognuno a modo suo, per dimostrare al cuore - e in conseguenza anche alla mente - che meraviglioso sia il mondo grazie alla varietà dei linguaggi possibili per raccontarne parzialmente il suo ruotare incessante e tutte le conseguenze a partire dalla vita delle sue creature.
Mirko Bedussi crea un universo scultoreo che richiama in maniera personalissimo le grandi lezioni del passato, reinventandole nella contemporaneità affinché divengano specchio del sé. Gli echi della pratica dell'arte classica antica, la sintesi che fu di Arturo Martini, si palesano come un insegnamento basilare che si fa punto di partenza, superato grazie alla forza di attualizzazione apportata dal tempo; Bedussi si adopera nella scultura rendendo particolarmente evidente un punto di vista univoco e definito, che riesce ad essere delicatamente condiviso dallo spettatore. Quest'ultimo si trova fare parte dell'opera, come risucchiato nell'atmosfera attraente del set costruito dall'artista, insieme al vuoto che si interpone fra il soggetto e la coscienza di chi osserva, che si trova così a compiere, ad ogni sguardo, un lungo viaggio lungo la storia comune, generando quel sistema di collegamenti quasi inconsci che rendono l'opera personale. Per chiunque osservi, attualizzandolo nelle dinamiche attuali.
Paolo Buzzi, scultore e pittore dalla grazia infinita, modifica leggermente i toni che passano da un bianco candido alle tonalità del freddo; così come la sua è una scultura pittorica che cerca di annullare la tridimensionalità affogandosi nel candore, in questo caso, la pittura si fa scultorea mantenendo salda la propria mancanza di fisicità: il locomotore e la sua appendice sono immobili ed eterni, non si curano affatto della bidimensionalità che li imprigiona, perché il loro è un messaggio capace di applicarsi sul proprio opposto, senza tempo e senza movimento, laddove la realtà si compie a partire dalla propria rappresentazione, basandosi sull'osservazione e sulla contemplazione di un dettaglio.
Marco Di Giovanni si riferisce alla realtà a partire da essa, mettendola in scena attraverso vecchie tubature e cisterne di recupero a cui vengono applicate delle lenti che permettono una visuale del circostante modificata o ribaltata, come se fosse la realtà stessa a deformare la realtà: viene così ad essere sottolineato il punto di vista, responsabile dell'interpretazione, attraverso un gioco che coinvolge i meccanismi della visione in modo da far saltare qualunque pensiero di superficialità preconcetto. La sua è una scultura possente ed intelligente, ma allo stesso tempo pregna di discrezione, che suggerisce il ragionamento senza forzarlo e lascia all'osservatore la possibilità di scelta di fruizione, accordandosi con il proprio contesto fino a farsi inglobare da esso.
Andrea Guastavino lavora a partire dal medium fotografico, del quale rimangono solo le spoglie mortali di un ragionamento tecnico di base che fornisce l'immagine di partenza. Gli scatti infatti vengono modificati con cera e resina, inglobati in piccole strutture metalliche che di fatto li trasformano in scultura pur priva di modellazioni chiaroscurali: la resa finale è una traslucidità che non solo si lascia guardare ma chiede spiegazioni attraverso gli occhi prima e l'intelletto poi. La sua ricerca delicatissima ed altrettanto robusta, si impone sullo spettatore riferendosi chiaramente ai processi di consumo delle immagini operato nel nostro quotidiano in maniera ormai incosciente. Una riflessione intellettuale che tenta in ogni modo di superare i confini della fotografia e la sua pratica ormai superata ed abusata di carpire immagini: alcune sue opere sostituiscono la cera con dello zucchero; opere commestibili che mostreranno l'immagine solo dopo che il dolciume sarà stato consumato. La tecnica non basta più ed il punctum bartiano non necessità di un soggetto chiaro o narrativo per esistere né per essere compreso.
Federico Guerri, ovvero l'eleganza di una maniaco del segno, tale tanto nella grafica quanto nella scultura che altro non potrebbe essere se non bassorilievo. Paziente cesellatore di un reale che si mostra fantastico in senso astratto, eppure perfettamente codificabile come fosse una mappatura aerea: in questa occasione Guerri dimostra di aver superato ancora una volta i confini della propria sperimentazione; le grafiche si fanno carnose e consistenti nel freddo dell'ardesia, oscuro come un territorio non terreno, per divenire luogo di sogno, varco per inoltrarsi nell'infinito. Ma prima di questo, che evoca il rischio di perdersi, la pietà viene segnata infinitamente per descrivere recinti architetture e città: un reticolo di punti di riferimenti fragili ma consistenti, preludio di movimento e coscienza, da tenere con cura prima che un alito di vento li frantumi facendo perdere irrevocabilmente la strada.
