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Alberto Zanchetta – Cranioscopia
Mostra ispirata dal libro di Alberto Zanchetta, “Frenologia della vanitas”. Un saggio sul teschio nelle arti visive. In mostra opere provenienti dalla collezione personale di Zanchetta insieme a quelle di artisti contemporanei.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Martedì 21 febbraio si inaugurerà alla galleria Rubin di Milano un progetto curatoriale di
Alberto Zanchetta che si propone di indagare la genesi e le derivazioni del libro “Frenologia
della vanitas” pubblicato lo scorso aprile dalla casa editrice Johan&Levi. Non quindi una
semplice mostra di opere, bensì un approfondimento e un “accanimento terapeutico” che
intende sondare la mente dell’autore, o più precisamente: il suo cranio.
«La verità è nuda; ma sotto il nudo c’è lo scorticato». Prestando fede alle parole di Valéry, Alberto
Zanchetta ha inteso emanciparsi dalla carne per ridursi a “corpo secco”, ossia all’eso-scheletro sul
quale ha costruito il suo libro “Frenologia della vanitas”. Intorno al proprio saggio critico è andato
elaborando un progetto che non ha un carattere meramente informativo o espositivo, bensì
intende sviscerare l’optima pars dello scheletro, quel teschio che l’ha tenuto impegnato negli ultimi
dieci anni della sua vita.
Critico d’arte e curatore indipendente, Zanchetta è stato definito un «architetto del linguaggio
curatoriale», lui però preferisce essere chiamato un «analogo patologo» (terminologia che ibrida le
scienze forensi con il rapsodismo critico) come a voler testimoniare quel modus operandi con cui
cercherà di refertare la propria “Frenologia”. Attraverso accostamenti inusuali, connessioni tra
contemporaneità e tradizione, così come tra stili ed epoche, l’autore creerà dei tavoli di lavoro –
sull’esempio dei tavoli d’obitorio – in cui saranno presentati al pubblico reperti, documenti e oggetti
che integreranno l’opera saggistica; tra le varie curiosità troveranno posto una testa frenologica, il
volume “Atlas of Bones and Ligaments” di Cathcart & Caird pubblicato a Londra nel 1885,
cartoline o radiografie di diversa provenienza, alcune vertebre e frammenti di crani umani. Per
la prima volta saranno esposti tutti i diciotto Taccuini tanatologici composti da immagini che Zanchetta ha collezionato, ritagliato e incollato su dei quaderni (realizzati durante la stesura di
“Frenologia della vanitas”, ciascun taccuino ha una struttura autonoma e un’identità specifica,
quasi fossero una propaggine del saggio critico, ma a differenza di quest’ultimo ogni quaderno è
stato pensato come un liber mortuorum cum figures, ovvero senza parole).
Appese a parete o distribuite su dei basamenti ci saranno delle opere d’arte provenienti dalla sua
collezione privata, quelle stesse che gli hanno tenuto compagnia durante la lavorazione della
“Frenologia”. Incisioni, xilografie e calcografie di artisti del passato (tra cui quelle di Max Klinger,
Alphonse Legros, Karl Hänny, Etienne Villequin, Lorenzo Metalli e Tommaso Raggio) si
mescoleranno a una selezione di autori ignoti o di artisti contemporanei (Yang Jiechang, Massimo
Pulini, Andrea Chiesi, Jean-Pierre Raynaud, Nicola Samorì, Marco Fantini, Frédéric Coché,
Beatrice Pasquali, Stefan Lundgren, Maurizio Carriero, Giorgio Rubbio, Juan Carlos Ceci, Vanni
Cuoghi, Verter Turroni, Gionata Gesi-Ozmo, Carl Jurisković e altri ancora). Sempre attingendo
alla sua collezione, Zanchetta si servirà di alcuni oggetti di design per ricreare una “vanitas
contemporanea” sulla falsariga delle nature morte del XVII secolo in cui un teschio era sovente
attorniato da vasi, candele e insetti che alludevano alla fugacità dell’esistenza. Nella seconda sala
della galleria saranno invece esposte le opere che Luca Coser, Alex Pinna, Tommaso Ottieri,
Matteo Pagani e gli Affiliati Peducci/Savini hanno espressamente realizzato per l’occasione.
Mantenendosi in bilico tra la nuda documentazione e una libera [re]invenzione del materiale a sua
disposizione, Alberto Zanchetta intende compiere un’indagine necroscopica – quasi una
“cranioscopia sul vivente” – che possa mettere in evidenza uno stile di vita, di lavoro e di ricerca
non limitabile alla lettura del libro, ma che ne sia semmai un valido complemento.
Alberto Zanchetta, FRENOLOGIA DELLA VANITAS, Johan&Levi, aprile 2011.
Il volume analizza come l’effige del teschio, simbolo massimo della caducità di tutte le
cose terrene e del tempo che corrompe la bellezza, abbia modificato la propria
simbologia nell’avvicendarsi dei secoli. Il saggio ripercorre la storia delle “teste di
morto” con specifici approfondimenti sulla sua grande proliferazione nell’arte di tutto il
mondo. Affrontando l’ampia casistica dei generi connessi alla Vanitas e al Memento
mori, l’autore ha inteso verificare le metamorfosi (di senso e di forma) subite
dall’iconografia macabra nel corso dell’ultimo millennio.
