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Affinità tra l’arte giapponese del dopoguerra e artisti informali dell’Occidente
Partendo da un progetto culturale di Michel Tapié, questa mostra mette in luce gli scambi tra l’arte in Giappone nel dopoguerra e alcuni artisti informali in Occidente
Comunicato stampa
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Dopo un ciclo di mostre di artisti contemporanei che hanno utilizzato codici espressivi provenienti dal profondo legame che si stabilisce tra arte e vita, raccogliendo ed elaborando sapientemente materiali di uso comune, immagini, suoni legati ad un vissuto personale che nella sua dimensione collettiva e storica restituisce loro distinzione e li rende unici, abbiamo scelto di tornare a parlare di pittura, molto indietro, tra gli artisti che nel gesto, talvolta violento, nel segno, spesso aggressivo, scoprono quanto la condizione di artista non possa ignorare il suo rapporto con la vita.
In particolare, partendo da un progetto culturale del critico Michel Tapié, questa mostra mette in luce le affinità tra l'arte giapponese del dopoguerra e alcuni artisti informali dell'Occidente.
Il Gruppo Gutaj, fondato nel 1954 da Jirò Yoshihara, espone per la prima volta al Museo Municipale di Tokyo nel 1955. Allan Kaprow, padre dell' Happening, attribuisce al gruppo l'origine di alcune tra le più importanti tendenze dell'arte contemporanea, l'Happening, la Land Art, l'Arte Povera.
“...Noi crediamo che più dell'arte sia la scoperta che merita rispetto, che sia arte o no non ci interessa e tutto ciò che non rientra nel concetto di arte è di gran lunga più attraente per ognuno di noi”. (Jirò Yoshihara).
Proporre una mostra di Gutaj è purtroppo impossibile. Rinunciando ad un modo di fare arte tradizionale, essi combinano materiali cedevoli, fango, stoffa, liquidi, a volte l'aria e il fumo che si sono persi.. Fuori da un contesto museale convenzionale escono negli spazi aperti e creano installazioni e performance pubbliche .
Ma questa straordinaria energia vitalistica questi artisti la esprimono anche sulla tela, con lo slancio emozionale che vi esplode attraverso la materia. L'intenzione è di coinvolgere altri sensi oltre alla vista. Da noi, Hans Hartung sosteneva che vedere non è un'esperienza totale e diceva: “….ciò che amo è agire sulla tela.”
É del 1957 il viaggio che Georges Mathieu compie in Giappone assieme a Michel Tapiè, dove si esibisce in due performance.
Avvengono scambi da una parte e dall'altra, ma uno merita un' attenzione particolare.
Per la rapidità nell'esecuzione, la gestualità con cui viene attuata, per la sua stessa capacità di evocare altro - parole, frasi, concetti – e per la sua bellezza, la calligrafia orientale svolge un ruolo fondamentale presso alcuni importanti artisti occidentali, Mathieu stesso, Henri Michaux, Mark Tobey, Franz Kline. Ma non si tratta di puro compiacimento di forme, citazioni gettate a caso sulla tela. Se ne intuisce tutta la potenzialità espressiva in forma artistica accogliendo istanze già espresse dagli stessi artisti giapponesi in precedenza.
Pur appartenendo ad un contesto del tutto differente, artisti occidentali e orientali hanno abbracciato l'idea che il fare pittura non è mostrare una cosa. Forse è stata la ferocia della guerra ad indurli a cercare altro in una sorta di scambio reciproco dove le contaminazioni davano un significato nuovo all'arte e alla vita.
“...La nostra esperienza si è costituita con tutto quello che abbiamo vissuto. Ho freddo, ho caldo, soffro tutti i movimenti interiori del mio corpo, ecco tutto quello che mi dà accesso alla conoscenza del mondo. Quando bambini entriamo nel mondo gridiamo perché vivere è terribile, in realtà. Così noi conosciamo il mondo. Quello che proviamo è molto più forte dei rossi, degli azzurri che vediamo attorno a noi. E per noi pittori tutto questo è da esprimere. È un'altra questione, ma l'esperienza ridotta alla sola visione, non ci fa conoscere l'oggetto e nemmeno il mondo. Non escludo il fatto di vedere, al contrario, ma la vista non è il solo modo di conoscenza. Abbiamo ben altre maniere di conoscere." Hans Hartung.
