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Albumine. Bourne & Shepherd e altri
Non esiste la Storia se non c’è una fotografia che storicizzi quei singoli luoghi
Comunicato stampa
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Museo Immaginario presenterà martedì 12 giugno dalle ore 11 alle 13 nell'esposizione di via Mellerio 2, adiacente a piazza Mercato, “Albumine. Bourne & Shepherd e altri”, che resterà aperta da giugno ad agosto 2018: “Lo sguardo del rettile e dell’arcangelo- inizia così la presentazione di Davide Brullo per il Catalogo Mme Webb Editore- quegli anni in cui l’Oriente era una creazione dell’iride e la Storia un coagulo di palpebre. Quegli anni in cui la fotografia era un viaggio. Nell’immaginario. Nella cruna degli enigmi, soprattutto. Samuel Bourne (1834-1912), pioniere dell’arte fotografica, fa pratica presso il ‘Lake District’, la zona eternata dai poeti, Wordsworth e Coleridge, poi si districa tra l’India e l’Himalaya. Fotografare significa portare la fiamma nei luoghi inesplorati. “È tutto talmente enorme e stupefacente per essere riportato entro i limiti della fotografia”, scrive Bourne, nel 1864. L’occhio, abbacinato dall’immensità, si acceca – come l’estro di Dante davanti a Dio. La fotografia, da allora, deve diventare esplicita come un romanzo, esemplare come una parola. Ridurre in quota terrena lo stupefacente. Il rapporto è inverso. Non esiste la Storia se non c’è una fotografia che storicizzi quei singoli luoghi. Colte in pieno Ottocento, quando la fotografia è arte per alchimisti, esploratori che sanno che il mondo è questione di illusione, casualità, incrocio di cifre, le rovine italiane – che sia Roma, Firenze, Torino o una Posillipo che pare uscita da una quinta tolkieniana – diventano Storia. Acquistano l’aura del ‘classico’. L’effetto, a sfogliare l’album di noti e anonimi fotografi, è quello. La fotografia depone una aureola sulle rovine. Ciò che prima era pietra vecchia di duemila anni, ora è Storia – epica pietrificata. La riproduzione fotografia duplica, decuplica la rovina: la rende importante, da difendere.
Vale sempre un tour etimologico. La stampa fotografica ‘all’albumina’, diffusa dalla seconda metà dell’Ottocento, deriva, ovvio, dall’albume usato come materia legante. Albume viene da albus, che significa bianco. Per questo, queste fotografie infiammano: il bianco le dilania. L’albume, come si sa, è una parte dell’uovo – l’uovo è quello che fanno i rettili e gli uccelli. C’è bisogno dell’occhio del falco e della velocità della serpe per realizzare una fotografia perfetta.
Il carisma ‘storico’, poi, è doppio. Sfogliamo le fotografie per capire come erano le cose ‘prima’. Le fotografie torinesi, ad esempio, raccontano l’era in cui la Mole avrebbe dovuto diventare Tempio per il culto ebraico. Si mutò, stralunato esito del caos, nella torre di Babele della torinesità: ora – forse non a torto – è l’ambiente del Museo del Cinema. Dall’occhio di Dio – che incenerisce – si è passati al terzo occhio della telecamera – che diletta. Che delitto? Le fotografie, in fondo, si ammirano per valutare lo stato di corruzione dell’esistente – con quell’odioso motto che ‘prima si stava peggio, ma era meglio’. In realtà, in questo ciclo di fotografie le cose appaiono immacolate, salve. Le guardiamo per cercare una innocenza perduta: l’epoca in cui le ‘rovine’ erano semplicemente tali, gravi di secoli, e non ‘beni’ da tutelare, con biglietto da pagare. Queste fotografie hanno la placida pace degli sguardi di Goethe – sembrano gli svariati pezzi dello stesso corpo dell’arcangelo.”
Vale sempre un tour etimologico. La stampa fotografica ‘all’albumina’, diffusa dalla seconda metà dell’Ottocento, deriva, ovvio, dall’albume usato come materia legante. Albume viene da albus, che significa bianco. Per questo, queste fotografie infiammano: il bianco le dilania. L’albume, come si sa, è una parte dell’uovo – l’uovo è quello che fanno i rettili e gli uccelli. C’è bisogno dell’occhio del falco e della velocità della serpe per realizzare una fotografia perfetta.
Il carisma ‘storico’, poi, è doppio. Sfogliamo le fotografie per capire come erano le cose ‘prima’. Le fotografie torinesi, ad esempio, raccontano l’era in cui la Mole avrebbe dovuto diventare Tempio per il culto ebraico. Si mutò, stralunato esito del caos, nella torre di Babele della torinesità: ora – forse non a torto – è l’ambiente del Museo del Cinema. Dall’occhio di Dio – che incenerisce – si è passati al terzo occhio della telecamera – che diletta. Che delitto? Le fotografie, in fondo, si ammirano per valutare lo stato di corruzione dell’esistente – con quell’odioso motto che ‘prima si stava peggio, ma era meglio’. In realtà, in questo ciclo di fotografie le cose appaiono immacolate, salve. Le guardiamo per cercare una innocenza perduta: l’epoca in cui le ‘rovine’ erano semplicemente tali, gravi di secoli, e non ‘beni’ da tutelare, con biglietto da pagare. Queste fotografie hanno la placida pace degli sguardi di Goethe – sembrano gli svariati pezzi dello stesso corpo dell’arcangelo.”
12
giugno 2018
Albumine. Bourne & Shepherd e altri
Dal 12 giugno al 31 agosto 2018
fotografia
Location
MUSEO IMMAGINARIO
Domodossola, Giacomo Mellerio, 2, (Verbano-cusio-ossola)
Domodossola, Giacomo Mellerio, 2, (Verbano-cusio-ossola)
Vernissage
12 Giugno 2018, ore 11