Serena Piccinini propone un piccolo inventario delle proprie fantasie metaforiche e delicate che prendono le sembianze di una installazione di sculture di carta. Un materiale semplice ed atavico, fondamentale nella vita del'uomo e nella storia delle arti fin dalla notte dei tempi, superficie potenzialmente pregna di tutti i segni possibili, alcuni dei quali poi si paleseranno poi ai nostri occhi voraci. In questo caso nessun segno, ma la tridimensionalità di un materiale modellabile che diviene concretizzazione di una realtà tangibile più che sua mera rappresentazione: uno stormo di balene in volo, che nascono da un modo di dire, per ribaltare i pensieri e rendere possibile l'impossibile. Si sente spesso dire nuotare in aria, ma mai volare in acqua: ecco che gli animali più grandi e pesanti del creato, le negattere, contraddicendo la realtà, divengono aeree, perfettamente a loro agio nel vuoto e sinuose come se fossero nel loro elemento liquido.
Luca Piovaccari impiega una fotografia di natura installativa, stampata su fogli trasparenti che vengono sovrapposti come fossero le sagome di diversi fantasmi attraverso i quali è possibile vedere oltre, nonostante l'evidenza dei confini insaturi che rappresentano gli squarci irresolubili. Piovaccari tratta il reale imprigionandolo nello scatto, carpendone un momento che diviene significativo e si interpone fra l'occhio e il reale che continua a progredire e variare; i suoi lavori sono come membrane trasparenti che tendono a porre l'attenzione su di un nulla pregno di particolari immancabili che normalmente vengono ignorati per la loro natura di invisibilità. Le sue immagini sono ambigue, deformano il riconoscibile con delicatezza ed eleganza, mantengono l'atmosfera di trasparenza e le sue possibilità. Si rende evidente così il metodo tecnico utilizzato dall'artista; una fotografia che diviene antagonista di se tessa nei motivi della sua nascita; egli non tratta dell'oggettività tipica dell'immagine carpita con il terzo occhio, ma di quella che si palesa solo nell'intelletto passando inosservata per la via della vista, fino a farsi realizzazione di una realtà impossibile da restituire in altro modo che non sia il mondo delle esperienze; contraddizione in termini se si considera la sua rappresentazione.
Alberto Storari, una maestro nella fascinazione dell'immagine, propone in questa occasione trasparenza e delicatezza, mettendo in scena un discorso pittorico che prende vita sulla superfiche delicata e fragile della carta velina. Ciò che ne consegue è un risultato traslucido in cui realtà e fantasia si fondono ad un necessario decorativismo che aumenta il grado di seduzione che fa scivolare lo spettatore fra le spire di un racconto accennato, quasi sussurrato. Le immagini emergono fra le piegoline delicate della carta e sembrano giungere agli occhi con lo stesso fruscio che la carta al vento porta con sé. E' evidente che si tratta di immagini che provengono dal reale e continuano a vivere in esso, facendosi scudo però delle difese di chi osserva e della propria parte meno dichiarata, fluttuando fra onirico e coscienza. Una maniera interessante, intelligente e concreta per sondare e restituire il reale senza ipocrisia e con onestà.
In occasione della mostra, ad accogliere il visitatore, verrà allestito un tradizionale Albero di Natale "addobbato" con incisioni, grafiche, piccole sculture ed altre opere originali, realizzate appositamente dagli artisti della collettiva come discreti messaggi visuali che in qualche modo invitino, con la loro delicatezza, al viaggio emotivo che prenderà vita appena varcata la soglia, fra un'opera e l'altra, fra un linguaggio e il suo opposto...
La Galleria Fiorella Pieri Arte Contemporanea di Cesena, riunisce un nutrito ed eccezionale gruppo di artisti, invitandoli a mostrarsi nella loro diversità, al fine di sottolineare, ancora una volta e con forza, la bellezza del mondo a partire dalle proprie possibilità, come a comporre uno spartito il cui obiettivo melodico non sia l'armonia o l'attuazione di un concetto, ma il manifestarsi di una campionatura delle possibilità stesse della musica... E alla musica ci si rivolge a partire dal titolo della collettiva, (con un gioco verbale che fa slittare il pensiero dal mondo delle cose tangibili a quello dei linguaggi) per sottolineare quell'atteggiamento mentale che ci si aspetta per comprendere tutto ciò in cui debba prevalere l'emotività interpretativa più della ricerca incessante di un soggetto riconoscibile da poter tradurre in ragionamento. Ognuno a modo suo, per dimostrare al cuore - e in conseguenza anche alla mente - che meraviglioso sia il mondo grazie alla varietà dei linguaggi possibili per raccontarne parzialmente il suo ruotare incessante e tutte le conseguenze a partire dalla vita delle sue creature.
