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Al di là del muro. Scatti oltre la cortina di ferro
La mostra è divisa in 5 sezioni tematiche: “Persone e colori”, “Socialismo e regime”, “In viaggio”, “La città”, “La serie blu”. Nelle 81 immagini esposte, il grande assente è proprio il Muro, eppure la sua presenza in qualche modo si intuisce.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“Cortina di ferro si definiva in Occidente la linea di confine che, come una barriera, divideva l’Europa in due
zone ben separate di visione politica, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine della cosiddetta
“guerra fredda”. Durante questo periodo per oltre quarant’anni, dal 1945 al 1989, l’Europa orientale stava
sotto il controllo politico e l’influenza della Unione Sovietica, mentre l’Europa occidentale ricadeva sotto
l’influsso degli Stati Uniti d’America. Degli USA, della loro storia e prospettive, come pure dell’Europa
dell’Ovest, era facile avere una chiara conoscenza. Non così dell’URSS e dell’Europa dell’Est.” (Paolo Ferloni)
La mostra è divisa in 5 sezioni tematiche: “Persone e colori”, “Socialismo e regime”, “In viaggio”, “La città”,
“La serie blu”. Nelle 81 immagini esposte, il grande assente è proprio il Muro, eppure la sua presenza in
qualche modo si intuisce. Forse perché, paragonando le immagini alle nostre esperienze estetiche
occidentali, si notano alcune differenze vistose: gli abiti, le vetture, i palazzi, il paesaggio dell’uomo. La
nostra mente è spinta a immaginare un confine tra i costumi europei occidentali e orientali, ed il Muro, per
anni, ha incarnato quel confine immaginario, contribuendo a rendere più eclatanti, ed in alcuni casi più
esagerate, le normali differenze etnografiche. Se però, oggi, da osservatori di queste immagini, riusciamo
ad andare oltre questa percezione, troveremo molti, moltissimi elementi di similitudine tra la quotidianità
della vita “dell’Est” e la nostra.
Le foto esposte provengono da raccolte di diapositive private che i curatori hanno trovato in vecchi
mercatini sparsi un po’ ovunque, da Bratislava a Timisoara, talvolta chiedendole alle persone che le
avevano in casa in vecchi scatoloni abbandonati: merce ormai senza valore che non destava più interesse.
“Ero curioso di vedere come si viveva quando il Muro era ancora su, come erano i luoghi e le vite delle
persone. Ho iniziato a passare lunghe notti scansionando, dopo il mio lavoro, migliaia di immagini e
catalogandole in base alle “collezioni” acquisite. Ero attratto non tanto dalle solite immagini dei palazzi del
centro, delle chiese e delle pinacoteche, di cui vi sono immagini ovunque e che sono sempre le stesse da
secoli. Cercavo nelle immagini i colori e le atmosfere che avevo sentito nei miei viaggi, e la cosa incredibile è
che le ritrovavo: per questo la scelta di queste immagini è estetica ma anche fortemente “sentimentale” se
mi si può passare il termine. Per questo le immagini hanno i loro colori originali e le loro “impurità”
mantenute”. (Alessandro Cini)
Le città a Est hanno sempre comunicato il loro ampio respiro, insistono su luoghi molto più ampi rispetto ai
nostri e dopo la guerra questi spazi si sono dilatati per fare spazio alle costruzioni socialiste. I primi anni
dopo la caduta del muro erano città silenziose, molto sicure perché non era arrivata in maniera diffusa lo
spaccio e la delinquenza (vi erano, sia ben chiaro, ma ai livelli alti) ma al tempo stesso deserte e
malinconiche. Lo si vede chiaramente nelle immagini, spazio e poche persone, luoghi quasi metafisici, che
contrastano la vitalità dei centri storici urbani, dove invece ferve la vita e l’attività di tutti i giorni.
I colori nelle persone e nelle decorazioni, vivaci, forti e geometrici, spariscono giorno dopo giorno per
lasciare posto ad un design ormai globale che lascia davvero poco spazio alla fantasia. Nelle immagini
recuperate si trova quel mondo di colori sgargianti che decorava carte da parati interne di uffici e
appartamenti e che ora sopravvive in pochi hotel di terz’ordine sulle strade meno battute. I colori accesi si
ritrovano nei vestiti, sia quelli tradizionali che quelli dei giovani, e riempiono i mercatini dove gran parte
delle persone andava ad acquistarli.
