Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Ahmed Askalany – A Good Body for a Better Sanity
installazioni e dipinti del giovane artista egiziano, nato nel 1978
Comunicato stampa
Segnala l'evento
A GOOD BODY FOR BETTER SANITY
Testo critico di Martina Corgnati
Ahmed Askalany (1978), nato in un villaggio nubiano nel sud dell’Egitto e trasferito al Cairo nel 1995, è senz’altro uno degli artisti egiziani più originali delle ultime generazioni senza per questo aver mai perduto il contatto con le sue radici.
Il suo lavoro, in resina, ceramica o foglie di palma intrecciate secondo una tecnica artigianale antica, usata da sempre nei villaggi per produrre canestri e oggetti “poveri”, elude le prerogative auliche della scultura, il suo legame con il bronzo e la pietra, le sue aspettative di eternità; ma mantiene forme plastiche tradizionali, il senso della modellazione, del volume, della rappresentazione. Soggetti tipici del giovane artista, formatosi come ceramista al Cairo, sono animali oppure figure umane cui l’uso delle foglie intrecciate conferisce un aspetto imbalsamato, da mummie. L’abilità di Askalany è però quella di cogliere un attimo, un gesto, un atteggiamento sempre profondamente naturale e “vero” dei suoi soggetti e di metterlo in scena con una specie di candore e, qualche volta, di pungente ironia. Nelle installazioni recenti il ritratto della vita rurale assume la complessità di una piccola scena teatrale, mentre alcune terrecotte a lustro, gatti soprattutto, di piccole dimensioni e qualche semplificazione geometrica, ricordano le prime opere figurative della Nevelson (anni trenta), anch’esse raffiguranti spesso felini e piccoli animali. Dubito però che Askalany conosca questi lavori della grande scultrice americana: la sua traiettoria culturale è rimasta fino a un passato molto recente tutta interna all’Egitto, dove si è conquistato una reputazione vincendo il Premio per il Migliore Artista Giovane nella Cairo International Sculpture Biennale (1998), il primo premio per la scultura al 10° Salon of Youth (1999) e dove attualmente lavora con la più aperta e importante Galleria del Cairo, Townhouse (anche se ha partecipato ad alcune importanti mostre internazionali, come Cairo Modern Art in Holland nel 2001).
Il lavoro di Askalany è forse l’unico che mantenga una connessione esplicita con forme e materiali tradizionali ma risponda alla complessità e pregnanza del discorso artistico contemporaneo; il legame con gli elementi tradizionali, che per altri sarebbero un limite espressivo, una forma di naivitè, per lui sono connessioni intime e vitali a radici che lo rendono unico e inconfondibile; ma che non gli impediscono, al tempo stesso, di essere attuale. Da questo punto di vista, le opere del giovane nubiano sono fra le poche che potrebbero rispondere ai criteri di selezione invocati da Jean Hubert Martin ai tempi di Magiciens de la Terre: fondate precisamente sull’assunzione di una tecnica antica, extra-artistica, cui viene conferita una nuova e incisiva capacità di produzione di senso e di valore estetico attraverso un’interpretazione assolutamente personale.
Nei lavori più recenti, sculture in resina accompagnate da dipinti, l’artista conferisce maggiore centralità allo stile rispetto al racconto, dilatando le figure fino a proporzioni del tutto innaturali, corpi grossi senza testa, scenette triviali o banali nate a illustrazione di proverbi, entità interamente determinate da un loro gesto da un atto, da uno scarto di posizione o di equilibrio che le distingue dalle altre. Al profondo e quasi metafisico silenzio di certe installazioni di qualche anno fa, specialmente degli uomini in preghiera le cui proporzioni massicce nulla toglievano all’eleganza dell’insieme, subentra qui un linguaggio volutamente scurrile e un’esecuzione corsiva e animata, talora caricaturale. Il piccolo, originale esercito dei personaggi di Askalany s’incammina verso il futuro apparentemente senza troppa responsabilità, probabilmente incoscienti delle mutazioni in atto, insomma senza testa o con una testolina troppo piccola per pensare. Metafora trasparente di una condizione pericolosamente diffusa nel nostro tempo.
