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Alessandra Turolli Catani
Il colore mi tiene, non ho bisogno di andarlo a cercare. Mi tiene per sempre, lo so. Questo è il senso di quest’ora felice: io e il colore siamo una cosa sola. Io sono pittore. (Dal Diario di Paul Klee).
Comunicato stampa
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Il percorso iniziale tra le opere di Alessandra Turolli attiva sguardi le cui finalità sono differenziate come le interferenze che li percorrono. La qualità estetica è strettamente connessa agli impasti materici, agli effetti cromatici ed alle vibrazioni luminose che emergono dalla loro stesura.
Il colore, usato in senso panico, si manifesta come un'accensione, diventa forma e territorio, metamorfosi di se stesso. La sua liquidità vela e cristallizza, racchiude ed incastona isole; la sua consistenza magmatica simula crateri effusivi, gorghi, percorsi accidentati. Diventa anche vapore modulato in campiture rettangolari i cui contorni sfrangiati sfumano orizzonti ambigui.
La rilevanza sensoriale è alta, tale da illudere il tatto; ciò che lo sguardo vede: un tessuto setoso, morbidi arabeschi da tappeto persiano..., lo contraddice.
Il colore, oltre che materia e spazio tridimensionale, è anche tempo che si dinamizza tra passato e presente, tra storia e memoria.
La stesura dell'opera è come un rituale. Sul supporto - tela o tavola - il colore lascia orme, tracce, delinea un percorso complesso, fa affiorare una planimetria misteriosa. L'artista si fida della spontaneità non mediata del suo gesto. Le sembra un'azione inconsapevole, in realtà più che “smemorarsi”, registra tutta se stessa eliminando la frattura tra esistenza e coscienza.
Si tratta di un viaggio interiore e, come tale, deve essere protetto. Il colore lo dilava, lo sigilla, lo nasconde. Poi sono le mani che agiscono, guidano, alleggeriscono, addensano.
La materia con la sua fisicità reagisce, provoca ostacoli, permette cedimenti: si increspa, si raggruma, lievita.
Si stabilisce una spontanea reciprocità.
Ulteriori passaggi: una pioggia di gocce, strisciate incise, triangolazione di segni, più marcati o leggeri come filigrana, stabiliscono correlazioni tra le parti, “siglano” lo spazio.
Il carattere allusivo di alcuni dipinti si rafforza.
La calda atmosfera estiva è evocata da nebulose di colore; appare una New York – la memoria è un filtro – la cui verticalità è fortemente contornata: rosso cupo e nero.
Lo sguardo si perde in labirinti di cui il mitico Dedalo ha perso la chiave, in spirali che continuano oltre il perimetro visivo.
L'opera non è una rappresentazione, ma il teatro di un evento, ogni volta unico e diverso perché cambia lo stato emotivo che l'ha provocato.
Kandinskij distingueva due momenti nell'agire artistico, al primo, scaturito quasi dal profondo, dava il nome di improvvisazione ed al secondo, più cosciente, quello di composizione.
Il tempo presente gode del privilegio di essere interminabile ed ogni opera riafferma questa verità, ma mentre si “attualizzano” inquietudini, malinconie, acute felicità, dubbi, emergono dal caos interiore i residui fossili della storia di tutti gli uomini.
Nella poetica del Cavaliere Azzurro l'arte è concepita come tramite tra l'anima universale e l'interiorità dell'io.
La conversazione con Alessandra Turolli aggiunge tasselli di conoscenza all'iniziale ricognizione percettiva, la sua individualità di artista emerge più complessa e più godibile.
Mi dice che dipinge di notte quando il tempo che scorre senza interruzione, sembra più lungo. Aggiunge che il tema privilegiato della sua arte è ascoltarsi, essere accogliente verso altre realtà che affiorano dalla testa, dal cuore, dalla pelle. Il flusso emotivo e quello pittorico sono speculari.
Il corpo è totalmente coinvolto sulla tela che è stesa a terra.
Istinto e volontà, prima, conoscenza, dopo.
Nella sua filosofia c'è un imperativo categorico: lasciare agire l'immaginazione e la fantasia che permettono la libertà di evadere dal reale per progettare il possibile.
Nel suo fare creativo c'è un comportamento costante: essere dentro l'opera, dare forma alla materia con la propria impronta, umanizzarla con il potere suggestivo, ipnotico del colore.
