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Aldo Palma – Le formidabili tensioni
Le superfici si sovrappongono, i piani si intersecano, e contaminano di propri slanci l’orientamento dell’altrui giacere, si dà corpo insomma ad una struttura dalle combinazioni infinite e complesse, dove l’idea pensata ed immaginata viene posta – quasi abbandonata lì – per venire in certo qual modo protetta, per essere occultata e reinterpretata di nuova luce
Comunicato stampa
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Le formidabili tensioni
L’Arte è sempre roba per apprendisti stregoni. Nasce dalla riflessione, dalla elaborazione e dalla padronanza dei mezzi espressivi, nasce certo dalla capacità di dare presenza e struttura universali ad un’intuizione individuale. Ma non solo. È anche invenzione di mezzi originali, è sperimentazione di nuovi materiali e dei loro inesplorati impieghi, è abilità nel concepire e praticare manipolazioni ed adattamenti differenziati. È insomma una sorta di decantato alchemico, stregonesco, magico ed ammaliatore. Cosicché, di fronte ad un’opera d’arte, anche quella più tradizionalmente o semplicemente realizzata, si ripresenta sempre la sensazione, sottilmente inquietante, di guardare in faccia il mistero del “come si fa”, l’impenetrabile perfezione dell’atto creativo. Ed è questa sensazione che già a tutta prima coglie l’osservatore che si avvicina ai lavori di Aldo Palma, è un dolce shock, accettare l’incapacità a cogliere la fisicità intera della materia e nello stesso tempo subirne l’attrazione ed il fascino, come di sostanza intimamente conosciuta, come di elemento col quale rapportarsi in totale familiarità e confidenza. Perché in effetti non si sa con cosa siano realizzati i quadri di Aldo Palma, o meglio, si prova a indovinare materiali e componenti, e qualcosa pure si individua – carta appallottolata, fili di lino o nylon, vernici metalliche – ma ancora il costituente primario, quella pellicola – che con varie consistenze e giaciture si tende sulla tela; che ora trasparente, ora opaca, o rutilante di smalti, tramuta forme, idee ed apparenze – quel derma ferito, escoriato, slabbrato e poi cucito, suturato, infibulato di fili intricati e tesi; quel rivestimento che fa da involucro smagliante a visioni recondite ed intime; ebbene quella sostanza non si può riconoscere, è un’invenzione, un ritrovato sintetico che l’artista ha elaborato e di cui non rivela né origine né trattamento. Eppure, ciò che con uguale immediatezza si avverte è proprio che questa segreta membrana, pur nelle mille combinazioni e trasformazioni cui la fantasia dell’artista la costringe, conserva costante una allettante intimità, come un fascino sensuale e conturbante, uno charme magnetico, quasi sul serio fosse pelle e sostanza organica. Tanto che il primo istinto è quello di toccare, di appurare con un altro senso la natura e la composizione, in un certo senso la effettività, di questo velo. La cui malleabilità si adegua docilmente alla esigenza di desiderare, concepire, avverare nuovi mondi e dimensioni, di formulare un linguaggio che è insieme pittorico e plastico, sintesi di variazioni ed approfondimenti.
Le superfici si sovrappongono, i piani si intersecano, e contaminano di propri slanci l’orientamento dell’altrui giacere, si dà corpo insomma ad una struttura dalle combinazioni infinite e complesse, dove l’idea pensata ed immaginata viene posta – quasi abbandonata lì – per venire in certo qual modo protetta, per essere occultata e reinterpretata di nuova luce.