I veicoli, squadrati, essenziali e spartani, che continuano a viaggiare con una media di 30/40 anni di vita
sempre più migrando a Est - nelle ex Repubbliche dell’Asia Centrale e in Siberia - come ai tempi dei Cosacchi
che colonizzarono la Siberia in un’epopea simile e inversa a quella del West. Nelle immagini le loro
geometrie squadrate sembrano studiate per inserirsi nelle architetture, parte di uno stesso mondo,
disegnato dopo la guerra a tavolino.
E poi c’è il freddo, che nulla ha a che fare la geopolitica, ma che a Est è il grande comune denominatore.
Alcune diapositive hanno virato il colore in blu, le ho trovate ancora più affascinanti, nel comunicare le
sensazioni estreme che raccontano. Il calore degli ambienti domestici, il gioco e i colori caldi dei giochi
bambini negli asili, fanno da contrasto ad un ambiente ostile e glaciale, in cui sparute figure umane si
muovono tra vecchi palazzi e chiese sontuose, in una atmosfera ovattata in cui pare dominare il silenzio.
Ma il vero protagonista di queste immagini alla fine è sempre lui, il viaggio, al centro per forza di cose di
ogni mostra fotografica che parli di luoghi. Viaggio voleva dire fatica per chi voleva muoversi, sia verso
Occidente che all’interno degli stessi paesi: lunghi spostamenti in autobus che finivano spesso per rompersi
per strada, code di decine di ore fermi alle dogane invase da camion, auto ferme a riprendere fiato sui passi
del Carpazi per strade troppo ripide e motori troppo antiquati. Che erano poi le fatiche dei primi viaggiatori
occidentali che andavano oltre il Muro dopo il 1989 e decidevano di muoversi via terra.
La mostra è strettamente legata al progetto DIA+: al recupero di vecchie diapositive destinate a finire nel
bidone dell’immondizia. I curatori hanno lavorato immaginando continuamente le vite dei fotografi che
hanno realizzato questi scatti. Cosa avrebbero voluto comunicare con queste immagini, erano semplici
ricordi, qualcuno era un professionista? “Sfortunatamente non conosciamo il nome degli autori delle
immagini, sappiamo che alcune appartengono ad un serie di diapositive con scopi educativi che venivano
proiettate nelle scuole. Delle altre però, è stato già difficile riuscire a collocarle geograficamente e trovarle
una corretta scansione temporale. Inevitabilmente la mostra va apprezzata nel suo insieme per coglierne la
forza, è un progetto ampio e ogni singola immagine è stata scelta accuratamente tra decine e decine di
altrettanto interessanti, con l’obiettivo di costruire questa spaccato visivo sull’Est.” (Stefano Menegon)
DIA + > IL PROGETTO
DIA+ è un progetto di raccolta e conservazione di materiale fotografico su diapositiva proveniente da ogni
parte del mondo. Uno dei principali obiettivi di DIA+ è la diffusione del materiale raccolto e lo strumento
principale che ama usare è quella delle mostre. Costantemente al lavoro per digitalizzare e catalogare il
materiale raccolto e per organizzarlo in filoni tematici che possano interessare un pubblico di appassionati
amanti della fotografia o di semplici curiosi.
Il materiale non è proviene da importanti collezioni e non è stato realizzato da famosi fotografi. Per Dia+
sono proprio questi due aspetti a donare alle diapositive un valore importante. Ritraggono nella maggior
parte dei casi scene di vita comune o momenti di quotidianità delle persone normali e sono quindi
eccezionali spaccati di vita che sanno riportarci indietro nel tempo di diverse decine di anni. Tutto il
materiale è attentamente selezionato sulla base di due criteri principali:
- Valore estetico: il materiale selezionato deve prima di tutto essere esteticamente interessante.