Alberto Zanchetta che si propone di indagare la genesi e le derivazioni del libro “Frenologia
della vanitas” pubblicato lo scorso aprile dalla casa editrice Johan&Levi. Non quindi una
semplice mostra di opere, bensì un approfondimento e un “accanimento terapeutico” che
intende sondare la mente dell’autore, o più precisamente: il suo cranio.
«La verità è nuda; ma sotto il nudo c’è lo scorticato». Prestando fede alle parole di Valéry, Alberto
Zanchetta ha inteso emanciparsi dalla carne per ridursi a “corpo secco”, ossia all’eso-scheletro sul
quale ha costruito il suo libro “Frenologia della vanitas”. Intorno al proprio saggio critico è andato
elaborando un progetto che non ha un carattere meramente informativo o espositivo, bensì
intende sviscerare l’optima pars dello scheletro, quel teschio che l’ha tenuto impegnato negli ultimi
dieci anni della sua vita.
Critico d’arte e curatore indipendente, Zanchetta è stato definito un «architetto del linguaggio
curatoriale», lui però preferisce essere chiamato un «analogo patologo» (terminologia che ibrida le
scienze forensi con il rapsodismo critico) come a voler testimoniare quel modus operandi con cui
cercherà di refertare la propria “Frenologia”. Attraverso accostamenti inusuali, connessioni tra
contemporaneità e tradizione, così come tra stili ed epoche, l’autore creerà dei tavoli di lavoro –
sull’esempio dei tavoli d’obitorio – in cui saranno presentati al pubblico reperti, documenti e oggetti
che integreranno l’opera saggistica; tra le varie curiosità troveranno posto una testa frenologica, il
volume “Atlas of Bones and Ligaments” di Cathcart & Caird pubblicato a Londra nel 1885,
cartoline o radiografie di diversa provenienza, alcune vertebre e frammenti di crani umani. Per
la prima volta saranno esposti tutti i diciotto Taccuini tanatologici composti da immagini che Zanchetta ha collezionato, ritagliato e incollato su dei quaderni (realizzati durante la stesura di
“Frenologia della vanitas”, ciascun taccuino ha una struttura autonoma e un’identità specifica,
quasi fossero una propaggine del saggio critico, ma a differenza di quest’ultimo ogni quaderno è
stato pensato come un liber mortuorum cum figures, ovvero senza parole).
Appese a parete o distribuite su dei basamenti ci saranno delle opere d’arte provenienti dalla sua
collezione privata, quelle stesse che gli hanno tenuto compagnia durante la lavorazione della
“Frenologia”. Incisioni, xilografie e calcografie di artisti del passato (tra cui quelle di Max Klinger,
Alphonse Legros, Karl Hänny, Etienne Villequin, Lorenzo Metalli e Tommaso Raggio) si
mescoleranno a una selezione di autori ignoti o di artisti contemporanei (Yang Jiechang, Massimo
Pulini, Andrea Chiesi, Jean-Pierre Raynaud, Nicola Samorì, Marco Fantini, Frédéric Coché,
Beatrice Pasquali, Stefan Lundgren, Maurizio Carriero, Giorgio Rubbio, Juan Carlos Ceci, Vanni
Cuoghi, Verter Turroni, Gionata Gesi-Ozmo, Carl Jurisković e altri ancora). Sempre attingendo
alla sua collezione, Zanchetta si servirà di alcuni oggetti di design per ricreare una “vanitas
contemporanea” sulla falsariga delle nature morte del XVII secolo in cui un teschio era sovente
attorniato da vasi, candele e insetti che alludevano alla fugacità dell’esistenza. Nella seconda sala
della galleria saranno invece esposte le opere che Luca Coser, Alex Pinna, Tommaso Ottieri,
Matteo Pagani e gli Affiliati Peducci/Savini hanno espressamente realizzato per l’occasione.
Mantenendosi in bilico tra la nuda documentazione e una libera [re]invenzione del materiale a sua
disposizione, Alberto Zanchetta intende compiere un’indagine necroscopica – quasi una
“cranioscopia sul vivente” – che possa mettere in evidenza uno stile di vita, di lavoro e di ricerca
non limitabile alla lettura del libro, ma che ne sia semmai un valido complemento.
Alberto Zanchetta, FRENOLOGIA DELLA VANITAS, Johan&Levi, aprile 2011.
Il volume analizza come l’effige del teschio, simbolo massimo della caducità di tutte le
cose terrene e del tempo che corrompe la bellezza, abbia modificato la propria
simbologia nell’avvicendarsi dei secoli. Il saggio ripercorre la storia delle “teste di
morto” con specifici approfondimenti sulla sua grande proliferazione nell’arte di tutto il
mondo. Affrontando l’ampia casistica dei generi connessi alla Vanitas e al Memento
mori, l’autore ha inteso verificare le metamorfosi (di senso e di forma) subite
dall’iconografia macabra nel corso dell’ultimo millennio.
21
febbraio 2012
Alberto Zanchetta – Cranioscopia
Dal 21 febbraio al 04 marzo 2012
fotografia
arte moderna e contemporanea
disegno e grafica
arti decorative e industriali
arte moderna e contemporanea
disegno e grafica
arti decorative e industriali
Location
GALLERIA RUBIN
Milano, Via Santa Marta, 10, (Milano)
Milano, Via Santa Marta, 10, (Milano)
Orario di apertura
martedì - sabato, 14.30 - 19.30 e su appuntamento
Vernissage
21 Febbraio 2012, 19.00 - 21.00
Autore