Mirko Bedussi crea un universo scultoreo che richiama in maniera personalissimo le grandi lezioni del passato, reinventandole nella contemporaneità affinché divengano specchio del sé. Gli echi della pratica dell'arte classica antica, la sintesi che fu di Arturo Martini, si palesano come un insegnamento basilare che si fa punto di partenza, superato grazie alla forza di attualizzazione apportata dal tempo; Bedussi si adopera nella scultura rendendo particolarmente evidente un punto di vista univoco e definito, che riesce ad essere delicatamente condiviso dallo spettatore. Quest'ultimo si trova fare parte dell'opera, come risucchiato nell'atmosfera attraente del set costruito dall'artista, insieme al vuoto che si interpone fra il soggetto e la coscienza di chi osserva, che si trova così a compiere, ad ogni sguardo, un lungo viaggio lungo la storia comune, generando quel sistema di collegamenti quasi inconsci che rendono l'opera personale. Per chiunque osservi, attualizzandolo nelle dinamiche attuali.
Paolo Buzzi, scultore e pittore dalla grazia infinita, modifica leggermente i toni che passano da un bianco candido alle tonalità del freddo; così come la sua è una scultura pittorica che cerca di annullare la tridimensionalità affogandosi nel candore, in questo caso, la pittura si fa scultorea mantenendo salda la propria mancanza di fisicità: il locomotore e la sua appendice sono immobili ed eterni, non si curano affatto della bidimensionalità che li imprigiona, perché il loro è un messaggio capace di applicarsi sul proprio opposto, senza tempo e senza movimento, laddove la realtà si compie a partire dalla propria rappresentazione, basandosi sull'osservazione e sulla contemplazione di un dettaglio.
Marco Di Giovanni si riferisce alla realtà a partire da essa, mettendola in scena attraverso vecchie tubature e cisterne di recupero a cui vengono applicate delle lenti che permettono una visuale del circostante modificata o ribaltata, come se fosse la realtà stessa a deformare la realtà: viene così ad essere sottolineato il punto di vista, responsabile dell'interpretazione, attraverso un gioco che coinvolge i meccanismi della visione in modo da far saltare qualunque pensiero di superficialità preconcetto. La sua è una scultura possente ed intelligente, ma allo stesso tempo pregna di discrezione, che suggerisce il ragionamento senza forzarlo e lascia all'osservatore la possibilità di scelta di fruizione, accordandosi con il proprio contesto fino a farsi inglobare da esso.
Andrea Guastavino lavora a partire dal medium fotografico, del quale rimangono solo le spoglie mortali di un ragionamento tecnico di base che fornisce l'immagine di partenza. Gli scatti infatti vengono modificati con cera e resina, inglobati in piccole strutture metalliche che di fatto li trasformano in scultura pur priva di modellazioni chiaroscurali: la resa finale è una traslucidità che non solo si lascia guardare ma chiede spiegazioni attraverso gli occhi prima e l'intelletto poi. La sua ricerca delicatissima ed altrettanto robusta, si impone sullo spettatore riferendosi chiaramente ai processi di consumo delle immagini operato nel nostro quotidiano in maniera ormai incosciente. Una riflessione intellettuale che tenta in ogni modo di superare i confini della fotografia e la sua pratica ormai superata ed abusata di carpire immagini: alcune sue opere sostituiscono la cera con dello zucchero; opere commestibili che mostreranno l'immagine solo dopo che il dolciume sarà stato consumato. La tecnica non basta più ed il punctum bartiano non necessità di un soggetto chiaro o narrativo per esistere né per essere compreso.
Federico Guerri, ovvero l'eleganza di una maniaco del segno, tale tanto nella grafica quanto nella scultura che altro non potrebbe essere se non bassorilievo. Paziente cesellatore di un reale che si mostra fantastico in senso astratto, eppure perfettamente codificabile come fosse una mappatura aerea: in questa occasione Guerri dimostra di aver superato ancora una volta i confini della propria sperimentazione; le grafiche si fanno carnose e consistenti nel freddo dell'ardesia, oscuro come un territorio non terreno, per divenire luogo di sogno, varco per inoltrarsi nell'infinito. Ma prima di questo, che evoca il rischio di perdersi, la pietà viene segnata infinitamente per descrivere recinti architetture e città: un reticolo di punti di riferimenti fragili ma consistenti, preludio di movimento e coscienza, da tenere con cura prima che un alito di vento li frantumi facendo perdere irrevocabilmente la strada.
