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Akio Suzuki – Hana / Otodate in Torino
Akio Suzuki si muove sul confine tra la dimensione sonora e quella visiva della ricerca artistica
Comunicato stampa
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Akio Suzuki si muove sul confine tra la dimensione sonora e quella visiva della ricerca artistica. Pur essendo il suo lavoro profondamente legato a certi canoni della sua cultura originaria, egli si sente peraltro attratto da quella occidentale, nell'ambito della quale si muove con l'animo dell'esploratore curioso. Spinto dal desiderio di conoscere un mondo altro da sè, lo guarda ed esperisce però sempre con un approccio determinato dalla propria cultura, che si manifesta in lui soprattutto con un sentimento di forte appartenenza alla natura ("Nature is my teacher..").
E i suoi percorsi otodate, che traccia in modo erratico ed effimero all'interno delle città (Berlino, Parigi, Torino ora..) fermandosi di tanto in tanto per segnare certi luoghi scelti in virtù delle loro caratteristiche acustico-visive, sono veramente la rappresentazione migliore di questo approccio.
Otodate è un termine giapponese, e gli ideogrammi da cui è formato significano rispettivamente 'ascoltare' (oto) e 'punto' (date), 'punto d'ascolto' quindi. Tracciando sull'asfalto, sulla pietra, o su qualsiasi supporto solido un segno circolare in cui sono inscritte due figure speculari che rappresentano insieme due orecchi e l'impronta di due piedi umani, Akio designa la sede di un'esperienza, letteralmente, eccezionale, per chiunque, fermando il suo cammino, appoggi i piedi sui due segni nel cerchio: una momentanea eccezione all'abituale fruizione dello spazio-tempo circostante, che lo/la metterà in grado di percepire, con gli occhi e con le orecchie, il mondo in un modo nuovo. E tale esperienza può essere ancora più forte e conturbante quando quella parte di mondo è nota al fruitore, che la conosce in un certo modo da tempo, e ora può vederla e sentirla, in un modo del tutto nuovo, vederla e sentirla per la prima volta...
Lavoro altrettanto semplice, in apparenza, e conturbante, "Hana" ('fiori' in giapponese) si mette a sua volta in relazione con lo spazio, in questo caso lo spazio della galleria. Questo diventa, allo stesso modo dei luoghi del paesaggio prescelti in "Otodate", il vero protagonista dell'opera, come se l'oggetto costruito dall'artista (o il segno tracciato in "Otodate") agisse allo stesso modo di una leva, usata per mettere in moto un meccanismo di trasfigurazione dello spazio stesso, che diventa anormale, viene cioè mostrato in una forma che l'esperienza ordinaria tende a nascondere, e a sottrarci quindi. Così, un basamento in legno, bianco, di forma essenziale, viene posto al centro dello spazio, con un vaso di ceramica bianca, di forma altrettanto semplice, che lo sormonta, un mazzo di fiori recisi infilati nella sua stretta imboccatura. Nient'altro che questi pochi elementi raggruppati al centro dello spazio, che non appare però realmente vuoto, o meglio è il vuoto intorno ad essi che ci appare di un segno diverso dalla nostra (di noi occidentali) abituale percezione di questa particolare condizione, molto più attivo, molto più teso e carico di una vitalità immanente, in grado di dialogare con l'immagine dei fiori nel vaso.
Akio definisce "Hana" un lavoro sonoro, intendendo alludere così a un fenomeno a lui ben noto, e cruciale per intendere la sua personale estetica, quello dell'eco, esperito per la prima volta nella sua giovinezza in certi luoghi di Tango, in Giappone. Si getta un grido nello spazio, modificandolo così per un poco (modificando la percezione che ne abbiamo) e quel grido ci tornerà indietro dopo pochi attimi, descrivendo così nel suo percorso di andata e ritorno la forma e la natura di quello spazio in quel particolare momento.
