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Abitualmente
Il ruolo giocato dalla moda in alcune forme artistiche contemporanee si arricchisce sempre più di importanza, gli artisti decidono sempre più spesso di usare l’abito, oggetto comune e comprensibile immediatamente da chiunque,
Comunicato stampa
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Il ruolo giocato dalla moda in alcune forme artistiche contemporanee si arricchisce sempre più di importanza, gli artisti decidono sempre più spesso di usare l’abito, oggetto comune e comprensibile immediatamente da chiunque, almeno per quanto riguarda la forma, come mezzo espressivo della propria poetica, arricchendolo di segni e chiavi interpretative che la semplice creazione sartoriale non avrebbe mai potuto immaginare.
Il risultato finale, infatti, non può e non deve essere concepito come un semplice capo d’abbigliamento ma come la tappa di una sperimentazione in continuo divenire, una possibilità di giocare tra ironia e grottesco, tra armonia e dissonanza.
Le opere possono adattarsi al corpo o creare contrasti evidenti, non devono preoccuparsi dello scorrere del tempo, il loro esistere non è stagionale, avendo l’arte una prospettiva di vita di gran lunga superiore a quella della moda, per fortuna. Non ci si può ostinare a difendere l’arte dalle contaminazioni esterne, tanto meno da quelle provenienti dal mondo del fashion, considerandola “religione assoluta e unica”. Abitualmente è una mostra collettiva in cui vengono esposte le opere di dieci artisti contemporanei che hanno scelto di esprimere la propria poetica sfruttando l’abito come un mezzo, lo strumento che meglio si addice a veicolare i loro pensieri, la metaforica cassa di risonanza delle loro voci.
E’ come se ogni artista, come un sarto di haute couture, seguisse un personalissimo cartamodello, dove le linee tracciate, le misure, i segni di gesso colorato, seguono le geometrie dell’animo.
Enrica Borghi sceglie l’abito perché ben si addice a rappresentare il tema che più le interessa, quello del femminile, e perché le permette, utilizzando la plastica delle bottiglie, di ribaltare, di mettere in discussione provocatoriamente i criteri estetici che la società contemporanea utilizza per decretare cosa abbia o non abbia valore. Alessandro Gioiello si concede il lusso di scomodare la mitologia per il suo lavoro, e la sfrontatezza della giovane età glielo consente. La sua è una ri-elaborazione artistica della figura di Narciso, condannato ad innamorasi perdutamente della sua immagine, lo stesso rischio in cui ancora oggi cadono molti fashion addicts. Pietra Pistoletto realizza abiti in cui ricerca un nuovo equilibrio tra etica ed estetica, utilizza capi passati di moda, recuperati dai campionari o dalle collezioni invendute, che scuce e riassembla restituendo alla stoffa nuova vita, in un’operazione che avvicina le sue opere al design. La stessa linea sottile, quella tra moda e design, che si diverte ad oltrepassare Laura Patacchia con un abito-gioiello, una vera e propria scultura realizzata all’uncinetto, con dettagli preziosi degni del più raffinato orafo etrusco. Il filo di ottone, sapientemente lavorato, assume la leggerezza di una tempesta di polvere d’oro.
Silvia Levenson è affascinata dal vetro che diventa, nel suo percorso artistico, inseparabile compagno di viaggio. L’abito le interessa sia per il modo in cui è in grado di modificare il nostro aspetto, specialmente agli occhi delle altre persone, sia per la quantità di micro-sacrifici che decidiamo di sopportare quotidianamente per apparire esteticamente più piacevoli. L’intimo di Odinea Pamici ha uno stretto legame con il cibo, anzi, è cibo. La sua raffinatissima e sensuale sottoveste non è arricchita da pizzo di sangallo ma da pastina, sedano, carote, ossa e midollo, tutti ingredienti che rendono il brodo, e il dopo-cena, più gustosi. Antonella Cinelli unisce a una pittura iper-realistica abitini luminosi che sembrano provenire dal futuro e che ricoprono un corpo che non c’è, scomparso all’interno di qualche passaggio spazio-temporale. Vanessa Beecroft invece sceglie l’esatto contrario, sceglie di focalizzare l’attenzione proprio sui corpi svestiti delle modelle che mette in posa durante le sue performances, in un lavoro in bilico tra fashion, voyeurismo e femminismo. Cindy Sherman si avvale da sempre della fotografia, per ribaltare lo stereotipo del “bello a tutti i costi” tipico del fashion, per giocare sul cambiamento d’identità. Quest’ultimo aspetto è il cavallo di battaglia di Yasumasa Morimura che nelle sue opere si diverte, con grande ironia, a cambiare identità, aiutato proprio dagli abiti, con la stessa velocità di un camaleonte. Ieri era un quadro di Frida Kahlo, oggi il Che, domani indosserà un vestitino bianco e si farà chiamare, Abitualmente, Marylin.
francesca gattoni
Il risultato finale, infatti, non può e non deve essere concepito come un semplice capo d’abbigliamento ma come la tappa di una sperimentazione in continuo divenire, una possibilità di giocare tra ironia e grottesco, tra armonia e dissonanza.