Serena Piccinini propone un piccolo inventario delle proprie fantasie metaforiche e delicate che prendono le sembianze di una installazione di sculture di carta. Un materiale semplice ed atavico, fondamentale nella vita del'uomo e nella storia delle arti fin dalla notte dei tempi, superficie potenzialmente pregna di tutti i segni possibili, alcuni dei quali poi si paleseranno poi ai nostri occhi voraci. In questo caso nessun segno, ma la tridimensionalità di un materiale modellabile che diviene concretizzazione di una realtà tangibile più che sua mera rappresentazione: uno stormo di balene in volo, che nascono da un modo di dire, per ribaltare i pensieri e rendere possibile l'impossibile. Si sente spesso dire nuotare in aria, ma mai volare in acqua: ecco che gli animali più grandi e pesanti del creato, le negattere, contraddicendo la realtà, divengono aeree, perfettamente a loro agio nel vuoto e sinuose come se fossero nel loro elemento liquido.
Luca Piovaccari impiega una fotografia di natura installativa, stampata su fogli trasparenti che vengono sovrapposti come fossero le sagome di diversi fantasmi attraverso i quali è possibile vedere oltre, nonostante l'evidenza dei confini insaturi che rappresentano gli squarci irresolubili. Piovaccari tratta il reale imprigionandolo nello scatto, carpendone un momento che diviene significativo e si interpone fra l'occhio e il reale che continua a progredire e variare; i suoi lavori sono come membrane trasparenti che tendono a porre l'attenzione su di un nulla pregno di particolari immancabili che normalmente vengono ignorati per la loro natura di invisibilità. Le sue immagini sono ambigue, deformano il riconoscibile con delicatezza ed eleganza, mantengono l'atmosfera di trasparenza e le sue possibilità. Si rende evidente così il metodo tecnico utilizzato dall'artista; una fotografia che diviene antagonista di se tessa nei motivi della sua nascita; egli non tratta dell'oggettività tipica dell'immagine carpita con il terzo occhio, ma di quella che si palesa solo nell'intelletto passando inosservata per la via della vista, fino a farsi realizzazione di una realtà impossibile da restituire in altro modo che non sia il mondo delle esperienze; contraddizione in termini se si considera la sua rappresentazione.
Alberto Storari, una maestro nella fascinazione dell'immagine, propone in questa occasione trasparenza e delicatezza, mettendo in scena un discorso pittorico che prende vita sulla superfiche delicata e fragile della carta velina. Ciò che ne consegue è un risultato traslucido in cui realtà e fantasia si fondono ad un necessario decorativismo che aumenta il grado di seduzione che fa scivolare lo spettatore fra le spire di un racconto accennato, quasi sussurrato. Le immagini emergono fra le piegoline delicate della carta e sembrano giungere agli occhi con lo stesso fruscio che la carta al vento porta con sé. E' evidente che si tratta di immagini che provengono dal reale e continuano a vivere in esso, facendosi scudo però delle difese di chi osserva e della propria parte meno dichiarata, fluttuando fra onirico e coscienza. Una maniera interessante, intelligente e concreta per sondare e restituire il reale senza ipocrisia e con onestà.
In occasione della mostra, ad accogliere il visitatore, verrà allestito un tradizionale Albero di Natale "addobbato" con incisioni, grafiche, piccole sculture ed altre opere originali, realizzate appositamente dagli artisti della collettiva come discreti messaggi visuali che in qualche modo invitino, con la loro delicatezza, al viaggio emotivo che prenderà vita appena varcata la soglia, fra un'opera e l'altra, fra un linguaggio e il suo opposto...
05
dicembre 2009
A wonderful world
Dal 05 dicembre 2009 al 23 gennaio 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA FIORELLA PIERI
Cesena, Galleria O.i.r., 4, (Forlì-cesena)
Cesena, Galleria O.i.r., 4, (Forlì-cesena)
Orario di apertura
mar-ven, 15,30-19,30
sab 10,30-12,30 e 15,30-19,30
mattino e festivi su appuntamento
Vernissage
5 Dicembre 2009, ore 17.30
Autore
Curatore