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Adriano Avanzolini – La materia in sottrazione
la collocazione di figure anonime e malinconiche in ambientazioni scarne, fatte di vecchie sedie in legno, poltroncine sdrucite, brande e tavolacci, assume nella ricerca di Avanzolini una più spiccata valenza metafisica.Ogni presumibile accenno di futuro ”si ribalta su di un presente archeologico”
Comunicato stampa
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Adriano Avanzolini. La materia in sottrazione
testo di Pasquale Fameli------------------L’interesse per le potenzialità plastiche del vuoto caratterizza la ricerca di Adriano Avanzolini (1945) già dalle sue prime manifestazioni, in cui i residui di quella che Franco Solmi definisce una «inconcepibile classicità» si innestano sulle istanze di una quotidianità squallida e insignificante . L’azzeramento di ogni dilazione simbolica, le trasgressioni immaginarie e le contaminazioni tra passato e presente sono, del resto, le qualità per cui lo stesso Solmi coinvolgerà l’artista ne L’Opera dei Celebranti, gruppo nato in occasione della mostra Metafisica del quotidiano tenutasi alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1978 . Partecipando al clima citazionista e revivalista di metà decennio, Avanzolini ritualizza le incertezze dell’individuo contemporaneo, dimostrando di comprendere che ormai «l’unico spazio credibile è quello della finzione» . Con il Teatro del quotidiano (1974) l’artista inscena e orchestra infatti i gesti di un’umanità oggettualizzata, ridotta a simulacro di se stessa, logorata dall’incrocio tra conflitti privati e collettivi. Il calco dal vivo si configura come strategia di appropriazione dell’esistente, garantendo la massima aderenza, fisica e concettuale, alla realtà. Un richiamo al lavoro di George Segal è infatti pensabile in termini esclusivamente tecnici: la collocazione di figure anonime e malinconiche in ambientazioni scarne, fatte di vecchie sedie in legno, poltroncine sdrucite, brande e tavolacci, assume nella ricerca di Avanzolini una più spiccata valenza metafisica. Ogni presumibile accenno di futuro «si ribalta su di un presente archeologico, accentuando la sospesa atmosfera di queste assolute e inquinate metafore di impercorribile quotidianità» . L’ordinario viene sottoposto a un processo di rarefazione tale da rivelare pieghe latenti e tensioni sotterranee di un presente affannoso e problematico. La tecnica del calco si costituisce nella sua ricerca come metafora plastica di uno svuotamento dell’essere o una sua nullificazione ontologica. Le erosioni e le slabbrature che divorano silentemente le figure di gesso sono segni della fragilità e della precarietà cui l’uomo non può sottrarsi. Personaggi inquieti e tormentati, feriti o mutilati, abitano un teatro povero, allucinato e scabro che affida al senso dell’assurdo la regia di gesti, pose ed espressioni. Lo sguardo dei soggetti è annullato, occluso, negato a ogni conforto. Avanzolini solleva così il problema dell’incomunicabilità che affligge l’individuo contemporaneo, ossessionato dalla sua disperata solitudine, condannato a relazioni incerte e indifferenti, se non minacciose. Violenza e fermento del vivere sono al centro di una rappresentazione che non smarrisce, tuttavia, il senso della misura e dell’equilibrio: l’azione è infatti sospesa, bloccata come per magia e sottratta al tempo imperfetto della vita. L’acromia dei calchi in gesso amplifica questo senso di sospensione, provvedendo a elevare le figure a un più alto grado di astrazione. La mimesi è invece un espediente per attirare lo sguardo e convincerlo che tutto sta per muoversi, animarsi, mentre il vero dramma si consuma altrove. Eppure la sensazione della presenza umana si intensifica proprio in quelle fantasmatiche apparizioni plastiche, proiezioni icastiche di corpi assenti, sottratti alla contingenza, che condensano le ambiguità e le incongruenze dell’esistere.
Assottigliando gli spessori e rompendo la coesione di quei corpi già traditi da una carne precaria, l’artista stabilisce, nei primi anni Ottanta, un più diretto rapporto con la materia, riscoprendola nei suoi aspetti più elementari, atti a produrre tracce opache e imperfette di realtà. La creta e il gesso vengono avvertiti ora nelle loro inclinazioni fisiche, nella friabilità e nella duttilità che li rendono mutevoli, paradigmi di un divenire instabile affine a quello della vita umana. Avanzolini ribalta così la fedeltà mimetica del calco in un plasticismo aniconico sfrontato e radicale, arrivando a concepire l’opera come realtà autosufficiente. Le erosioni che divoravano le figure del Teatro del quotidiano diventano lacerazioni e ferite connaturate all’emotività implicita della materia. Non si tratta tuttavia di un’ingenua o nostalgica regressione all’Informale, ma di una più consapevole riflessione sui processi di strutturazione sottesi alla scultura stessa. D’altra parte, Avanzolini elude il rischio di ricadere in ormai stanche soluzioni analitiche, enfatizzando le potenzialità generative della materia verso una crescita irregolare, una proliferazione interna ricca di sentori organici su armature oblique in legno e ferro. I decadimenti iletici erodono le costrizioni della forma rivelando la struttura intima, molecolare, di una realtà plastica autonoma. L’artista ripensa infatti il supporto come teatro di accordi e dissonanze tra grumi di materia e strati di colore, nella prospettiva di quella che, nel 1982, insieme a Silvano Chinni e Giovanni Mundula, chiama la “Pittura a tre facce” . La soluzione della terracotta dipinta si costituisce in questa fase di ricerca come sintesi decostruttiva degli specifici mediali e tattica di smascheramento delle loro insidie.