Anche a Torino (come nel 1997 a Saarbruecken), per ogni giorno di apertura della mostra, il 'fenomeno sonoro' rappresentato in "Hana" verrà rinnovato sostituendo il mazzo di fiori recisi del giorno prima con uno nuovo.
E i suoi percorsi otodate, che traccia in modo erratico ed effimero all'interno delle città (Berlino, Parigi, Torino ora..) fermandosi di tanto in tanto per segnare certi luoghi scelti in virtù delle loro caratteristiche acustico-visive, sono veramente la rappresentazione migliore di questo approccio.
Otodate è un termine giapponese, e gli ideogrammi da cui è formato significano rispettivamente 'ascoltare' (oto) e 'punto' (date), 'punto d'ascolto' quindi. Tracciando sull'asfalto, sulla pietra, o su qualsiasi supporto solido un segno circolare in cui sono inscritte due figure speculari che rappresentano insieme due orecchi e l'impronta di due piedi umani, Akio designa la sede di un'esperienza, letteralmente, eccezionale, per chiunque, fermando il suo cammino, appoggi i piedi sui due segni nel cerchio: una momentanea eccezione all'abituale fruizione dello spazio-tempo circostante, che lo/la metterà in grado di percepire, con gli occhi e con le orecchie, il mondo in un modo nuovo. E tale esperienza può essere ancora più forte e conturbante quando quella parte di mondo è nota al fruitore, che la conosce in un certo modo da tempo, e ora può vederla e sentirla, in un modo del tutto nuovo, vederla e sentirla per la prima volta...
Lavoro altrettanto semplice, in apparenza, e conturbante, "Hana" ('fiori' in giapponese) si mette a sua volta in relazione con lo spazio, in questo caso lo spazio della galleria. Questo diventa, allo stesso modo dei luoghi del paesaggio prescelti in "Otodate", il vero protagonista dell'opera, come se l'oggetto costruito dall'artista (o il segno tracciato in "Otodate") agisse allo stesso modo di una leva, usata per mettere in moto un meccanismo di trasfigurazione dello spazio stesso, che diventa anormale, viene cioè mostrato in una forma che l'esperienza ordinaria tende a nascondere, e a sottrarci quindi. Così, un basamento in legno, bianco, di forma essenziale, viene posto al centro dello spazio, con un vaso di ceramica bianca, di forma altrettanto semplice, che lo sormonta, un mazzo di fiori recisi infilati nella sua stretta imboccatura. Nient'altro che questi pochi elementi raggruppati al centro dello spazio, che non appare però realmente vuoto, o meglio è il vuoto intorno ad essi che ci appare di un segno diverso dalla nostra (di noi occidentali) abituale percezione di questa particolare condizione, molto più attivo, molto più teso e carico di una vitalità immanente, in grado di dialogare con l'immagine dei fiori nel vaso.
Akio definisce "Hana" un lavoro sonoro, intendendo alludere così a un fenomeno a lui ben noto, e cruciale per intendere la sua personale estetica, quello dell'eco, esperito per la prima volta nella sua giovinezza in certi luoghi di Tango, in Giappone. Si getta un grido nello spazio, modificandolo così per un poco (modificando la percezione che ne abbiamo) e quel grido ci tornerà indietro dopo pochi attimi, descrivendo così nel suo percorso di andata e ritorno la forma e la natura di quello spazio in quel particolare momento.
Anche a Torino (come nel 1997 a Saarbruecken), per ogni giorno di apertura della mostra, il 'fenomeno sonoro' rappresentato in "Hana" verrà rinnovato sostituendo il mazzo di fiori recisi del giorno prima con uno nuovo.
23
febbraio 2006
Akio Suzuki – Hana / Otodate in Torino
Dal 23 febbraio al 25 marzo 2006
arte contemporanea
serata - evento
serata - evento
Location
E/STATIC > BLANK
Torino, Via Parma, 31, (Torino)
Torino, Via Parma, 31, (Torino)
Orario di apertura
mer/sab 16/19
Vernissage
23 Febbraio 2006, ore 18
Sito web
www.akiosuzuki.com
Autore