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Adriano Persiani – Monstrorum istoria
Mostra personale
Comunicato stampa
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“La regina demente/che fa e disfa/I destini e le forme”1
Negli ultimi decenni del Cinquecento e fino ai primi del Seicento, Ulisse Aldrovandi, una delle maggiori figure della scienza, nonché
guida e riferimento per i naturalisti contemporanei, si adoperò nella ricostruzione di un immenso catalogo universale costituito da
trecentosessanta volumi manoscritti, undicimila tavole, nonché un erbario con settemila piante pressate in quindici volumi.
Stupisce, nonostante il raziocinio e la integerrima volontà di rigore scientifico dello studioso, che tra le sue tavole compaia il Drago
Boncompagni (tempera su carta, cm 45,6 x 36, Tavole degli animali di Ulisse Aldrovandi, vol. IV, f. 130, Bologna, Biblioteca
Universitaria)2, spaventoso monstra di molte famose Wunderkammern. Accanto alla puntuale esigenza didattica dell’osservazione e
catalogazione delle diversità del mondo vivente, il Drago è affermazione d’esistenza di ordini di realtà inimmaginabili e mette in luce
un’altrettanto fervente volontà di ribadire la tempra dell’epoca, che nel caso contempla l’oscura propensione alla spaventosa rarità,
all’avulso e al liminale, al misterioso e al grottesco. Non a caso, il Monstrorum Historia, edito a Bologna nel 1642, approfondisce questi
temi con un opportuno compendio, un inventario di ogni caso conosciuto di mostruosità animale o umana.
A dispetto del suo referente, Adriano Persiani persegue l’anti-scienza. Scaraventando davanti agli occhi i mostri del floklore, della
mitologia e dei bestiari mediovali, le sue tavole asettiche in alluminio laccato sono esercizi virtuosistici, improbabili chimere, artefatti
arcimboldeschi ma anche drammatiche deformità genetiche di origine nucleare in cui sono dimostrati i prodigi dell’anamorfosi, i
capricci dell’ibrido, “quel strano fondere le cose” che crea innesti in uno scambio reciproco di proprietà semantiche.
A corollario delle tavole d’ispirazione aldrovandiana ecco poi che, a svelare il melanconico sense of humour del quale si serve l’artista,
si dispiega tutto un repertorio neo-oggettuale estremamente chiassoso, pittoresco e kitsch che insieme riguarda il sacro e il profano,
il sorriso e l’inquietudine, l’intimità domestica e l’aulico e reverenziale distacco verso le maestose magnificenze delle mirabilia seisettecentesche.
Tra lugubri fantasie e spregiudicatezze carnevalesche, ecco che un nido, assemblage di preziose porcellane, pende
sorretto da un improbabile accessorio da manutenzione stradale, mentre un aristocratico vaso da fiori da cui spuntano improvvisamente
le spire di un mostro tecnologico, si erge in orizzontale a sfidare la consueta disposizione della suppellettile da consolle. Al contempo,
oggetto di morbosa perversione memore dell’erotismo galante di François Boucher, uno specchio immaginario riflette le malformazioni
e i mancamenti di una cortigiana tutta trine e i merletti pastello, così come, i tessuti chiesastici sono nuove e preziose pelli che ricoprono
oggetti che di per sé incutono timore, suggeriscono allarmismi ed inquietudini inaudite. Non senza un dovuto omaggio alla filosofia della
Surrealtà e come consueto nella sua opera, ogni artefatto, prima di essere creato o trovato, è stato sognato; non pensato consciamente,
nella meditazione che precede l’esecuzione dell’opera, ma concepito per intero dal lavoro onirico. Si tratta di sogni-oggetto compromessi
da un complesso gioco di spostamenti e sostituzioni (sineddoche, metonimia, metafora) che ne implica valenze simboliche consone alla
romanticheggiante ed «irrimediabile inquietudine umana». ed Avendo compreso come la cultura passata perseveri in costante effluvio
nell’estetica del presente, Adriano Persiani continua con meticoloso zelo di artigiano il suo frammentario racconto di lontane e fastose
atmosfere perturbanti e perturbate, in cui in primo luogo si intuisce una raffinatezza intellettuale volta a ricostruire un immaginario
“oggettuale” assolutamente contemporaneo nei suoi valori di condensazione ed eclettismo. Come anelito al sincretismo e nel dimostrare
l’esistenza di un principio supremo unificante, le istanze del mostruoso e del bizzarro si intrecciano in ogni oggetto che è infine un
precipitato di pensiero. Difatti, le tenui tonalità spirituali della fantasticheria infantile si stemperano in una sorta di volontà dedita
all’empirismo, all’oggettualità concreta e tangibile. Infine, la maniacale ricerca dell’epiteto raro in cui sempre si ravvisa la stridula
stravaganza degli accostamenti, compete ad uno statuto linguistico dell’oggetto che andrà ad approfondire la psicologia dello stupore
e della meraviglia, manifestandosi appieno nella sua capacità simbolica, emblematica, evocativa e, non da ultima, nella sua effettiva
eclissi funzionale.
