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Absolute Democracy
Nove artisti internazionali, nove operazioni differenti orbitano intorno al vessillo duchampiano
Comunicato stampa
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Nove artisti internazionali, nove operazioni differenti orbitano intorno al vessillo duchampiano.
La galleria a servizio dei suoi autori, spazio parziale intorno cui definire modi e interazioni reciproche: invenzione e appropriazione, c’entra e non c’entra, facile e difficile, segno e significato, a discrezione.
Dopo i video di Marius Morch e gli all-over di Herbert Hinteregger, Antonio Ferrara indica (sconsiglia) un gioco “serio” di relazioni, un ossimoro provocatoriamente enunciato per creare un vuoto ideale, un’assenza potenziale da ir-realizzare.
"non è nemmeno un quadro, ma un ammasso di idee" dichiarava Duchamp del Grande Vetro.
La “democrazia assoluta”, diceva Hegel, può realizzare se stessa solo nella forma della sua “determinazione oppositiva”, ossia la dimensione terroristica.
Il corrispettivo curatoriale non è una nitida linea con direzione e verso, ma il fascino di un’idea audace: la configurazione equilibrata di una destrutturazione, il processo di disponibilità verso la democrazia assoluta, un’utopia in cui lo spettatore, straniato, fa la sua parte.
Se l’arte è ovunque, allora cessa di esistere. La cultura è la forma globalizzata dell’arte e di molte altre cose. La morte dell’arte è un paradosso: l’arte muore per eccesso di arte. Il taglio è rappresentato da Duchamp che ha messo in campo la democrazia assoluta, la promiscuità totale fra l’oggetto e il museo, per cui qualsiasi cosa può entrare nel museo. Non ci sono più posizioni singolari, ognuno crea le sue regole del gioco…
Tutti diventano creatori, c’è una mobilitazione generale che porta al paradosso per cui non c’è più destinatario, tutti sono trasmettitori…
Jean Baudrillard intervista in La Repubblica, 6 gennaio 2004
Un cortocircuito di senso su cui si interrogano gli artisti, grazie a cui la galleria la scampa bella, e gli spettatori pure.
"Ah! Protestano e si lagnano? Dovrebbero esclamare indignati: 'E' orribile, è oltraggioso, disdicevole...'. Gli sarebbe piaciuto potermi relegare in qualche categoria o formula. Ma non è nel mio stile. Se non sono soddisfatti Je m'en fous. Non me ne frega un c... et merde, ah, ah..."
Duchamp, 1 luglio 1966
Senza espressioni unilaterali e conflittuali gli artisti, raramente transitati in gallerie o esposizioni italiane, tentano la messa in scena di un’idea imperfetta, eludendo eventuali tentativi di splendenti affermazioni dittatoriali. Senza supremazie totalitarie di gloria, posizione, merito, si ipotizza una democrazia delle moltitudini, capace di governare se stessa.
Egemonia duchampiana e parte, con il suo reality-show perpetuo.
Pae White, artista californiana, immerge lo spettatore in una galassia di piccoli cartoncini colorati, legati assieme ma tenuti a corretta distanza da sottili fili di nylon tesi. L’opera è “Grief”, un microcosmo vivace ma delicatissimo, sospeso al centro dell’unico spazio. Filtrata dal fragile sciame, si intravede a parete l’opera di Jorge Pardo, artista cubano con cui Pae White ha collaborato per progetti pubblicitari e grafici. Entrambi gli artisti operano tra arte, design ed architettura, e si appropriano di materiali, oggetti e tecniche usuali in queste discipline. A differenza dell’opera di Pae White, senza utilizzo pratico, le opere di Pardo derivano da oggetti già “informati” ed utilizzati, di cui distorce l’uso consueto per condurre lo spettatore verso relazioni nuove ed inedite. Annulla il valore pittorico e manuale della pittura utilizzando serigrafie realizzate su computer e immagini rielaborate attraverso formati e dimensionamenti anomali. In questo modo azzera l’aspetto emozionale per approfondire le connessioni all’interno delle quali si può creare un quadro, o una scultura, o una casa, lasciando percepire agli attenti il distacco significativo rispetto ai loro archetipi.