- Valore storico: premiamo le fotografie che ci raccontano qualcosa che non esiste più o che è
profondamente cambiato nel tempo. Questo cambiamento può riguardare anche beni immateriali come gli
usi e i costumi di una società.
zone ben separate di visione politica, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine della cosiddetta
“guerra fredda”. Durante questo periodo per oltre quarant’anni, dal 1945 al 1989, l’Europa orientale stava
sotto il controllo politico e l’influenza della Unione Sovietica, mentre l’Europa occidentale ricadeva sotto
l’influsso degli Stati Uniti d’America. Degli USA, della loro storia e prospettive, come pure dell’Europa
dell’Ovest, era facile avere una chiara conoscenza. Non così dell’URSS e dell’Europa dell’Est.” (Paolo Ferloni)
La mostra è divisa in 5 sezioni tematiche: “Persone e colori”, “Socialismo e regime”, “In viaggio”, “La città”,
“La serie blu”. Nelle 81 immagini esposte, il grande assente è proprio il Muro, eppure la sua presenza in
qualche modo si intuisce. Forse perché, paragonando le immagini alle nostre esperienze estetiche
occidentali, si notano alcune differenze vistose: gli abiti, le vetture, i palazzi, il paesaggio dell’uomo. La
nostra mente è spinta a immaginare un confine tra i costumi europei occidentali e orientali, ed il Muro, per
anni, ha incarnato quel confine immaginario, contribuendo a rendere più eclatanti, ed in alcuni casi più
esagerate, le normali differenze etnografiche. Se però, oggi, da osservatori di queste immagini, riusciamo
ad andare oltre questa percezione, troveremo molti, moltissimi elementi di similitudine tra la quotidianità
della vita “dell’Est” e la nostra.
Le foto esposte provengono da raccolte di diapositive private che i curatori hanno trovato in vecchi
mercatini sparsi un po’ ovunque, da Bratislava a Timisoara, talvolta chiedendole alle persone che le
avevano in casa in vecchi scatoloni abbandonati: merce ormai senza valore che non destava più interesse.
“Ero curioso di vedere come si viveva quando il Muro era ancora su, come erano i luoghi e le vite delle
persone. Ho iniziato a passare lunghe notti scansionando, dopo il mio lavoro, migliaia di immagini e
catalogandole in base alle “collezioni” acquisite. Ero attratto non tanto dalle solite immagini dei palazzi del
centro, delle chiese e delle pinacoteche, di cui vi sono immagini ovunque e che sono sempre le stesse da
secoli. Cercavo nelle immagini i colori e le atmosfere che avevo sentito nei miei viaggi, e la cosa incredibile è
che le ritrovavo: per questo la scelta di queste immagini è estetica ma anche fortemente “sentimentale” se
mi si può passare il termine. Per questo le immagini hanno i loro colori originali e le loro “impurità”
mantenute”. (Alessandro Cini)
Le città a Est hanno sempre comunicato il loro ampio respiro, insistono su luoghi molto più ampi rispetto ai
nostri e dopo la guerra questi spazi si sono dilatati per fare spazio alle costruzioni socialiste. I primi anni
dopo la caduta del muro erano città silenziose, molto sicure perché non era arrivata in maniera diffusa lo
spaccio e la delinquenza (vi erano, sia ben chiaro, ma ai livelli alti) ma al tempo stesso deserte e
malinconiche. Lo si vede chiaramente nelle immagini, spazio e poche persone, luoghi quasi metafisici, che
contrastano la vitalità dei centri storici urbani, dove invece ferve la vita e l’attività di tutti i giorni.
I colori nelle persone e nelle decorazioni, vivaci, forti e geometrici, spariscono giorno dopo giorno per
lasciare posto ad un design ormai globale che lascia davvero poco spazio alla fantasia. Nelle immagini
recuperate si trova quel mondo di colori sgargianti che decorava carte da parati interne di uffici e
appartamenti e che ora sopravvive in pochi hotel di terz’ordine sulle strade meno battute. I colori accesi si
ritrovano nei vestiti, sia quelli tradizionali che quelli dei giovani, e riempiono i mercatini dove gran parte
delle persone andava ad acquistarli.
I veicoli, squadrati, essenziali e spartani, che continuano a viaggiare con una media di 30/40 anni di vita
sempre più migrando a Est - nelle ex Repubbliche dell’Asia Centrale e in Siberia - come ai tempi dei Cosacchi
che colonizzarono la Siberia in un’epopea simile e inversa a quella del West. Nelle immagini le loro
geometrie squadrate sembrano studiate per inserirsi nelle architetture, parte di uno stesso mondo,
disegnato dopo la guerra a tavolino.