In particolare, partendo da un progetto culturale del critico Michel Tapié, questa mostra mette in luce le affinità tra l'arte giapponese del dopoguerra e alcuni artisti informali dell'Occidente.
Il Gruppo Gutaj, fondato nel 1954 da Jirò Yoshihara, espone per la prima volta al Museo Municipale di Tokyo nel 1955. Allan Kaprow, padre dell' Happening, attribuisce al gruppo l'origine di alcune tra le più importanti tendenze dell'arte contemporanea, l'Happening, la Land Art, l'Arte Povera.
“...Noi crediamo che più dell'arte sia la scoperta che merita rispetto, che sia arte o no non ci interessa e tutto ciò che non rientra nel concetto di arte è di gran lunga più attraente per ognuno di noi”. (Jirò Yoshihara).
Proporre una mostra di Gutaj è purtroppo impossibile. Rinunciando ad un modo di fare arte tradizionale, essi combinano materiali cedevoli, fango, stoffa, liquidi, a volte l'aria e il fumo che si sono persi.. Fuori da un contesto museale convenzionale escono negli spazi aperti e creano installazioni e performance pubbliche .
Ma questa straordinaria energia vitalistica questi artisti la esprimono anche sulla tela, con lo slancio emozionale che vi esplode attraverso la materia. L'intenzione è di coinvolgere altri sensi oltre alla vista. Da noi, Hans Hartung sosteneva che vedere non è un'esperienza totale e diceva: “….ciò che amo è agire sulla tela.”
É del 1957 il viaggio che Georges Mathieu compie in Giappone assieme a Michel Tapiè, dove si esibisce in due performance.
Avvengono scambi da una parte e dall'altra, ma uno merita un' attenzione particolare.
Per la rapidità nell'esecuzione, la gestualità con cui viene attuata, per la sua stessa capacità di evocare altro - parole, frasi, concetti – e per la sua bellezza, la calligrafia orientale svolge un ruolo fondamentale presso alcuni importanti artisti occidentali, Mathieu stesso, Henri Michaux, Mark Tobey, Franz Kline. Ma non si tratta di puro compiacimento di forme, citazioni gettate a caso sulla tela. Se ne intuisce tutta la potenzialità espressiva in forma artistica accogliendo istanze già espresse dagli stessi artisti giapponesi in precedenza.
Pur appartenendo ad un contesto del tutto differente, artisti occidentali e orientali hanno abbracciato l'idea che il fare pittura non è mostrare una cosa. Forse è stata la ferocia della guerra ad indurli a cercare altro in una sorta di scambio reciproco dove le contaminazioni davano un significato nuovo all'arte e alla vita.
“...La nostra esperienza si è costituita con tutto quello che abbiamo vissuto. Ho freddo, ho caldo, soffro tutti i movimenti interiori del mio corpo, ecco tutto quello che mi dà accesso alla conoscenza del mondo. Quando bambini entriamo nel mondo gridiamo perché vivere è terribile, in realtà. Così noi conosciamo il mondo. Quello che proviamo è molto più forte dei rossi, degli azzurri che vediamo attorno a noi. E per noi pittori tutto questo è da esprimere. È un'altra questione, ma l'esperienza ridotta alla sola visione, non ci fa conoscere l'oggetto e nemmeno il mondo. Non escludo il fatto di vedere, al contrario, ma la vista non è il solo modo di conoscenza. Abbiamo ben altre maniere di conoscere." Hans Hartung.
17
ottobre 2009
Affinità tra l’arte giapponese del dopoguerra e artisti informali dell’Occidente
Dal 17 ottobre al 28 novembre 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA L’ELEFANTE
Treviso, Via Roggia, 52, (Treviso)
Treviso, Via Roggia, 52, (Treviso)
Orario di apertura
Dal martedì al sabato ore 15.00 - 19.30
Vernissage
17 Ottobre 2009, Ore 18.30
Autore