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Alessandro Alimonti – Atopie
Ciò che emerge prevalente in questi lavori di Alimonti cronologicamente comprese tra il 1992 e il 2004 è l’estrema raffinatezza compositiva e il taglio fotografico
Comunicato stampa
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Atopie
Le immagini che da anni Alessandro Alimonti produce, nel titolo della mostra Atopie sintetizzano, in effetti, i principi che da sempre sottendono alla sua personale ricerca fotografica.
Atopie nell’accezione di non luoghi, ovvero del potenziale riconoscimento dei soggetti fotografici ispirativi, tuttavia utilizzati prevalentemente come pretesto per una loro digressione mentale. Lo spazio dell’immagine - non coincidendo più con la certezza riconoscibile di un dato luogo, cosa o soggetto fotografici - nell’ambito di questa sfasatura tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, introduce il margine del dubbio, nel cui ambito operano le molteplici possibilità interpretative – e creative – del fruitore.
Diventando in tal modo le immagini di Alimonti prevalentemente un luogo mentale e virtuale, per il quale la realtà si dispone esclusivamente come incipit iniziale, la molteplicità di lettura delle sue visioni é subordinata solamente alla molteplicità di azzardi ottici di cui é capace l’occhio dell’osservatore. E’ così introdotto nell’immagine fotografica un margine di sospensione capace d’instillare il dubbio su ciò che è suggerito dalla visione: una parete può diventare il cielo, un’ombra proiettata a zig-zag su di una scala si trasforma in un dipinto d’ispirazione astratto-geometrico. E poi ancora fotografie che rimandano al materismo pittorico, altre ancora all’astrazione pura, alla scabrosità delle superfici evidenziate dalla luce radente.
Ciò che emerge prevalente in questi lavori di Alimonti cronologicamente comprese tra il 1992 e il 2004 è l’estrema raffinatezza compositiva e il taglio fotografico, l’uno e l’altro fortemente denotativi di una cultura dell’immagine complessa, cerebrale, attenta, non ultimo, anche alla pittura, che rivisita spesso in particolari architettonici sospesi, macroscopicamente suggeriti e atemporali come in certi dipinti di Gnoli. Ma emergono in alcune immagini anche certe soluzioni ritmico-lineari alla Van De Velde suggerite dalla reiterazione ritornante e modulare di linee espressive.
Ma quanto detto, tuttavia, potrebbe relazionarsi solamente alla particolare percezione di me come spettatore, per via delle premesse qui date sulla molteplicità di lettura delle immagini di Alimonti subordinata esclusivamente alla molteplicità di azzardi ottici e mentali di cui è capace l’osservatore.
Ivana D’Agostino
ALESSANDRO ALIMONTI
Vive e lavora a Roma. Si interessa di fotografia sin dagli anni ‘70, privilegiando sempre gli aspetti teorici connessi alla cultura dell’immagine. Ha pubblicato scritti sull’argomento (è stato condirettore del Giornale della Fotografia), ha tenuto workshop ed ha organizzato varie mostre e rassegne fotografiche, tra cui Photogrammatica a Roma (‘93 e ‘94) ed ha collaborato ad alcune edizioni di Photoidea (presentata anche alla Biennale d’Arte di San Paolo ’94, Brasile). In un primo periodo la sua ricerca fotografica ha operato in una linea descrittiva e narrativa, con occasionali inserimenti nella scena di personaggi e del segno umano. Dalla seconda metà degli anni ottanta procede verso una maggiore essenzialità strutturale oltre che formale, concentrando l’interesse sull’interazione tra gli elementi del paesaggio, naturali ed antropici. Attraverso lo svuotamento, l’intento è quello di potenziare l’intensità delle presenze iconiche, di rafforzare l’ambiguità delle forme che migrano tra un senso e l’altro e, quindi, di generare il dubbio come metodo analitico di osservazione della realtà quotidiana. Inizia ad esporre all’Italian Spring Festival di Perth (1986, Australia). Seguono una serie di esposizioni personali e collettive in Italia (tra le ultime al Museo PECCI di Prato nel 2001) ed all’estero (Belgio, Brasile, Francia, U.S.A, Tailandia, ...).
Sue immagini figurano nel Museo PECCI di Prato, nella Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo “Accademia Carrara”, nel Civico Museo di Calasetta (Ca), nel Museo Nazionale della Fotografia di Brescia, nel Museo dell’Informazione di Senigallia, nel Museo Civico di Idrija (Lubiana, Slovenia), nel Museo dell’Immagine Fotografica e delle Arti Visuali (Università “Tor Vergata” di Roma) ed in collezioni private in Italia ed all’estero.
Hanno scritto sul suo lavoro, tra gli altri: Mirella Bentivoglio, Giuseppe Cannilla, Giacomo Carioti, Emanuele Coen, Bruno Corà, Enrico Crispolti, Ivana D’Agostino, Mario Di Candia, Federica Di Castro, Guglielmo Gigliotti, Dino Latella, Sebastiano Messina, Mario Padovan, Wladimiro Settimelli, Gabriele Simongini, Nico Stringa, Zeno Tentella e Maria Torrente.
Le immagini che da anni Alessandro Alimonti produce, nel titolo della mostra Atopie sintetizzano, in effetti, i principi che da sempre sottendono alla sua personale ricerca fotografica.