E poi c’è il freddo, che nulla ha a che fare la geopolitica, ma che a Est è il grande comune denominatore.
Alcune diapositive hanno virato il colore in blu, le ho trovate ancora più affascinanti, nel comunicare le
sensazioni estreme che raccontano. Il calore degli ambienti domestici, il gioco e i colori caldi dei giochi
bambini negli asili, fanno da contrasto ad un ambiente ostile e glaciale, in cui sparute figure umane si
muovono tra vecchi palazzi e chiese sontuose, in una atmosfera ovattata in cui pare dominare il silenzio.
Ma il vero protagonista di queste immagini alla fine è sempre lui, il viaggio, al centro per forza di cose di
ogni mostra fotografica che parli di luoghi. Viaggio voleva dire fatica per chi voleva muoversi, sia verso
Occidente che all’interno degli stessi paesi: lunghi spostamenti in autobus che finivano spesso per rompersi
per strada, code di decine di ore fermi alle dogane invase da camion, auto ferme a riprendere fiato sui passi
del Carpazi per strade troppo ripide e motori troppo antiquati. Che erano poi le fatiche dei primi viaggiatori
occidentali che andavano oltre il Muro dopo il 1989 e decidevano di muoversi via terra.
La mostra è strettamente legata al progetto DIA+: al recupero di vecchie diapositive destinate a finire nel
bidone dell’immondizia. I curatori hanno lavorato immaginando continuamente le vite dei fotografi che
hanno realizzato questi scatti. Cosa avrebbero voluto comunicare con queste immagini, erano semplici
ricordi, qualcuno era un professionista? “Sfortunatamente non conosciamo il nome degli autori delle
immagini, sappiamo che alcune appartengono ad un serie di diapositive con scopi educativi che venivano
proiettate nelle scuole. Delle altre però, è stato già difficile riuscire a collocarle geograficamente e trovarle
una corretta scansione temporale. Inevitabilmente la mostra va apprezzata nel suo insieme per coglierne la
forza, è un progetto ampio e ogni singola immagine è stata scelta accuratamente tra decine e decine di
altrettanto interessanti, con l’obiettivo di costruire questa spaccato visivo sull’Est.” (Stefano Menegon)
DIA + > IL PROGETTO
DIA+ è un progetto di raccolta e conservazione di materiale fotografico su diapositiva proveniente da ogni
parte del mondo. Uno dei principali obiettivi di DIA+ è la diffusione del materiale raccolto e lo strumento
principale che ama usare è quella delle mostre. Costantemente al lavoro per digitalizzare e catalogare il
materiale raccolto e per organizzarlo in filoni tematici che possano interessare un pubblico di appassionati
amanti della fotografia o di semplici curiosi.
Il materiale non è proviene da importanti collezioni e non è stato realizzato da famosi fotografi. Per Dia+
sono proprio questi due aspetti a donare alle diapositive un valore importante. Ritraggono nella maggior
parte dei casi scene di vita comune o momenti di quotidianità delle persone normali e sono quindi
eccezionali spaccati di vita che sanno riportarci indietro nel tempo di diverse decine di anni. Tutto il
materiale è attentamente selezionato sulla base di due criteri principali:
- Valore estetico: il materiale selezionato deve prima di tutto essere esteticamente interessante.
- Valore storico: premiamo le fotografie che ci raccontano qualcosa che non esiste più o che è
profondamente cambiato nel tempo. Questo cambiamento può riguardare anche beni immateriali come gli
usi e i costumi di una società.
30
novembre 2019
Al di là del muro. Scatti oltre la cortina di ferro
Dal 30 novembre 2019 al 06 gennaio 2020
fotografia
Location
MUSEO DEL PAESAGGIO – CASA CERETTI
Verbania, Via Roma, 42 , (Verbano-cusio-ossola)
Verbania, Via Roma, 42 , (Verbano-cusio-ossola)
Orario di apertura
giovedì 14.30-17.30, sabato 10.00-12.30/ 14.30-17.30, domenica 14.30-17.30
Vernissage
30 Novembre 2019, ore 18
Curatore