Come Jorge Pardo anche i complessi assemblaggi di Matti Braun, contenenti temi personali, storici e biografici, intervengono attivamente sul vissuto di ciascuno. Egli aggrega citazioni di libri, film, materiali di uso comune, per rielaborarli in costellazioni di oggetti spesso silenziosi ma carichi di esperienze ed intenzioni.
Erich Weiss crea continui slittamenti tra realtà differenti o simulate attraverso fotografie e video, mentre Marius Sixay propone un’irriverente installazione, un ampio ombrello indolente e capovolto, estroverso al soffitto. Un bicchiere d’acqua, acronimo di cieli tempestosi e periodi di duro lavoro; ne condensa la funzione, accettata con pudore attraverso l’immersione misurata.
Il dipinto ad olio fotorealistico di Ulrich Lamsfu, artista che vive e lavora a Berlino, rimane nell’ambito della post-produzione, ma in questo caso gli elementi assimilati e re-introdotti sono immagini catturate da riviste di attualità, libri d’arte, scientifici, storici, senza confini. Afferma: mi piace il vecchio, il classico. Il “sublime” come strumento chiaramente riconoscibile della finzione.
Alexandra Wacker ripercorre in un ampio dipinto la storia della piazza di Pechino eletta a dea della democrazia, Tienanmen. Dopo il tragico massacro del 1989 vediamo ora la calma e la tranquillità di una giornata di pioggia, anche se i colori stentano a riaffiorare. Annie Kevans, dipinge volti di giovani ragazzi, ed è conosciuta ai più per essere stata inclusa nella Art Review’s 25 dopo che la sua opera è stata acquistata da Charles Saatchi (una serie di volti innocenti che ritraggono i visi dei dittatori del 20° secolo: Stalin, Mussolini, Hitler, Franco…)
Christoph Keller, fotografo e videoartista berlinese, lavora in un ambito strettamente legato alla città e al fluire metropolitano. Le sue fotografie ritraggono la frenesia del territorio urbano, gli spazi delle manifestazioni di massa, del sistema capitalista che incombe, fissati attraverso una tecnica fotografica che permette di percepire lo scorrere del tempo, qui dilatato su una superficie di oltre tre metri.
La galleria a servizio dei suoi autori, spazio parziale intorno cui definire modi e interazioni reciproche: invenzione e appropriazione, c’entra e non c’entra, facile e difficile, segno e significato, a discrezione.
Dopo i video di Marius Morch e gli all-over di Herbert Hinteregger, Antonio Ferrara indica (sconsiglia) un gioco “serio” di relazioni, un ossimoro provocatoriamente enunciato per creare un vuoto ideale, un’assenza potenziale da ir-realizzare.
"non è nemmeno un quadro, ma un ammasso di idee" dichiarava Duchamp del Grande Vetro.
La “democrazia assoluta”, diceva Hegel, può realizzare se stessa solo nella forma della sua “determinazione oppositiva”, ossia la dimensione terroristica.
Il corrispettivo curatoriale non è una nitida linea con direzione e verso, ma il fascino di un’idea audace: la configurazione equilibrata di una destrutturazione, il processo di disponibilità verso la democrazia assoluta, un’utopia in cui lo spettatore, straniato, fa la sua parte.
Se l’arte è ovunque, allora cessa di esistere. La cultura è la forma globalizzata dell’arte e di molte altre cose. La morte dell’arte è un paradosso: l’arte muore per eccesso di arte. Il taglio è rappresentato da Duchamp che ha messo in campo la democrazia assoluta, la promiscuità totale fra l’oggetto e il museo, per cui qualsiasi cosa può entrare nel museo. Non ci sono più posizioni singolari, ognuno crea le sue regole del gioco…
Tutti diventano creatori, c’è una mobilitazione generale che porta al paradosso per cui non c’è più destinatario, tutti sono trasmettitori…
Jean Baudrillard intervista in La Repubblica, 6 gennaio 2004
Un cortocircuito di senso su cui si interrogano gli artisti, grazie a cui la galleria la scampa bella, e gli spettatori pure.
"Ah! Protestano e si lagnano? Dovrebbero esclamare indignati: 'E' orribile, è oltraggioso, disdicevole...'. Gli sarebbe piaciuto potermi relegare in qualche categoria o formula. Ma non è nel mio stile. Se non sono soddisfatti Je m'en fous. Non me ne frega un c... et merde, ah, ah..."
