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Adriano Campisi / Roberto Gandus – Vuoti di memoria
Non c’è avventura da camera più eccitante, insidiosa, evocativa della pittura. Non è sempre necessario che il vero prenda corpo….
Comunicato stampa
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Roberto Gandus - Lo sguardo è invitato a sprofondare nell’immagine senza guida di schemi prospettici, ma non riesce a trovare giusta distanza, come se l’occhio improvvisamente avesse smarrito la capacità di mettere a fuoco e però subisse una forma di seduzione tanto più irresistibile in quanto privata di governo e di certo riferimento.
Adriano Campisi - La scelta della distanza è o sembra immediata; gli elementi che costruiscono l’immagine hanno densità, spessore, peso; il complesso mostra ordine e chiarezza. Eppure la percezione è problematica: l’occhio inquieto incontra un vuoto prevalente, le cose sono assottigliate in profili, la struttura è precaria e decentrata.
R.G. - L’accesso è frontale; la dimensione ridotta dell’oggetto illude di un facile possesso; segue un girovagare lento, relativamente concentrico. La superficie è quasi levigata, priva d’appigli sicuri, solo graffi, minimi rilievi, una tessitura dove restano impigliate ombre vaganti. Vuoto di memoria.
A.C. - L’accesso è deviato verso l’alto, in quanto ciò che sta di fronte e spesso eccede in altezza è luogo vacante, appena imbastito da elementari impalcature; in cima, come su una montagna, come su un altare, stanno i sacri arredi. Per una cerimonia ignota, di cui restano scarne tracce esposte al vento. Memoria di vuoto.
R.G. - Dove la vista sfiora la cecità, subentra la verifica tattile, che prende atto dei materiali e della loro delicata elaborazione: lo stucco che finge il muro, l’imprimitura che trasforma il senza-tempo del supporto in pelle sensibile, le provocazioni tecnologiche e manuali che formano palinsesto. Alla fine, la luce precipita in istantaneo abbacinamento.
A.C. - La consistenza plastica, in prima battuta evidente, proiettando ombre fantomatiche, si dichiara vana, mentre al minimo contatto dimostra una reattività vibrante, così che ti par d’udire il soffio d’un respiro che anima. Ma la luce, ancora protagonista, gela l’immagine in una esattezza fuori-tempo e la consegna ad una sospensione che ha del metafisico.
Sedimentazione cancellazione. Memoria obsolescenza
Figura comune, il bianco. Ma ci sono due specie di bianco: limbo pregno e vorace l’uno (bambagia di nebbia o di neve, palinsesto che tutto inghiotte e rigenera), schermo levigato e compatto l’altro (trasparenza di cristallo o algore radiante di ghiacciaio); tempo, forse, hanno nominato il primo, spazio il secondo. Il bianco di cui si parla non è dunque colore: ogni forma ci sta dentro e ne è esclusa; senza alterarne la sostanza ne partecipa di meno o di più come d’una qualità comprensiva, fino al limite della identificazione.
Tra opacità e trasparenza (polveri asciutte, liquidi lucori, umori sottili) il gesto procede a tentoni - ora timido ora aggressivo, ora apprensivo ora insinuante, ora espansivo ora introverso – lasciando tracce mai troppo nette che si intrecciano e impastano con quelle già depositate. Non c’è avventura da camera più eccitante, insidiosa, evocativa della pittura.
“Non è sempre necessario che il vero prenda corpo; è già sufficiente che aleggi nei dintorni come spirito e provochi una sorta di accordo come quando il suono delle campane si distende amico nell’atmosfera…”. Così, citando Goethe, Martin Heidegger conclude “L’arte e lo spazio”, dopo aver ragionato della scultura come fare-spazio, luogo aperto sulla libera vastità.
Pino Mantovani
Adriano Campisi - La scelta della distanza è o sembra immediata; gli elementi che costruiscono l’immagine hanno densità, spessore, peso; il complesso mostra ordine e chiarezza. Eppure la percezione è problematica: l’occhio inquieto incontra un vuoto prevalente, le cose sono assottigliate in profili, la struttura è precaria e decentrata.
R.G. - L’accesso è frontale; la dimensione ridotta dell’oggetto illude di un facile possesso; segue un girovagare lento, relativamente concentrico. La superficie è quasi levigata, priva d’appigli sicuri, solo graffi, minimi rilievi, una tessitura dove restano impigliate ombre vaganti. Vuoto di memoria.
A.C. - L’accesso è deviato verso l’alto, in quanto ciò che sta di fronte e spesso eccede in altezza è luogo vacante, appena imbastito da elementari impalcature; in cima, come su una montagna, come su un altare, stanno i sacri arredi. Per una cerimonia ignota, di cui restano scarne tracce esposte al vento. Memoria di vuoto.
R.G. - Dove la vista sfiora la cecità, subentra la verifica tattile, che prende atto dei materiali e della loro delicata elaborazione: lo stucco che finge il muro, l’imprimitura che trasforma il senza-tempo del supporto in pelle sensibile, le provocazioni tecnologiche e manuali che formano palinsesto. Alla fine, la luce precipita in istantaneo abbacinamento.
A.C. - La consistenza plastica, in prima battuta evidente, proiettando ombre fantomatiche, si dichiara vana, mentre al minimo contatto dimostra una reattività vibrante, così che ti par d’udire il soffio d’un respiro che anima. Ma la luce, ancora protagonista, gela l’immagine in una esattezza fuori-tempo e la consegna ad una sospensione che ha del metafisico.
Sedimentazione cancellazione. Memoria obsolescenza
Figura comune, il bianco. Ma ci sono due specie di bianco: limbo pregno e vorace l’uno (bambagia di nebbia o di neve, palinsesto che tutto inghiotte e rigenera), schermo levigato e compatto l’altro (trasparenza di cristallo o algore radiante di ghiacciaio); tempo, forse, hanno nominato il primo, spazio il secondo. Il bianco di cui si parla non è dunque colore: ogni forma ci sta dentro e ne è esclusa; senza alterarne la sostanza ne partecipa di meno o di più come d’una qualità comprensiva, fino al limite della identificazione.
Tra opacità e trasparenza (polveri asciutte, liquidi lucori, umori sottili) il gesto procede a tentoni - ora timido ora aggressivo, ora apprensivo ora insinuante, ora espansivo ora introverso – lasciando tracce mai troppo nette che si intrecciano e impastano con quelle già depositate. Non c’è avventura da camera più eccitante, insidiosa, evocativa della pittura.
“Non è sempre necessario che il vero prenda corpo; è già sufficiente che aleggi nei dintorni come spirito e provochi una sorta di accordo come quando il suono delle campane si distende amico nell’atmosfera…”. Così, citando Goethe, Martin Heidegger conclude “L’arte e lo spazio”, dopo aver ragionato della scultura come fare-spazio, luogo aperto sulla libera vastità.
Pino Mantovani
19
novembre 2009
Adriano Campisi / Roberto Gandus – Vuoti di memoria
Dal 19 novembre al 30 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
PAOLO TONIN ARTE CONTEMPORANEA
Torino, Via San Tommaso, 6, (Torino)
Torino, Via San Tommaso, 6, (Torino)
Orario di apertura
lunedì venerdì 10,30-13 /15 - 19
chiso festivi, sabato su appuntamento
Vernissage
19 Novembre 2009, ore 19 - 22
Autore
Curatore