Le opere possono adattarsi al corpo o creare contrasti evidenti, non devono preoccuparsi dello scorrere del tempo, il loro esistere non è stagionale, avendo l’arte una prospettiva di vita di gran lunga superiore a quella della moda, per fortuna. Non ci si può ostinare a difendere l’arte dalle contaminazioni esterne, tanto meno da quelle provenienti dal mondo del fashion, considerandola “religione assoluta e unica”. Abitualmente è una mostra collettiva in cui vengono esposte le opere di dieci artisti contemporanei che hanno scelto di esprimere la propria poetica sfruttando l’abito come un mezzo, lo strumento che meglio si addice a veicolare i loro pensieri, la metaforica cassa di risonanza delle loro voci.
E’ come se ogni artista, come un sarto di haute couture, seguisse un personalissimo cartamodello, dove le linee tracciate, le misure, i segni di gesso colorato, seguono le geometrie dell’animo.
Enrica Borghi sceglie l’abito perché ben si addice a rappresentare il tema che più le interessa, quello del femminile, e perché le permette, utilizzando la plastica delle bottiglie, di ribaltare, di mettere in discussione provocatoriamente i criteri estetici che la società contemporanea utilizza per decretare cosa abbia o non abbia valore. Alessandro Gioiello si concede il lusso di scomodare la mitologia per il suo lavoro, e la sfrontatezza della giovane età glielo consente. La sua è una ri-elaborazione artistica della figura di Narciso, condannato ad innamorasi perdutamente della sua immagine, lo stesso rischio in cui ancora oggi cadono molti fashion addicts. Pietra Pistoletto realizza abiti in cui ricerca un nuovo equilibrio tra etica ed estetica, utilizza capi passati di moda, recuperati dai campionari o dalle collezioni invendute, che scuce e riassembla restituendo alla stoffa nuova vita, in un’operazione che avvicina le sue opere al design. La stessa linea sottile, quella tra moda e design, che si diverte ad oltrepassare Laura Patacchia con un abito-gioiello, una vera e propria scultura realizzata all’uncinetto, con dettagli preziosi degni del più raffinato orafo etrusco. Il filo di ottone, sapientemente lavorato, assume la leggerezza di una tempesta di polvere d’oro.
Silvia Levenson è affascinata dal vetro che diventa, nel suo percorso artistico, inseparabile compagno di viaggio. L’abito le interessa sia per il modo in cui è in grado di modificare il nostro aspetto, specialmente agli occhi delle altre persone, sia per la quantità di micro-sacrifici che decidiamo di sopportare quotidianamente per apparire esteticamente più piacevoli. L’intimo di Odinea Pamici ha uno stretto legame con il cibo, anzi, è cibo. La sua raffinatissima e sensuale sottoveste non è arricchita da pizzo di sangallo ma da pastina, sedano, carote, ossa e midollo, tutti ingredienti che rendono il brodo, e il dopo-cena, più gustosi. Antonella Cinelli unisce a una pittura iper-realistica abitini luminosi che sembrano provenire dal futuro e che ricoprono un corpo che non c’è, scomparso all’interno di qualche passaggio spazio-temporale. Vanessa Beecroft invece sceglie l’esatto contrario, sceglie di focalizzare l’attenzione proprio sui corpi svestiti delle modelle che mette in posa durante le sue performances, in un lavoro in bilico tra fashion, voyeurismo e femminismo. Cindy Sherman si avvale da sempre della fotografia, per ribaltare lo stereotipo del “bello a tutti i costi” tipico del fashion, per giocare sul cambiamento d’identità. Quest’ultimo aspetto è il cavallo di battaglia di Yasumasa Morimura che nelle sue opere si diverte, con grande ironia, a cambiare identità, aiutato proprio dagli abiti, con la stessa velocità di un camaleonte. Ieri era un quadro di Frida Kahlo, oggi il Che, domani indosserà un vestitino bianco e si farà chiamare, Abitualmente, Marylin.
francesca gattoni
25
giugno 2011
Abitualmente
Dal 25 giugno al 30 luglio 2011
arte contemporanea
Location
DUETART GALLERY
Varese, Via Albuzzi, 27, (Varese)
Varese, Via Albuzzi, 27, (Varese)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15,30 - 19,30
Vernissage
25 Giugno 2011, ore 19
Autore