Duchamp, 1 luglio 1966
Senza espressioni unilaterali e conflittuali gli artisti, raramente transitati in gallerie o esposizioni italiane, tentano la messa in scena di un’idea imperfetta, eludendo eventuali tentativi di splendenti affermazioni dittatoriali. Senza supremazie totalitarie di gloria, posizione, merito, si ipotizza una democrazia delle moltitudini, capace di governare se stessa.
Egemonia duchampiana e parte, con il suo reality-show perpetuo.
Pae White, artista californiana, immerge lo spettatore in una galassia di piccoli cartoncini colorati, legati assieme ma tenuti a corretta distanza da sottili fili di nylon tesi. L’opera è “Grief”, un microcosmo vivace ma delicatissimo, sospeso al centro dell’unico spazio. Filtrata dal fragile sciame, si intravede a parete l’opera di Jorge Pardo, artista cubano con cui Pae White ha collaborato per progetti pubblicitari e grafici. Entrambi gli artisti operano tra arte, design ed architettura, e si appropriano di materiali, oggetti e tecniche usuali in queste discipline. A differenza dell’opera di Pae White, senza utilizzo pratico, le opere di Pardo derivano da oggetti già “informati” ed utilizzati, di cui distorce l’uso consueto per condurre lo spettatore verso relazioni nuove ed inedite. Annulla il valore pittorico e manuale della pittura utilizzando serigrafie realizzate su computer e immagini rielaborate attraverso formati e dimensionamenti anomali. In questo modo azzera l’aspetto emozionale per approfondire le connessioni all’interno delle quali si può creare un quadro, o una scultura, o una casa, lasciando percepire agli attenti il distacco significativo rispetto ai loro archetipi.
Come Jorge Pardo anche i complessi assemblaggi di Matti Braun, contenenti temi personali, storici e biografici, intervengono attivamente sul vissuto di ciascuno. Egli aggrega citazioni di libri, film, materiali di uso comune, per rielaborarli in costellazioni di oggetti spesso silenziosi ma carichi di esperienze ed intenzioni.
Erich Weiss crea continui slittamenti tra realtà differenti o simulate attraverso fotografie e video, mentre Marius Sixay propone un’irriverente installazione, un ampio ombrello indolente e capovolto, estroverso al soffitto. Un bicchiere d’acqua, acronimo di cieli tempestosi e periodi di duro lavoro; ne condensa la funzione, accettata con pudore attraverso l’immersione misurata.
Il dipinto ad olio fotorealistico di Ulrich Lamsfu, artista che vive e lavora a Berlino, rimane nell’ambito della post-produzione, ma in questo caso gli elementi assimilati e re-introdotti sono immagini catturate da riviste di attualità, libri d’arte, scientifici, storici, senza confini. Afferma: mi piace il vecchio, il classico. Il “sublime” come strumento chiaramente riconoscibile della finzione.
Alexandra Wacker ripercorre in un ampio dipinto la storia della piazza di Pechino eletta a dea della democrazia, Tienanmen. Dopo il tragico massacro del 1989 vediamo ora la calma e la tranquillità di una giornata di pioggia, anche se i colori stentano a riaffiorare. Annie Kevans, dipinge volti di giovani ragazzi, ed è conosciuta ai più per essere stata inclusa nella Art Review’s 25 dopo che la sua opera è stata acquistata da Charles Saatchi (una serie di volti innocenti che ritraggono i visi dei dittatori del 20° secolo: Stalin, Mussolini, Hitler, Franco…)
Christoph Keller, fotografo e videoartista berlinese, lavora in un ambito strettamente legato alla città e al fluire metropolitano. Le sue fotografie ritraggono la frenesia del territorio urbano, gli spazi delle manifestazioni di massa, del sistema capitalista che incombe, fissati attraverso una tecnica fotografica che permette di percepire lo scorrere del tempo, qui dilatato su una superficie di oltre tre metri.
28
gennaio 2006
Absolute Democracy
Dal 28 gennaio al 07 marzo 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA ANTONIO FERRARA
Reggio Nell'emilia, Via Palazzolo, 8a, (Reggio Nell'emilia)
Reggio Nell'emilia, Via Palazzolo, 8a, (Reggio Nell'emilia)
Orario di apertura
gio_sab 15-20
Vernissage
28 Gennaio 2006, ore 18-21
Autore