Il grande innamoramento di Aldo Palma sta dunque nell’incidersi e rifrangere dei diversi toni sulle superfici, nell’esaltazione di una forma all’ondularsi e fluttuare dello spazio, nel balenare dei riflessi sul morbido dilatarsi di convessità e accrescimenti, nello svilupparsi dei nessi e delle adiacenze. La sperimentazione sulla materia segue una fascinazione assoluta per la metamorfosi dell’idea e per la plasticità dello spazio, per la conquista ed il possesso di una dimensione prominente, consistente, solida e constatabile dell’esistente. Aldo Palma così si avvicina ad alcune delle esperienze più significative del Novecento, a quelle esperienze che hanno riconosciuto il canto della materia, l’incanto dello spazio. Immediatamente vengono alla mente Burri, e Manzoni, Fontana, Pistoletto, Gianni Pisani, un insieme di richiami però tanto eterogeneo e ampio da rendere evidente la differenza e l’originalità del lavoro di Palma. La scoperta della materia, non più solo medium espressivo, bensì presa per se stessa, il suo manifestarsi fulcro di energie che l’opera dell’artista libera e mette in movimento, ha da una parte finalmente svelato l’intrinseco valore estetico del dato oggettivo. Dall’altra ha reso ancor più evidente quanto l’oggetto e ciò che lo costituisce abbiano la capacità di essere assunti simultaneamente come testo e contesto e soggetto del dramma, cioè di una rappresentazione, esistenziale. La forma, nella sua concretezza e nella sua sistemazione spaziale, è di per sé peculiare dei momenti di esistenza del mondo. Aldo Palma accoglie questa lezione, e con serrato iter logico, la reinterpreta. Perché la materia torna ad avere un ruolo “esaltativo” della percezione, prende le sole forme che il momento e l’estro inventivo e la sensazione sentono vibrare sotto l’epidermide del tempo. Così quasi per paradosso, Palma riduce ad una inedita essenzialità la dialettica fra figurativo ed astratto, fra materia e colore, fra gesto e segno, e la sua membrana (diavoleria poliuretanica, polivinilica, esaclorovalente) si conforma a pochi particolari, rilevanti e perciò rilevati, di una forma sottostante. Che è sempre presente nelle opere di Aldo Palma, siccome esiste sempre una rappresentazione, un’idea, un’immagine che origina il quadro, che giace sulla tela e che viene “rivestita” e rielaborata dall’artista. Questo ricoprire è nascondere per modo di dire, è anzi l’eleganza dell’ostentazione, è il misurarsi di un istinto erotico e sensuale che accarezza la nudità dell’idea e che la mette in risalto tanto più intrigante e fascinosa quanto più la restituisce solo intravista, indovinata, intuita, quando non addirittura travisata, attraverso le tensioni o le pieghe di una cute.
Per altro verso, è facile notare quanto si tratti di un’operazione e di un procedimento squisitamente pittorici. Il movimento e la convergenza fra materia e concetto vengono innescati dall’uso del colore, dalla scelta delle vernici e degli smalti metallici che nettano l’incidenza della luce sui volumi, e lasciano il gioco della variazione condensato nel variare delle prospettive e delle intensità o delle attenuazioni luminose. La metamorfosi del disegno sottostante, della forma profonda e soggiacente, si libera in un rituale di annientamento e ri-creazione, in un’aggiunta mai terminabile di senso e percezione, in un facimento e rifacimento continuo dell’immaginario. Ed è quindi proprio per questo che Palma ha talora rimesso le mani ad alcune sue opere, anche a distanza di anni. Sicché l’opera è compiuta, però mai definitivamente ed irrevocabilmente cessata, e può sempre succedere che una nuova percezione della medesima forma spinga l’artista ad operare una ennesima trasformazione, un più ardito rimaneggiamento degli equilibri trovati. Può sempre succedere, in definitiva, che ciò di cui bisogna dare e tenere conto è proprio lo stato perdurante del cambiamento, la condizione di ogni nuova vita che viene data e poi ancora data, tolta e riappesa al muro della sua progressiva comprensione.
Ecco dunque che la membrana non è solo superficie e tegumento, ma è l’involucro della crisalide, l’assetto temporaneo che semplicemente contiene, e non esaurisce, le vive energie creative che si agitano perennemente sotto la pelle dell’opera. Ma è anche la materia/colore manipolabile, che concede modi illimitati per il gusto del ripensamento, del rititillamento, modi per questa sorta di auto-erotismo del giorno dopo. La reciproca ed obbligatoria collimazione fra esperienza e visione possiede la tempra carnale che la agisce dentro una dimensione tattile, fisica, sensuale, alcune volte palesemente voluttuosa e peccaminosa. La materia diventa ambito di sublimazione per un feticismo della superficie rigonfia, della prosperità tumida, della mammellosità debordante. Sommità tornita di un’appropriazione, essa è l’ambientazione nel proprio universo di una femminilità misteriosa e materna, oggetto di desiderio e venerazione, appiglio per il senso di colpa e poi del perdono assicurato, femminilità ancora magica e amica del divino.
Aldo Palma è un artista in evoluzione, è artista della sintesi incalzante. Non è solo un fatto di chimica e di sperimentazione come stimolo di novità, ma del serrato dialogo fra le congruenze e le opposizioni, come realtà e finzione, eternità e contingenza, materiale e spirituale, maschile e femminile. L’invenzione è il frutto del sedimentarsi di immagini e percezioni, del loro rinnovarsi in colore e forma. Palma si lancia, evoca crea tramuta, strappa e ricuce tensioni, domina gli elementi come oscuro demiurgo nell’antro fucina della genesi, lambicca e distilla le formidabili tensioni dell’esistenza per l’invenzione di un’inedita armonia.