1 R. GILBERT-LECOMTE, Consacrazione e massacro dell’amore, 1931
2 Il 13 maggio 1572 fu un giorno memorabile per Bologna: un’incredibile successione di notizie e avvenimenti segnò il suo svolgersi, radicando
nella coscienza di contemporanei la convinzione che la città fosse stata teatro di un miracoloso prodigio. Il primo testimone fu un contadino, che recandosi
in campagna, ebbe la sorpresa di imbattersi in un drago sibilante e minaccioso. (…) Il mostruoso animale, ormai morto, fu portato nello studio
di Ulisse Aldrovandi che aveva chiesto di poterlo esaminare: come consuetudine si trasse, dal vero e a colori, una sua fedele immagine; poi la carcassa
fu essiccata nelle ceneri ed esposta, glorioso cimelio, nella collezione di naturalia dello scienziato. Dispersa la mummia, ancor oggi disponiamo della
tavola che ritrae il drago felsineo. (…) L’essere, morfologicamente, si presenta come un buffo e sgraziato incrocio fra un serpente e una lucertola, con
un pronunciato rigonfiamento del ventre, due piedi per deambulare, una coda con aculeo velenoso come gli scorpioni e ricoperto di scaglie cangianti
dal verde, al nero,all’argento. Nessuno sollevò obiezioni sulla sua natura di “arcana” (mai si era visto in Europa un simile esemplare); ma la bestia non
rispondeva completamente all’immaginario , ben preciso, dell’epoca in fatto di draghi (la maggior discordanza era la mancanza di ali). Aldrovandi ne
era consapevole, e se in un primo momento si sforzò di argomentare l’esistenza di una nuova specie di draghi (il Dragone da duoi piedi mostruoso) alla
fine parlò più prudentemente di “serpente monstrifico”, generato da un coito si specie diverse.”
L. MARINIG L’età di Gregorio XIII, in V. FORTUNATI (a cura di) Lavinia Fontana 1552-1614, Milano, 1994.
Negli ultimi decenni del Cinquecento e fino ai primi del Seicento, Ulisse Aldrovandi, una delle maggiori figure della scienza, nonché
guida e riferimento per i naturalisti contemporanei, si adoperò nella ricostruzione di un immenso catalogo universale costituito da
trecentosessanta volumi manoscritti, undicimila tavole, nonché un erbario con settemila piante pressate in quindici volumi.
Stupisce, nonostante il raziocinio e la integerrima volontà di rigore scientifico dello studioso, che tra le sue tavole compaia il Drago
Boncompagni (tempera su carta, cm 45,6 x 36, Tavole degli animali di Ulisse Aldrovandi, vol. IV, f. 130, Bologna, Biblioteca
Universitaria)2, spaventoso monstra di molte famose Wunderkammern. Accanto alla puntuale esigenza didattica dell’osservazione e
catalogazione delle diversità del mondo vivente, il Drago è affermazione d’esistenza di ordini di realtà inimmaginabili e mette in luce
un’altrettanto fervente volontà di ribadire la tempra dell’epoca, che nel caso contempla l’oscura propensione alla spaventosa rarità,
all’avulso e al liminale, al misterioso e al grottesco. Non a caso, il Monstrorum Historia, edito a Bologna nel 1642, approfondisce questi
temi con un opportuno compendio, un inventario di ogni caso conosciuto di mostruosità animale o umana.
A dispetto del suo referente, Adriano Persiani persegue l’anti-scienza. Scaraventando davanti agli occhi i mostri del floklore, della
mitologia e dei bestiari mediovali, le sue tavole asettiche in alluminio laccato sono esercizi virtuosistici, improbabili chimere, artefatti
arcimboldeschi ma anche drammatiche deformità genetiche di origine nucleare in cui sono dimostrati i prodigi dell’anamorfosi, i
capricci dell’ibrido, “quel strano fondere le cose” che crea innesti in uno scambio reciproco di proprietà semantiche.
A corollario delle tavole d’ispirazione aldrovandiana ecco poi che, a svelare il melanconico sense of humour del quale si serve l’artista,
si dispiega tutto un repertorio neo-oggettuale estremamente chiassoso, pittoresco e kitsch che insieme riguarda il sacro e il profano,
il sorriso e l’inquietudine, l’intimità domestica e l’aulico e reverenziale distacco verso le maestose magnificenze delle mirabilia seisettecentesche.
