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Abraham Mintchine (1898 – 1931) – Artisti russi e dell’est a Parigi
Lo stile di Mintchine non è collocabile in un movimento o in una corrente specifica. La personalità ricca e complessa gli impedisce di adeguarsi a stilemi dettati da altri; la sua pittura è senza dubbio realista, ma la realtà è da lui osservata e amplificata tanto da riflettere la complessità dell’esperienza emotiva.
Comunicato stampa
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Nato nel 1898 in un quartiere ebraico di Kiev, da una famiglia di modeste condizioni, a tredici anni entra come apprendista nella bottega di un orefice, il quale, accortosi dell’inclinazione del ragazzo verso la pittura lo incoraggia nei primi tentativi artistici e gli permette di diventare allievo di un pittore locale, pur continuando a lavorare. Nel 1923 lascia la Russia per andare a Berlino.
Verso la fine del 1925 si trasferisce a Parigi, nei pressi di Montparnasse, al 89 di rue de la Glacière, con la moglie Sonia, cantante lirica, che due anni dopo gli darà una figlia, Irene.
Presto Mintchine si lega con gli artisti russi di Montparnasse: Marc Chagall, Chaim Soutine, Michel Larionov, Nathalia Gontcharova e Maurice Blond, che aveva già conosciuto a Berlino; frequenta Emile-Othon Friesz e gli altri pittori della nascente Ecole de Paris, svolgendo un ruolo centrale all’interno del gruppo.
La sua pittura è favola e sogno, piuttosto che dolore e angoscia e, sebbene le giornate siano dure, a volte disperate, Mintchine rifiuta quella violenza visiva che è invece evidente nelle opere dell’amico e compatriota Soutine. E’ più vicino alla poetica di Mané-Katz e di Chagall le cui opere sono impregnate di ricordi della terra d’origine, d’antiche leggende ebraiche, di filastrocche orientali.
I primi mercanti interessati alle sue opere sono Deydier e Alice Manteau e, proprio nella galleria di quest’ultima, s’inaugura nel 1929 la prima esposizione parigina, con successo di pubblico e di critica.
Lo stesso anno, Zborowski (già mercante di Modigliani) nota i suoi lavori e gli organizza una personale.
Conseguentemente a questi eventi la popolarità di Mintchine aumenta e anche il famoso mercante e critico René Gimpel, che aveva visto la mostra da Alice Manteau, comincia ad acquistare la maggior parte della sua produzione, diventandogli inoltre amico fraterno.
Lo stile di Mintchine non è collocabile in un movimento o in una corrente specifica. La personalità ricca e complessa gli impedisce di adeguarsi a stilemi dettati da altri; la sua pittura è senza dubbio realista, ma la realtà è da lui osservata e amplificata tanto da riflettere la complessità dell’esperienza emotiva. Mintchine guarda e prende dal quotidiano i soggetti per le sue opere, trattandoli con sorprendente semplicità, dolce tenerezza e illuminandoli di luce naturale e dorata. I colori sono intensi e brillanti, soprattutto le gamme differenti di rosso, arancio ed ocra, amalgamati e stesi con materia spessa, quasi a scolpire gli oggetti, mentre i colori freddi, quali i toni del blu, sono più rari. Qualcosa dell’esperienza presso la bottega d’orefice di Kiev è rimasto nella sua opera: la brillantezza dell’oro, i suoi riflessi, i bagliori e l’abilità nel descrivere i particolari di una stoffa, di una conchiglia, i petali di un fiore, tanto da farli sembrare cesellati nel prezioso metallo.
La spiritualità religiosa che Mintchine assorbe vivendo gli anni della fanciullezza nella famiglia di fede giudaica, emerge nella sua pittura. Nessuno degli “ebrei erranti” con cui ha avuto contatti è mai riuscito ad esternare, dal dolore di un’esistenza difficile, un così forte inno alla speranza. Il segreto di Mintchine è proprio in questa luce che scopre in ogni essere e cosa, e si rivela così intensamente attraverso la pittura. Ogni tratto di pennello è steso con il bruciante desiderio di esprimere sinceramente ciò che sente: nostalgia, disperazione, voglia di vivere (o meglio di sopravvivere…).
Dal 1929, incitato da Gimpel, soggiorna e dipinge splendidi paesaggi in Provenza insieme all’amico Emile-Othon Friesz.
Il Museo di Toledo (Ohio, USA) gli acquista una splendida ed enorme tela.
Nel 1930, prima di trasferirsi con la famiglia a Santa Margherita, quartiere di La Garde vicino a Tolone, René Gimpel gli offre un contratto.