(francesco giulio farachi)
L’Arte è sempre roba per apprendisti stregoni. Nasce dalla riflessione, dalla elaborazione e dalla padronanza dei mezzi espressivi, nasce certo dalla capacità di dare presenza e struttura universali ad un’intuizione individuale. Ma non solo. È anche invenzione di mezzi originali, è sperimentazione di nuovi materiali e dei loro inesplorati impieghi, è abilità nel concepire e praticare manipolazioni ed adattamenti differenziati. È insomma una sorta di decantato alchemico, stregonesco, magico ed ammaliatore. Cosicché, di fronte ad un’opera d’arte, anche quella più tradizionalmente o semplicemente realizzata, si ripresenta sempre la sensazione, sottilmente inquietante, di guardare in faccia il mistero del “come si fa”, l’impenetrabile perfezione dell’atto creativo. Ed è questa sensazione che già a tutta prima coglie l’osservatore che si avvicina ai lavori di Aldo Palma, è un dolce shock, accettare l’incapacità a cogliere la fisicità intera della materia e nello stesso tempo subirne l’attrazione ed il fascino, come di sostanza intimamente conosciuta, come di elemento col quale rapportarsi in totale familiarità e confidenza. Perché in effetti non si sa con cosa siano realizzati i quadri di Aldo Palma, o meglio, si prova a indovinare materiali e componenti, e qualcosa pure si individua – carta appallottolata, fili di lino o nylon, vernici metalliche – ma ancora il costituente primario, quella pellicola – che con varie consistenze e giaciture si tende sulla tela; che ora trasparente, ora opaca, o rutilante di smalti, tramuta forme, idee ed apparenze – quel derma ferito, escoriato, slabbrato e poi cucito, suturato, infibulato di fili intricati e tesi; quel rivestimento che fa da involucro smagliante a visioni recondite ed intime; ebbene quella sostanza non si può riconoscere, è un’invenzione, un ritrovato sintetico che l’artista ha elaborato e di cui non rivela né origine né trattamento. Eppure, ciò che con uguale immediatezza si avverte è proprio che questa segreta membrana, pur nelle mille combinazioni e trasformazioni cui la fantasia dell’artista la costringe, conserva costante una allettante intimità, come un fascino sensuale e conturbante, uno charme magnetico, quasi sul serio fosse pelle e sostanza organica. Tanto che il primo istinto è quello di toccare, di appurare con un altro senso la natura e la composizione, in un certo senso la effettività, di questo velo. La cui malleabilità si adegua docilmente alla esigenza di desiderare, concepire, avverare nuovi mondi e dimensioni, di formulare un linguaggio che è insieme pittorico e plastico, sintesi di variazioni ed approfondimenti.
Le superfici si sovrappongono, i piani si intersecano, e contaminano di propri slanci l’orientamento dell’altrui giacere, si dà corpo insomma ad una struttura dalle combinazioni infinite e complesse, dove l’idea pensata ed immaginata viene posta – quasi abbandonata lì – per venire in certo qual modo protetta, per essere occultata e reinterpretata di nuova luce.
Il grande innamoramento di Aldo Palma sta dunque nell’incidersi e rifrangere dei diversi toni sulle superfici, nell’esaltazione di una forma all’ondularsi e fluttuare dello spazio, nel balenare dei riflessi sul morbido dilatarsi di convessità e accrescimenti, nello svilupparsi dei nessi e delle adiacenze. La sperimentazione sulla materia segue una fascinazione assoluta per la metamorfosi dell’idea e per la plasticità dello spazio, per la conquista ed il possesso di una dimensione prominente, consistente, solida e constatabile dell’esistente. Aldo Palma così si avvicina ad alcune delle esperienze più significative del Novecento, a quelle esperienze che hanno riconosciuto il canto della materia, l’incanto dello spazio. Immediatamente vengono alla mente Burri, e Manzoni, Fontana, Pistoletto, Gianni Pisani, un insieme di richiami però tanto eterogeneo e ampio da rendere evidente la differenza e l’originalità del lavoro di Palma. La scoperta della materia, non più solo medium espressivo, bensì presa per se stessa, il suo manifestarsi fulcro di energie che l’opera dell’artista libera e mette in movimento, ha da una parte finalmente svelato l’intrinseco valore estetico del dato oggettivo. Dall’altra ha reso ancor più evidente quanto l’oggetto e ciò che lo costituisce abbiano la capacità di essere assunti simultaneamente come testo e contesto e soggetto del dramma, cioè di una rappresentazione, esistenziale. La forma, nella sua concretezza e nella sua sistemazione spaziale, è di per sé peculiare dei momenti di esistenza del mondo. Aldo Palma accoglie questa lezione, e con serrato iter logico, la reinterpreta. Perché la materia torna ad avere un ruolo “esaltativo” della percezione, prende le sole forme che il momento e l’estro inventivo e la sensazione sentono vibrare sotto l’epidermide del tempo. Così quasi per paradosso, Palma riduce ad una inedita essenzialità la dialettica fra figurativo ed astratto, fra materia e colore, fra gesto e segno, e la sua membrana (diavoleria poliuretanica, polivinilica, esaclorovalente) si conforma a pochi particolari, rilevanti e perciò rilevati, di una forma sottostante. Che è sempre presente nelle opere di Aldo Palma, siccome esiste sempre una rappresentazione, un’idea, un’immagine che origina il quadro, che giace sulla tela e che viene “rivestita” e rielaborata dall’artista. Questo ricoprire è nascondere per modo di dire, è anzi l’eleganza dell’ostentazione, è il misurarsi di un istinto erotico e sensuale che accarezza la nudità dell’idea e che la mette in risalto tanto più intrigante e fascinosa quanto più la restituisce solo intravista, indovinata, intuita, quando non addirittura travisata, attraverso le tensioni o le pieghe di una cute.