Tra lugubri fantasie e spregiudicatezze carnevalesche, ecco che un nido, assemblage di preziose porcellane, pende
sorretto da un improbabile accessorio da manutenzione stradale, mentre un aristocratico vaso da fiori da cui spuntano improvvisamente
le spire di un mostro tecnologico, si erge in orizzontale a sfidare la consueta disposizione della suppellettile da consolle. Al contempo,
oggetto di morbosa perversione memore dell’erotismo galante di François Boucher, uno specchio immaginario riflette le malformazioni
e i mancamenti di una cortigiana tutta trine e i merletti pastello, così come, i tessuti chiesastici sono nuove e preziose pelli che ricoprono
oggetti che di per sé incutono timore, suggeriscono allarmismi ed inquietudini inaudite. Non senza un dovuto omaggio alla filosofia della
Surrealtà e come consueto nella sua opera, ogni artefatto, prima di essere creato o trovato, è stato sognato; non pensato consciamente,
nella meditazione che precede l’esecuzione dell’opera, ma concepito per intero dal lavoro onirico. Si tratta di sogni-oggetto compromessi
da un complesso gioco di spostamenti e sostituzioni (sineddoche, metonimia, metafora) che ne implica valenze simboliche consone alla
romanticheggiante ed «irrimediabile inquietudine umana». ed Avendo compreso come la cultura passata perseveri in costante effluvio
nell’estetica del presente, Adriano Persiani continua con meticoloso zelo di artigiano il suo frammentario racconto di lontane e fastose
atmosfere perturbanti e perturbate, in cui in primo luogo si intuisce una raffinatezza intellettuale volta a ricostruire un immaginario
“oggettuale” assolutamente contemporaneo nei suoi valori di condensazione ed eclettismo. Come anelito al sincretismo e nel dimostrare
l’esistenza di un principio supremo unificante, le istanze del mostruoso e del bizzarro si intrecciano in ogni oggetto che è infine un
precipitato di pensiero. Difatti, le tenui tonalità spirituali della fantasticheria infantile si stemperano in una sorta di volontà dedita
all’empirismo, all’oggettualità concreta e tangibile. Infine, la maniacale ricerca dell’epiteto raro in cui sempre si ravvisa la stridula
stravaganza degli accostamenti, compete ad uno statuto linguistico dell’oggetto che andrà ad approfondire la psicologia dello stupore
e della meraviglia, manifestandosi appieno nella sua capacità simbolica, emblematica, evocativa e, non da ultima, nella sua effettiva
eclissi funzionale.
1 R. GILBERT-LECOMTE, Consacrazione e massacro dell’amore, 1931
2 Il 13 maggio 1572 fu un giorno memorabile per Bologna: un’incredibile successione di notizie e avvenimenti segnò il suo svolgersi, radicando
nella coscienza di contemporanei la convinzione che la città fosse stata teatro di un miracoloso prodigio. Il primo testimone fu un contadino, che recandosi
in campagna, ebbe la sorpresa di imbattersi in un drago sibilante e minaccioso. (…) Il mostruoso animale, ormai morto, fu portato nello studio
di Ulisse Aldrovandi che aveva chiesto di poterlo esaminare: come consuetudine si trasse, dal vero e a colori, una sua fedele immagine; poi la carcassa
fu essiccata nelle ceneri ed esposta, glorioso cimelio, nella collezione di naturalia dello scienziato. Dispersa la mummia, ancor oggi disponiamo della
tavola che ritrae il drago felsineo. (…) L’essere, morfologicamente, si presenta come un buffo e sgraziato incrocio fra un serpente e una lucertola, con
un pronunciato rigonfiamento del ventre, due piedi per deambulare, una coda con aculeo velenoso come gli scorpioni e ricoperto di scaglie cangianti
dal verde, al nero,all’argento. Nessuno sollevò obiezioni sulla sua natura di “arcana” (mai si era visto in Europa un simile esemplare); ma la bestia non
rispondeva completamente all’immaginario , ben preciso, dell’epoca in fatto di draghi (la maggior discordanza era la mancanza di ali). Aldrovandi ne
era consapevole, e se in un primo momento si sforzò di argomentare l’esistenza di una nuova specie di draghi (il Dragone da duoi piedi mostruoso) alla
fine parlò più prudentemente di “serpente monstrifico”, generato da un coito si specie diverse.”
L. MARINIG L’età di Gregorio XIII, in V. FORTUNATI (a cura di) Lavinia Fontana 1552-1614, Milano, 1994.
20
marzo 2010
Adriano Persiani – Monstrorum istoria
Dal 20 marzo al 28 maggio 2010
arte contemporanea
Location
MELEPERE
Verona, Via Sottoriva, 12, (Verona)
Verona, Via Sottoriva, 12, (Verona)
Orario di apertura
mar-sab ore 10-13 e 15-18 e su appuntamento
Vernissage
20 Marzo 2010, ore 18.30
Autore
Curatore