Atopie nell’accezione di non luoghi, ovvero del potenziale riconoscimento dei soggetti fotografici ispirativi, tuttavia utilizzati prevalentemente come pretesto per una loro digressione mentale. Lo spazio dell’immagine - non coincidendo più con la certezza riconoscibile di un dato luogo, cosa o soggetto fotografici - nell’ambito di questa sfasatura tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, introduce il margine del dubbio, nel cui ambito operano le molteplici possibilità interpretative – e creative – del fruitore.
Diventando in tal modo le immagini di Alimonti prevalentemente un luogo mentale e virtuale, per il quale la realtà si dispone esclusivamente come incipit iniziale, la molteplicità di lettura delle sue visioni é subordinata solamente alla molteplicità di azzardi ottici di cui é capace l’occhio dell’osservatore. E’ così introdotto nell’immagine fotografica un margine di sospensione capace d’instillare il dubbio su ciò che è suggerito dalla visione: una parete può diventare il cielo, un’ombra proiettata a zig-zag su di una scala si trasforma in un dipinto d’ispirazione astratto-geometrico. E poi ancora fotografie che rimandano al materismo pittorico, altre ancora all’astrazione pura, alla scabrosità delle superfici evidenziate dalla luce radente.
Ciò che emerge prevalente in questi lavori di Alimonti cronologicamente comprese tra il 1992 e il 2004 è l’estrema raffinatezza compositiva e il taglio fotografico, l’uno e l’altro fortemente denotativi di una cultura dell’immagine complessa, cerebrale, attenta, non ultimo, anche alla pittura, che rivisita spesso in particolari architettonici sospesi, macroscopicamente suggeriti e atemporali come in certi dipinti di Gnoli. Ma emergono in alcune immagini anche certe soluzioni ritmico-lineari alla Van De Velde suggerite dalla reiterazione ritornante e modulare di linee espressive.
Ma quanto detto, tuttavia, potrebbe relazionarsi solamente alla particolare percezione di me come spettatore, per via delle premesse qui date sulla molteplicità di lettura delle immagini di Alimonti subordinata esclusivamente alla molteplicità di azzardi ottici e mentali di cui è capace l’osservatore.
Ivana D’Agostino
ALESSANDRO ALIMONTI
Vive e lavora a Roma. Si interessa di fotografia sin dagli anni ‘70, privilegiando sempre gli aspetti teorici connessi alla cultura dell’immagine. Ha pubblicato scritti sull’argomento (è stato condirettore del Giornale della Fotografia), ha tenuto workshop ed ha organizzato varie mostre e rassegne fotografiche, tra cui Photogrammatica a Roma (‘93 e ‘94) ed ha collaborato ad alcune edizioni di Photoidea (presentata anche alla Biennale d’Arte di San Paolo ’94, Brasile). In un primo periodo la sua ricerca fotografica ha operato in una linea descrittiva e narrativa, con occasionali inserimenti nella scena di personaggi e del segno umano. Dalla seconda metà degli anni ottanta procede verso una maggiore essenzialità strutturale oltre che formale, concentrando l’interesse sull’interazione tra gli elementi del paesaggio, naturali ed antropici. Attraverso lo svuotamento, l’intento è quello di potenziare l’intensità delle presenze iconiche, di rafforzare l’ambiguità delle forme che migrano tra un senso e l’altro e, quindi, di generare il dubbio come metodo analitico di osservazione della realtà quotidiana. Inizia ad esporre all’Italian Spring Festival di Perth (1986, Australia). Seguono una serie di esposizioni personali e collettive in Italia (tra le ultime al Museo PECCI di Prato nel 2001) ed all’estero (Belgio, Brasile, Francia, U.S.A, Tailandia, ...).
Sue immagini figurano nel Museo PECCI di Prato, nella Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo “Accademia Carrara”, nel Civico Museo di Calasetta (Ca), nel Museo Nazionale della Fotografia di Brescia, nel Museo dell’Informazione di Senigallia, nel Museo Civico di Idrija (Lubiana, Slovenia), nel Museo dell’Immagine Fotografica e delle Arti Visuali (Università “Tor Vergata” di Roma) ed in collezioni private in Italia ed all’estero.
Hanno scritto sul suo lavoro, tra gli altri: Mirella Bentivoglio, Giuseppe Cannilla, Giacomo Carioti, Emanuele Coen, Bruno Corà, Enrico Crispolti, Ivana D’Agostino, Mario Di Candia, Federica Di Castro, Guglielmo Gigliotti, Dino Latella, Sebastiano Messina, Mario Padovan, Wladimiro Settimelli, Gabriele Simongini, Nico Stringa, Zeno Tentella e Maria Torrente.
28
aprile 2005
Alessandro Alimonti – Atopie
Dal 28 aprile al 28 maggio 2005
arte contemporanea
Location
VERIFICA 8+1
Venezia, Via Giuseppe Mazzini (Mestre), 5, (VENEZIA)
Venezia, Via Giuseppe Mazzini (Mestre), 5, (VENEZIA)
Orario di apertura
16:30 – 19:30 giovedì, venerdì, sabato
Vernissage
28 Aprile 2005, ore 18:30
Autore