In una lettera datata 14 aprile 1931, indirizzata ai coniugi Manteau, suoi galleristi, Mintchine esprime la gioia di dipingere in mezzo alla natura ed annuncia il ritorno a Parigi previsto per il mese successivo.
Dopo pochi giorni, a causa di un attacco cardiaco, si spegnerà mentre dipinge al cavalletto.
Dei pochi anni concessi dalla vita, Mintchine lascia un ristretto numero d’opere, tutte eccezionali, ora disperse nelle collezioni di tutto il mondo.
Nel 1960, in occasione della mostra alla Galleria McRobert & Tunnard di Londra (ripetutasi nel 1964), il critico Giovanni Testori e il gallerista Bruno Lorenzelli conoscono l’opera di Mintchine e cominciano a portare in Italia alcune tele finché, nel 1969, la Galleria Lorenzelli organizza la prima esposizione a Bergamo. E’ proprio negli anni Sessanta che comincia il lavoro di ricerca delle opere disperse in ogni parte del mondo che permette di conoscere meglio l’attività dell’artista. Seguono così la mostra nel 1970 presso la Galleria San Fedele di Milano e dopo tre anni, quella di Torino alla Galleria La Parisina.
Nel 1981, in occasione del cinquantenario della morte, Massimo di Veroli cura il catalogo ragionato dell’artista con saggi critici di Giovanni Testori. Lo stesso anno la Galleria Compagnia del Disegno di Milano inaugura una nuova mostra.
Le recensioni, i saggi, ed i cataloghi, hanno contribuito ulteriormente alla definitiva consacrazione di Mintchine tra i migliori pittori degli anni Venti, come già i critici Florent Fels e Maximilien Gauthier avevano scritto all’epoca, e a consolidarne la fama in Italia e all’estero.
Grazie all’ininterrotta ricerca di Massimo Di Veroli ed alla collaborazione di collezionisti italiani e stranieri, è stato possibile organizzare questo evento culturale di straordinaria importanza nel quale vengono proposte quindici opere di Abraham Mintchine, alcune inedite. Dalla biografia si comprende quanto l’attività pittorica dell’artista sia stata breve, seppur intensa; al giorno d’oggi è estremamente difficile reperire sue tele sul mercato dell’arte, essendo la maggior parte già collocate nei Musei e in collezioni private di tutto il mondo.
La galleria michelangelo, a distanza di quindici anni dall’ultima mostra allestita in Italia, ha il piacere di rendere omaggio a questo genio non ancora abbastanza conosciuto, pittore degli angeli e dei violini, che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della Scuola di Parigi.
Verso la fine del 1925 si trasferisce a Parigi, nei pressi di Montparnasse, al 89 di rue de la Glacière, con la moglie Sonia, cantante lirica, che due anni dopo gli darà una figlia, Irene.
Presto Mintchine si lega con gli artisti russi di Montparnasse: Marc Chagall, Chaim Soutine, Michel Larionov, Nathalia Gontcharova e Maurice Blond, che aveva già conosciuto a Berlino; frequenta Emile-Othon Friesz e gli altri pittori della nascente Ecole de Paris, svolgendo un ruolo centrale all’interno del gruppo.
La sua pittura è favola e sogno, piuttosto che dolore e angoscia e, sebbene le giornate siano dure, a volte disperate, Mintchine rifiuta quella violenza visiva che è invece evidente nelle opere dell’amico e compatriota Soutine. E’ più vicino alla poetica di Mané-Katz e di Chagall le cui opere sono impregnate di ricordi della terra d’origine, d’antiche leggende ebraiche, di filastrocche orientali.
I primi mercanti interessati alle sue opere sono Deydier e Alice Manteau e, proprio nella galleria di quest’ultima, s’inaugura nel 1929 la prima esposizione parigina, con successo di pubblico e di critica.
Lo stesso anno, Zborowski (già mercante di Modigliani) nota i suoi lavori e gli organizza una personale.
Conseguentemente a questi eventi la popolarità di Mintchine aumenta e anche il famoso mercante e critico René Gimpel, che aveva visto la mostra da Alice Manteau, comincia ad acquistare la maggior parte della sua produzione, diventandogli inoltre amico fraterno.