Per altro verso, è facile notare quanto si tratti di un’operazione e di un procedimento squisitamente pittorici. Il movimento e la convergenza fra materia e concetto vengono innescati dall’uso del colore, dalla scelta delle vernici e degli smalti metallici che nettano l’incidenza della luce sui volumi, e lasciano il gioco della variazione condensato nel variare delle prospettive e delle intensità o delle attenuazioni luminose. La metamorfosi del disegno sottostante, della forma profonda e soggiacente, si libera in un rituale di annientamento e ri-creazione, in un’aggiunta mai terminabile di senso e percezione, in un facimento e rifacimento continuo dell’immaginario. Ed è quindi proprio per questo che Palma ha talora rimesso le mani ad alcune sue opere, anche a distanza di anni. Sicché l’opera è compiuta, però mai definitivamente ed irrevocabilmente cessata, e può sempre succedere che una nuova percezione della medesima forma spinga l’artista ad operare una ennesima trasformazione, un più ardito rimaneggiamento degli equilibri trovati. Può sempre succedere, in definitiva, che ciò di cui bisogna dare e tenere conto è proprio lo stato perdurante del cambiamento, la condizione di ogni nuova vita che viene data e poi ancora data, tolta e riappesa al muro della sua progressiva comprensione.
Ecco dunque che la membrana non è solo superficie e tegumento, ma è l’involucro della crisalide, l’assetto temporaneo che semplicemente contiene, e non esaurisce, le vive energie creative che si agitano perennemente sotto la pelle dell’opera. Ma è anche la materia/colore manipolabile, che concede modi illimitati per il gusto del ripensamento, del rititillamento, modi per questa sorta di auto-erotismo del giorno dopo. La reciproca ed obbligatoria collimazione fra esperienza e visione possiede la tempra carnale che la agisce dentro una dimensione tattile, fisica, sensuale, alcune volte palesemente voluttuosa e peccaminosa. La materia diventa ambito di sublimazione per un feticismo della superficie rigonfia, della prosperità tumida, della mammellosità debordante. Sommità tornita di un’appropriazione, essa è l’ambientazione nel proprio universo di una femminilità misteriosa e materna, oggetto di desiderio e venerazione, appiglio per il senso di colpa e poi del perdono assicurato, femminilità ancora magica e amica del divino.
Aldo Palma è un artista in evoluzione, è artista della sintesi incalzante. Non è solo un fatto di chimica e di sperimentazione come stimolo di novità, ma del serrato dialogo fra le congruenze e le opposizioni, come realtà e finzione, eternità e contingenza, materiale e spirituale, maschile e femminile. L’invenzione è il frutto del sedimentarsi di immagini e percezioni, del loro rinnovarsi in colore e forma. Palma si lancia, evoca crea tramuta, strappa e ricuce tensioni, domina gli elementi come oscuro demiurgo nell’antro fucina della genesi, lambicca e distilla le formidabili tensioni dell’esistenza per l’invenzione di un’inedita armonia.
(francesco giulio farachi)
13
settembre 2008
Aldo Palma – Le formidabili tensioni
Dal 13 settembre al 13 ottobre 2008
arte contemporanea
Location
FONDERIA DELLE ARTI
Roma, Via Assisi, 31, (Roma)
Roma, Via Assisi, 31, (Roma)
Orario di apertura
lunedì - venerdì: 10-20, sabato 10-15
Vernissage
13 Settembre 2008, ore 19
Sito web
www.campilongo.it
Autore
Curatore