Sul finire degli anni Ottanta il materismo greve e denso di Avanzolini si calma e si asciuga disvelando la struttura nella sua nudezza, così che i vuoti prevalgano sui pieni. L’intenzione di ridurre il peso e la compattezza della scultura risponde a una «sempre più consapevole esigenza di lasciare ampi varchi alla luce e all’energia» . L’assottigliamento dei volumi e un’oculata ripulitura delle superfici annunciano infatti l’apparire di simboli universali, religiosi o mitici, che catalizzano luce ed energia traslandole in nuove unità di senso. In queste strutture così nette e severe, Roberto Pasini rileva il senso di una «iniziazione segreta e manifesta a un tempo» . Simboli cristiani come quelli della croce o del vincastro sono distillati in astrattezze segniche che si consustanziano all’opera, infondendo un immediato senso di purezza e solennità in tutti i rapporti costruttivi. Lo sviluppo verticale delle strutture attesta inoltre la volontà di eludere i gravami della materia-mondo per elevarsi a una nuova dimensione di leggerezza, fisica e spirituale al contempo. Lo confermano anche le coeve “carte”, terreni di battaglie e dispersioni segniche scaturite dalla foga gestuale negata alle strutture. Segni arcaici e mitici tornano ad annunciarsi invece nella produzione più recente , affiorando da ipotetici scavi nella materia come reperti e frammenti di saperi lontani e di verità perdute. Maschere, metope e bassorilievi dal calore antico rigenerano lo spazio della finzione mediante le magie della sineddoche, alludendo a storie così remote da risultare sempre attuali.
testo di Pasquale Fameli------------------L’interesse per le potenzialità plastiche del vuoto caratterizza la ricerca di Adriano Avanzolini (1945) già dalle sue prime manifestazioni, in cui i residui di quella che Franco Solmi definisce una «inconcepibile classicità» si innestano sulle istanze di una quotidianità squallida e insignificante . L’azzeramento di ogni dilazione simbolica, le trasgressioni immaginarie e le contaminazioni tra passato e presente sono, del resto, le qualità per cui lo stesso Solmi coinvolgerà l’artista ne L’Opera dei Celebranti, gruppo nato in occasione della mostra Metafisica del quotidiano tenutasi alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1978 . Partecipando al clima citazionista e revivalista di metà decennio, Avanzolini ritualizza le incertezze dell’individuo contemporaneo, dimostrando di comprendere che ormai «l’unico spazio credibile è quello della finzione» . Con il Teatro del quotidiano (1974) l’artista inscena e orchestra infatti i gesti di un’umanità oggettualizzata, ridotta a simulacro di se stessa, logorata dall’incrocio tra conflitti privati e collettivi. Il calco dal vivo si configura come strategia di appropriazione dell’esistente, garantendo la massima aderenza, fisica e concettuale, alla realtà. Un richiamo al lavoro di George Segal è infatti pensabile in termini esclusivamente tecnici: la collocazione di figure anonime e malinconiche in ambientazioni scarne, fatte di vecchie sedie in legno, poltroncine sdrucite, brande e tavolacci, assume nella ricerca di Avanzolini una più spiccata valenza metafisica. Ogni presumibile accenno di futuro «si ribalta su di un presente archeologico, accentuando la sospesa atmosfera di queste assolute e inquinate metafore di impercorribile quotidianità» . L’ordinario viene sottoposto a un processo di rarefazione tale da rivelare pieghe latenti e tensioni sotterranee di un presente affannoso e problematico. La tecnica del calco si costituisce nella sua ricerca come metafora plastica di uno svuotamento dell’essere o una sua nullificazione ontologica. Le erosioni e le slabbrature che divorano silentemente le figure di gesso sono segni della fragilità e della precarietà cui l’uomo non può sottrarsi. Personaggi inquieti e tormentati, feriti o mutilati, abitano un teatro povero, allucinato e scabro che affida al senso dell’assurdo la regia di gesti, pose ed espressioni. Lo sguardo dei soggetti è annullato, occluso, negato a ogni conforto. Avanzolini solleva così il problema dell’incomunicabilità che affligge l’individuo contemporaneo, ossessionato dalla sua disperata solitudine, condannato a relazioni incerte e indifferenti, se non minacciose. Violenza e fermento del vivere sono al centro di una rappresentazione che non smarrisce, tuttavia, il senso della misura e dell’equilibrio: l’azione è infatti sospesa, bloccata come per magia e sottratta al tempo imperfetto della vita. L’acromia dei calchi in gesso amplifica questo senso di sospensione, provvedendo a elevare le figure a un più alto grado di astrazione. La mimesi è invece un espediente per attirare lo sguardo e convincerlo che tutto sta per muoversi, animarsi, mentre il vero dramma si consuma altrove. Eppure la sensazione della presenza umana si intensifica proprio in quelle fantasmatiche apparizioni plastiche, proiezioni icastiche di corpi assenti, sottratti alla contingenza, che condensano le ambiguità e le incongruenze dell’esistere.