Lo stile di Mintchine non è collocabile in un movimento o in una corrente specifica. La personalità ricca e complessa gli impedisce di adeguarsi a stilemi dettati da altri; la sua pittura è senza dubbio realista, ma la realtà è da lui osservata e amplificata tanto da riflettere la complessità dell’esperienza emotiva. Mintchine guarda e prende dal quotidiano i soggetti per le sue opere, trattandoli con sorprendente semplicità, dolce tenerezza e illuminandoli di luce naturale e dorata. I colori sono intensi e brillanti, soprattutto le gamme differenti di rosso, arancio ed ocra, amalgamati e stesi con materia spessa, quasi a scolpire gli oggetti, mentre i colori freddi, quali i toni del blu, sono più rari. Qualcosa dell’esperienza presso la bottega d’orefice di Kiev è rimasto nella sua opera: la brillantezza dell’oro, i suoi riflessi, i bagliori e l’abilità nel descrivere i particolari di una stoffa, di una conchiglia, i petali di un fiore, tanto da farli sembrare cesellati nel prezioso metallo.
La spiritualità religiosa che Mintchine assorbe vivendo gli anni della fanciullezza nella famiglia di fede giudaica, emerge nella sua pittura. Nessuno degli “ebrei erranti” con cui ha avuto contatti è mai riuscito ad esternare, dal dolore di un’esistenza difficile, un così forte inno alla speranza. Il segreto di Mintchine è proprio in questa luce che scopre in ogni essere e cosa, e si rivela così intensamente attraverso la pittura. Ogni tratto di pennello è steso con il bruciante desiderio di esprimere sinceramente ciò che sente: nostalgia, disperazione, voglia di vivere (o meglio di sopravvivere…).
Dal 1929, incitato da Gimpel, soggiorna e dipinge splendidi paesaggi in Provenza insieme all’amico Emile-Othon Friesz.
Il Museo di Toledo (Ohio, USA) gli acquista una splendida ed enorme tela.
Nel 1930, prima di trasferirsi con la famiglia a Santa Margherita, quartiere di La Garde vicino a Tolone, René Gimpel gli offre un contratto.
In una lettera datata 14 aprile 1931, indirizzata ai coniugi Manteau, suoi galleristi, Mintchine esprime la gioia di dipingere in mezzo alla natura ed annuncia il ritorno a Parigi previsto per il mese successivo.
Dopo pochi giorni, a causa di un attacco cardiaco, si spegnerà mentre dipinge al cavalletto.
Dei pochi anni concessi dalla vita, Mintchine lascia un ristretto numero d’opere, tutte eccezionali, ora disperse nelle collezioni di tutto il mondo.
Nel 1960, in occasione della mostra alla Galleria McRobert & Tunnard di Londra (ripetutasi nel 1964), il critico Giovanni Testori e il gallerista Bruno Lorenzelli conoscono l’opera di Mintchine e cominciano a portare in Italia alcune tele finché, nel 1969, la Galleria Lorenzelli organizza la prima esposizione a Bergamo. E’ proprio negli anni Sessanta che comincia il lavoro di ricerca delle opere disperse in ogni parte del mondo che permette di conoscere meglio l’attività dell’artista. Seguono così la mostra nel 1970 presso la Galleria San Fedele di Milano e dopo tre anni, quella di Torino alla Galleria La Parisina.
Nel 1981, in occasione del cinquantenario della morte, Massimo di Veroli cura il catalogo ragionato dell’artista con saggi critici di Giovanni Testori. Lo stesso anno la Galleria Compagnia del Disegno di Milano inaugura una nuova mostra.
Le recensioni, i saggi, ed i cataloghi, hanno contribuito ulteriormente alla definitiva consacrazione di Mintchine tra i migliori pittori degli anni Venti, come già i critici Florent Fels e Maximilien Gauthier avevano scritto all’epoca, e a consolidarne la fama in Italia e all’estero.
Grazie all’ininterrotta ricerca di Massimo Di Veroli ed alla collaborazione di collezionisti italiani e stranieri, è stato possibile organizzare questo evento culturale di straordinaria importanza nel quale vengono proposte quindici opere di Abraham Mintchine, alcune inedite. Dalla biografia si comprende quanto l’attività pittorica dell’artista sia stata breve, seppur intensa; al giorno d’oggi è estremamente difficile reperire sue tele sul mercato dell’arte, essendo la maggior parte già collocate nei Musei e in collezioni private di tutto il mondo.
La galleria michelangelo, a distanza di quindici anni dall’ultima mostra allestita in Italia, ha il piacere di rendere omaggio a questo genio non ancora abbastanza conosciuto, pittore degli angeli e dei violini, che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della Scuola di Parigi.
03
aprile 2004
Abraham Mintchine (1898 – 1931) – Artisti russi e dell’est a Parigi
Dal 03 aprile al 09 maggio 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA MICHELANGELO
Bergamo, Via Broseta, 15, (Bergamo)
Bergamo, Via Broseta, 15, (Bergamo)
Orario di apertura
da lunedì a sabato, 9.30 - 13.00 / 15.00 - 19.30 - domenica : 15.30 - 19.30