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Alberto Ghinzani – Simulacri del vuoto, in attesa dell’ umano
Di Alberto Ghinzani vengono presentati una cinquantina tra sculture e disegni, realizzati in anni tra i più significativi nel percorso dell’artista: gli anni Settanta e la prima metà di quelli Ottanta.
Comunicato stampa
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La Galleria Marini, dopo le esposizioni dedicate a Bernardino Luino, Enrico Della Torre, Walter Valentini, prosegue la sua esplorazione su alcune delle più intense esperienze artistiche milanesi del dopoguerra con la mostra di Alberto Ghinzani (Valle Lomellina, 1939), residente e attivo fin dagli anni Cinquanta a Milano, dove frequenta prima il Liceo e poi l’Accademia di Brera (segue il corso di Marino Marini, del quale è assistente Alik Cavaliere) e tiene la mostra personale d’esordio nel 1966 alla Galleria delle Ore, presentato in catalogo di Mario De Micheli. Successivamente, Ghinzani darà vita a cicli di opere che continuamente cercano di innovare le sue modalità espressive, sperimenterà nuovi materiali e l’utilizzo del colore, ed esporrà in mostre personali e di gruppo in Italia e all’estero, ottenendo riconoscimenti e apprezzamenti diffusi, come testimonia del resto l’attenzione di storici e critici dell’arte.
Di Alberto Ghinzani vengono presentati una cinquantina tra sculture e disegni, realizzati in anni tra i più significativi nel percorso dell’artista: gli anni Settanta e la prima metà di quelli Ottanta. Scrive Sandro Parmiggiani, autore del testo di presentazione in catalogo, dei lavori di quel periodo: “Ghinzani dà vita a opere che, derivate dall’osservazione diretta della natura o tratte dai propri archivi della memoria, traghettano nel recinto della scultura suggestioni e grumi di memoria che, nel crogiolo del divenire del fatto scultoreo, assumono le sembianze di opere senza volume, simulacri di forme in cui ciò che conta è il vuoto (La forma del vuoto è il titolo di una delle sculture in mostra…). Ghinzani, dunque, non copia né riproduce la natura: essa, come per Germaine Richier, è l’origine di tutto, il lievito che consente allo scultore di fare un salto creativo, di vacare la soglia di una nuova dimensione, diventando da essa “indipendente”, in cui l’osservazione della natura ha portato a intuire ritmi e spazi, a ideare forme e volumi che si svolgono sull’asse verticale (Stele) e su quello orizzontale. Ghinzani non è dunque uno scultore naturalista che modella in modo tradizionale, cercando di riprodurre quello che vede, e tuttavia le sue opere degli anni Settanta sono pervase dal respiro di un’allusione a quello che la natura, e il lavoro dell’uomo, lasciano dietro di sé nel fluire del tempo e nello svolgersi delle esistenze; del resto, le opere dell’artista, sempre hanno puntato a farsi metafora e allegoria della condizione umana, anche quando essa si dà come assenza.”
Ghinzani adotta, nella realizzazione di quelle opere, una tecnica particolare con la quale si può creare solo un esemplare: utilizza in prevalenza materiali (rami, rovi, legni, carte, cartoni ondulati, fasce, polistirolo, di cui è ben nota la duttilità) nella loro immediata autenticità, anche perché intende riprodurne le superfici rugose e l’essenza che caratterizzano certe forme ricurve o svettanti, riveste con la cera quei materiali, talvolta ne modella certe sembianze con la cera stessa, e poi fonde il tutto in bronzo, dunque sempre secondo il procedimento della scultura a cera persa, trasformando, attraverso la combustione, l’eterogeneità dei materiali di partenza, in una struttura uniforme, in cui, dei materiali originari, solo resta la superficie, dopo avere immolato sull’altare dell’opera quei reperti, in un processo che ha qualche cosa a che fare con i riti sacrificali. Si tratta di una modalità di produzione che ricorda quello già usato da Julio Gonzáles negli ultimi anni Venti, quello adottato da Germaine Richier che utilizzava, accanto alle forme da lei modellate, rami d’albero e foglie, e quello di César negli anni Cinquanta, quando impiegava frammenti di ferro reperiti nei depositi di rottami e utilizzava la saldatura per connetterli.