Giovanna Riu
Il colore, usato in senso panico, si manifesta come un'accensione, diventa forma e territorio, metamorfosi di se stesso. La sua liquidità vela e cristallizza, racchiude ed incastona isole; la sua consistenza magmatica simula crateri effusivi, gorghi, percorsi accidentati. Diventa anche vapore modulato in campiture rettangolari i cui contorni sfrangiati sfumano orizzonti ambigui.
La rilevanza sensoriale è alta, tale da illudere il tatto; ciò che lo sguardo vede: un tessuto setoso, morbidi arabeschi da tappeto persiano..., lo contraddice.
Il colore, oltre che materia e spazio tridimensionale, è anche tempo che si dinamizza tra passato e presente, tra storia e memoria.
La stesura dell'opera è come un rituale. Sul supporto - tela o tavola - il colore lascia orme, tracce, delinea un percorso complesso, fa affiorare una planimetria misteriosa. L'artista si fida della spontaneità non mediata del suo gesto. Le sembra un'azione inconsapevole, in realtà più che “smemorarsi”, registra tutta se stessa eliminando la frattura tra esistenza e coscienza.
Si tratta di un viaggio interiore e, come tale, deve essere protetto. Il colore lo dilava, lo sigilla, lo nasconde. Poi sono le mani che agiscono, guidano, alleggeriscono, addensano.
La materia con la sua fisicità reagisce, provoca ostacoli, permette cedimenti: si increspa, si raggruma, lievita.
Si stabilisce una spontanea reciprocità.
Ulteriori passaggi: una pioggia di gocce, strisciate incise, triangolazione di segni, più marcati o leggeri come filigrana, stabiliscono correlazioni tra le parti, “siglano” lo spazio.
Il carattere allusivo di alcuni dipinti si rafforza.
La calda atmosfera estiva è evocata da nebulose di colore; appare una New York – la memoria è un filtro – la cui verticalità è fortemente contornata: rosso cupo e nero.
Lo sguardo si perde in labirinti di cui il mitico Dedalo ha perso la chiave, in spirali che continuano oltre il perimetro visivo.
L'opera non è una rappresentazione, ma il teatro di un evento, ogni volta unico e diverso perché cambia lo stato emotivo che l'ha provocato.
Kandinskij distingueva due momenti nell'agire artistico, al primo, scaturito quasi dal profondo, dava il nome di improvvisazione ed al secondo, più cosciente, quello di composizione.
Il tempo presente gode del privilegio di essere interminabile ed ogni opera riafferma questa verità, ma mentre si “attualizzano” inquietudini, malinconie, acute felicità, dubbi, emergono dal caos interiore i residui fossili della storia di tutti gli uomini.
Nella poetica del Cavaliere Azzurro l'arte è concepita come tramite tra l'anima universale e l'interiorità dell'io.
La conversazione con Alessandra Turolli aggiunge tasselli di conoscenza all'iniziale ricognizione percettiva, la sua individualità di artista emerge più complessa e più godibile.
Mi dice che dipinge di notte quando il tempo che scorre senza interruzione, sembra più lungo. Aggiunge che il tema privilegiato della sua arte è ascoltarsi, essere accogliente verso altre realtà che affiorano dalla testa, dal cuore, dalla pelle. Il flusso emotivo e quello pittorico sono speculari.
Il corpo è totalmente coinvolto sulla tela che è stesa a terra.
Istinto e volontà, prima, conoscenza, dopo.
Nella sua filosofia c'è un imperativo categorico: lasciare agire l'immaginazione e la fantasia che permettono la libertà di evadere dal reale per progettare il possibile.
Nel suo fare creativo c'è un comportamento costante: essere dentro l'opera, dare forma alla materia con la propria impronta, umanizzarla con il potere suggestivo, ipnotico del colore.
Giovanna Riu
05
giugno 2010
Alessandra Turolli Catani
Dal 05 al 20 giugno 2010
arte contemporanea
Location
BAG BRANDI ART GALLERY
La Spezia, Via Vanicella, 37, (La Spezia)
La Spezia, Via Vanicella, 37, (La Spezia)
Orario di apertura
Da martedì a sabato ore 10-12,30 e 16-19,30, lunedì 16-19,30
Vernissage
5 Giugno 2010, ore 18,00
Autore
Curatore