Testo critico di Martina Corgnati
Ahmed Askalany (1978), nato in un villaggio nubiano nel sud dell’Egitto e trasferito al Cairo nel 1995, è senz’altro uno degli artisti egiziani più originali delle ultime generazioni senza per questo aver mai perduto il contatto con le sue radici.
Il suo lavoro, in resina, ceramica o foglie di palma intrecciate secondo una tecnica artigianale antica, usata da sempre nei villaggi per produrre canestri e oggetti “poveri”, elude le prerogative auliche della scultura, il suo legame con il bronzo e la pietra, le sue aspettative di eternità; ma mantiene forme plastiche tradizionali, il senso della modellazione, del volume, della rappresentazione. Soggetti tipici del giovane artista, formatosi come ceramista al Cairo, sono animali oppure figure umane cui l’uso delle foglie intrecciate conferisce un aspetto imbalsamato, da mummie. L’abilità di Askalany è però quella di cogliere un attimo, un gesto, un atteggiamento sempre profondamente naturale e “vero” dei suoi soggetti e di metterlo in scena con una specie di candore e, qualche volta, di pungente ironia. Nelle installazioni recenti il ritratto della vita rurale assume la complessità di una piccola scena teatrale, mentre alcune terrecotte a lustro, gatti soprattutto, di piccole dimensioni e qualche semplificazione geometrica, ricordano le prime opere figurative della Nevelson (anni trenta), anch’esse raffiguranti spesso felini e piccoli animali. Dubito però che Askalany conosca questi lavori della grande scultrice americana: la sua traiettoria culturale è rimasta fino a un passato molto recente tutta interna all’Egitto, dove si è conquistato una reputazione vincendo il Premio per il Migliore Artista Giovane nella Cairo International Sculpture Biennale (1998), il primo premio per la scultura al 10° Salon of Youth (1999) e dove attualmente lavora con la più aperta e importante Galleria del Cairo, Townhouse (anche se ha partecipato ad alcune importanti mostre internazionali, come Cairo Modern Art in Holland nel 2001).
Il lavoro di Askalany è forse l’unico che mantenga una connessione esplicita con forme e materiali tradizionali ma risponda alla complessità e pregnanza del discorso artistico contemporaneo; il legame con gli elementi tradizionali, che per altri sarebbero un limite espressivo, una forma di naivitè, per lui sono connessioni intime e vitali a radici che lo rendono unico e inconfondibile; ma che non gli impediscono, al tempo stesso, di essere attuale. Da questo punto di vista, le opere del giovane nubiano sono fra le poche che potrebbero rispondere ai criteri di selezione invocati da Jean Hubert Martin ai tempi di Magiciens de la Terre: fondate precisamente sull’assunzione di una tecnica antica, extra-artistica, cui viene conferita una nuova e incisiva capacità di produzione di senso e di valore estetico attraverso un’interpretazione assolutamente personale.
Nei lavori più recenti, sculture in resina accompagnate da dipinti, l’artista conferisce maggiore centralità allo stile rispetto al racconto, dilatando le figure fino a proporzioni del tutto innaturali, corpi grossi senza testa, scenette triviali o banali nate a illustrazione di proverbi, entità interamente determinate da un loro gesto da un atto, da uno scarto di posizione o di equilibrio che le distingue dalle altre. Al profondo e quasi metafisico silenzio di certe installazioni di qualche anno fa, specialmente degli uomini in preghiera le cui proporzioni massicce nulla toglievano all’eleganza dell’insieme, subentra qui un linguaggio volutamente scurrile e un’esecuzione corsiva e animata, talora caricaturale. Il piccolo, originale esercito dei personaggi di Askalany s’incammina verso il futuro apparentemente senza troppa responsabilità, probabilmente incoscienti delle mutazioni in atto, insomma senza testa o con una testolina troppo piccola per pensare. Metafora trasparente di una condizione pericolosamente diffusa nel nostro tempo.
26
gennaio 2007
Ahmed Askalany – A Good Body for a Better Sanity
Dal 26 gennaio al 15 marzo 2007
giovane arte
Location
DIMA ART&DESIGN
Vimercate, Via Crocefisso, 2A/B, (Monza E Brianza)
Vimercate, Via Crocefisso, 2A/B, (Monza E Brianza)
Orario di apertura
da lunedì a sabato dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.30
Vernissage
26 Gennaio 2007, ore 17-21
Autore
Curatore