La mostra, che s’inaugura giovedì 3 ottobre alle ore 18 e che resterà aperta fino al 30 novembre 2013, è accompagnata da un catalogo, con saggio di Sandro Parmiggiani, la riproduzione di tutte le opere in mostra e gli apparati bio-bibliografici.
Di Alberto Ghinzani vengono presentati una cinquantina tra sculture e disegni, realizzati in anni tra i più significativi nel percorso dell’artista: gli anni Settanta e la prima metà di quelli Ottanta. Scrive Sandro Parmiggiani, autore del testo di presentazione in catalogo, dei lavori di quel periodo: “Ghinzani dà vita a opere che, derivate dall’osservazione diretta della natura o tratte dai propri archivi della memoria, traghettano nel recinto della scultura suggestioni e grumi di memoria che, nel crogiolo del divenire del fatto scultoreo, assumono le sembianze di opere senza volume, simulacri di forme in cui ciò che conta è il vuoto (La forma del vuoto è il titolo di una delle sculture in mostra…). Ghinzani, dunque, non copia né riproduce la natura: essa, come per Germaine Richier, è l’origine di tutto, il lievito che consente allo scultore di fare un salto creativo, di vacare la soglia di una nuova dimensione, diventando da essa “indipendente”, in cui l’osservazione della natura ha portato a intuire ritmi e spazi, a ideare forme e volumi che si svolgono sull’asse verticale (Stele) e su quello orizzontale. Ghinzani non è dunque uno scultore naturalista che modella in modo tradizionale, cercando di riprodurre quello che vede, e tuttavia le sue opere degli anni Settanta sono pervase dal respiro di un’allusione a quello che la natura, e il lavoro dell’uomo, lasciano dietro di sé nel fluire del tempo e nello svolgersi delle esistenze; del resto, le opere dell’artista, sempre hanno puntato a farsi metafora e allegoria della condizione umana, anche quando essa si dà come assenza.”
Ghinzani adotta, nella realizzazione di quelle opere, una tecnica particolare con la quale si può creare solo un esemplare: utilizza in prevalenza materiali (rami, rovi, legni, carte, cartoni ondulati, fasce, polistirolo, di cui è ben nota la duttilità) nella loro immediata autenticità, anche perché intende riprodurne le superfici rugose e l’essenza che caratterizzano certe forme ricurve o svettanti, riveste con la cera quei materiali, talvolta ne modella certe sembianze con la cera stessa, e poi fonde il tutto in bronzo, dunque sempre secondo il procedimento della scultura a cera persa, trasformando, attraverso la combustione, l’eterogeneità dei materiali di partenza, in una struttura uniforme, in cui, dei materiali originari, solo resta la superficie, dopo avere immolato sull’altare dell’opera quei reperti, in un processo che ha qualche cosa a che fare con i riti sacrificali. Si tratta di una modalità di produzione che ricorda quello già usato da Julio Gonzáles negli ultimi anni Venti, quello adottato da Germaine Richier che utilizzava, accanto alle forme da lei modellate, rami d’albero e foglie, e quello di César negli anni Cinquanta, quando impiegava frammenti di ferro reperiti nei depositi di rottami e utilizzava la saldatura per connetterli.
La mostra, che s’inaugura giovedì 3 ottobre alle ore 18 e che resterà aperta fino al 30 novembre 2013, è accompagnata da un catalogo, con saggio di Sandro Parmiggiani, la riproduzione di tutte le opere in mostra e gli apparati bio-bibliografici.
03
ottobre 2013
Alberto Ghinzani – Simulacri del vuoto, in attesa dell’ umano
Dal 03 ottobre al 30 novembre 2013
arte contemporanea
Location
GALLERIA MARINI
Milano, Via Andrea Appiani, 12, (Milano)
Milano, Via Andrea Appiani, 12, (Milano)
Orario di apertura
lun-ven: 15,30 -19,30
sab: 10,30-12,30 e 15,30-19,30
Vernissage
3 Ottobre 2013, ore 18.00
Autore
Curatore