Assottigliando gli spessori e rompendo la coesione di quei corpi già traditi da una carne precaria, l’artista stabilisce, nei primi anni Ottanta, un più diretto rapporto con la materia, riscoprendola nei suoi aspetti più elementari, atti a produrre tracce opache e imperfette di realtà. La creta e il gesso vengono avvertiti ora nelle loro inclinazioni fisiche, nella friabilità e nella duttilità che li rendono mutevoli, paradigmi di un divenire instabile affine a quello della vita umana. Avanzolini ribalta così la fedeltà mimetica del calco in un plasticismo aniconico sfrontato e radicale, arrivando a concepire l’opera come realtà autosufficiente. Le erosioni che divoravano le figure del Teatro del quotidiano diventano lacerazioni e ferite connaturate all’emotività implicita della materia. Non si tratta tuttavia di un’ingenua o nostalgica regressione all’Informale, ma di una più consapevole riflessione sui processi di strutturazione sottesi alla scultura stessa. D’altra parte, Avanzolini elude il rischio di ricadere in ormai stanche soluzioni analitiche, enfatizzando le potenzialità generative della materia verso una crescita irregolare, una proliferazione interna ricca di sentori organici su armature oblique in legno e ferro. I decadimenti iletici erodono le costrizioni della forma rivelando la struttura intima, molecolare, di una realtà plastica autonoma. L’artista ripensa infatti il supporto come teatro di accordi e dissonanze tra grumi di materia e strati di colore, nella prospettiva di quella che, nel 1982, insieme a Silvano Chinni e Giovanni Mundula, chiama la “Pittura a tre facce” . La soluzione della terracotta dipinta si costituisce in questa fase di ricerca come sintesi decostruttiva degli specifici mediali e tattica di smascheramento delle loro insidie.
Sul finire degli anni Ottanta il materismo greve e denso di Avanzolini si calma e si asciuga disvelando la struttura nella sua nudezza, così che i vuoti prevalgano sui pieni. L’intenzione di ridurre il peso e la compattezza della scultura risponde a una «sempre più consapevole esigenza di lasciare ampi varchi alla luce e all’energia» . L’assottigliamento dei volumi e un’oculata ripulitura delle superfici annunciano infatti l’apparire di simboli universali, religiosi o mitici, che catalizzano luce ed energia traslandole in nuove unità di senso. In queste strutture così nette e severe, Roberto Pasini rileva il senso di una «iniziazione segreta e manifesta a un tempo» . Simboli cristiani come quelli della croce o del vincastro sono distillati in astrattezze segniche che si consustanziano all’opera, infondendo un immediato senso di purezza e solennità in tutti i rapporti costruttivi. Lo sviluppo verticale delle strutture attesta inoltre la volontà di eludere i gravami della materia-mondo per elevarsi a una nuova dimensione di leggerezza, fisica e spirituale al contempo. Lo confermano anche le coeve “carte”, terreni di battaglie e dispersioni segniche scaturite dalla foga gestuale negata alle strutture. Segni arcaici e mitici tornano ad annunciarsi invece nella produzione più recente , affiorando da ipotetici scavi nella materia come reperti e frammenti di saperi lontani e di verità perdute. Maschere, metope e bassorilievi dal calore antico rigenerano lo spazio della finzione mediante le magie della sineddoche, alludendo a storie così remote da risultare sempre attuali.
18
maggio 2019
Adriano Avanzolini – La materia in sottrazione
Dal 18 maggio al 02 giugno 2019
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal mercoledì al venerdì 17.00-20.00 sabato e festivi: 11.00-12.30 e 17.00-20.00 - chiuso lunedì e martedì
Vernissage
18 Maggio 2019, ore 18.00
Autore
Curatore