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Alessandro Moro – Paesaggi Metamorfici
I lavori di Moro già al primo impatto non lasciano indifferenti, ma per gustarli vanno guardati più volte, ascoltati, scoperti, perché ogni segno o macchia di colore è un indizio, un suggerimento che va cercato in tutti gli angoli
Comunicato stampa
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CRITICA di Sergio Altafini
Paesaggi metamorfici
Fa meraviglia vedere come la personalità figurativa di Alessandro Moro imponga estrema duplicità a questi suoi paesaggi che, da imitazione della realtà circostante, si trasformano in pura invenzione stilistica, conferendo ad ogni opera un cambiamento immaginifico dello stato connotativo.
Fanno meraviglia i suoi vuoti o troppo pieni che paiono nati dall'acqua, passando, invisibili, da un versante all'altro.
Si pensi a ”L'isola” o “Le ore di Venezia”, oppure ai “Castelli in aria”, opere piene di intensità e modulazioni apparentate da una venata scorrevolezza: figurazioni scrupolosamente stabili, ma di variegata fluidità.
I lavori di Moro già al primo impatto non lasciano indifferenti, ma per gustarli vanno guardati più volte, ascoltati, scoperti, perché ogni segno o macchia di colore è un indizio, un suggerimento che va cercato in tutti gli angoli; se si prova ad annusare (con la fantasia) sanno di aria salsa, di vegetazione o di aria profumata. È a quel punto che bisogna indagare con la mente, con l'immaginazione imboccata, ma sempre con il naso all'insù.
I colori pastosi, quasi incisi, ad olio su tela (bruni bruciati, verdoni, ocra e blu), ancora una volta, danno il senso della solidità della tradizione, ancorché tradita dai tratti colorati ondulati o curvi, raramente spigolosi, e comunque mai di struttura paesaggistica ritrattistica esplicita.
L'attrazione alle esplosioni emozionali si naturalizza nelle varianti, magari dello stesso similare tema, con la prepotente immissione dei rossi e con la commistione radicale nei verdi e nei blu differenziati.
In fondo, il titolo della esposizione offre una pluralità di significati: metamorfosi come cambiamento, evoluzione, instabilità negata.
Se si pone mente ai racconti metaforici di fine ottocento (Frankestein, Dr. Jackill e Mr. Hide) si accentra l'accadimento della metamorfosi nel suo significato di specchio. Si tratta della ossessione della superficie riflettente, la variazione genetica dell'unico in un corpo multiforme. È il pensiero fatto opera in maniera struggente e inquietante: del tutto umana.
Ritroviamo fin dalle favole mitologiche di Esopo e poi di Ovidio e poi ancora di La Fontaine, citando infine Buzzati, la finissima riscrittura del bellissimo parallelo della vita dell'uomo e del mondo originario.
Non è mai un bestiario: è un esempio del destino solitario, forse spontaneamente selvatico, emergente, assolutamente enigmatico, in cui talvolta l'individuo si ritrova impigliato e da cui vuole liberarsi, assumendo poliedriche forme del medesimo fondamento.
Come se nella salvezza del più insolito paesaggio dipinto vi fosse l'ultimo tentativo di riprendersi la propria storia.
Paesaggi metamorfici è giusto. Certe durezze nelle tele di Moro fanno ricordare, per assonanza, i marmi metamorfici delle Alpi Apuane, ma sommersi da un liquore poetico di estrema efficacia.
Ciò che accende di più sta nella evidente rivelazione della metafora ribaltata dove l'ambiente e altri soggetti sono pretesti per verità dei fatti che, mille a mille, l'uomo vuole raccontare, sempre.
Alessandro Moro, con maestria e forte commozione, ci narra una delle sue.
S. A.
Paesaggi metamorfici
Fa meraviglia vedere come la personalità figurativa di Alessandro Moro imponga estrema duplicità a questi suoi paesaggi che, da imitazione della realtà circostante, si trasformano in pura invenzione stilistica, conferendo ad ogni opera un cambiamento immaginifico dello stato connotativo.
Fanno meraviglia i suoi vuoti o troppo pieni che paiono nati dall'acqua, passando, invisibili, da un versante all'altro.
Si pensi a ”L'isola” o “Le ore di Venezia”, oppure ai “Castelli in aria”, opere piene di intensità e modulazioni apparentate da una venata scorrevolezza: figurazioni scrupolosamente stabili, ma di variegata fluidità.
I lavori di Moro già al primo impatto non lasciano indifferenti, ma per gustarli vanno guardati più volte, ascoltati, scoperti, perché ogni segno o macchia di colore è un indizio, un suggerimento che va cercato in tutti gli angoli; se si prova ad annusare (con la fantasia) sanno di aria salsa, di vegetazione o di aria profumata. È a quel punto che bisogna indagare con la mente, con l'immaginazione imboccata, ma sempre con il naso all'insù.
I colori pastosi, quasi incisi, ad olio su tela (bruni bruciati, verdoni, ocra e blu), ancora una volta, danno il senso della solidità della tradizione, ancorché tradita dai tratti colorati ondulati o curvi, raramente spigolosi, e comunque mai di struttura paesaggistica ritrattistica esplicita.
L'attrazione alle esplosioni emozionali si naturalizza nelle varianti, magari dello stesso similare tema, con la prepotente immissione dei rossi e con la commistione radicale nei verdi e nei blu differenziati.
In fondo, il titolo della esposizione offre una pluralità di significati: metamorfosi come cambiamento, evoluzione, instabilità negata.
Se si pone mente ai racconti metaforici di fine ottocento (Frankestein, Dr. Jackill e Mr. Hide) si accentra l'accadimento della metamorfosi nel suo significato di specchio. Si tratta della ossessione della superficie riflettente, la variazione genetica dell'unico in un corpo multiforme. È il pensiero fatto opera in maniera struggente e inquietante: del tutto umana.
Ritroviamo fin dalle favole mitologiche di Esopo e poi di Ovidio e poi ancora di La Fontaine, citando infine Buzzati, la finissima riscrittura del bellissimo parallelo della vita dell'uomo e del mondo originario.
Non è mai un bestiario: è un esempio del destino solitario, forse spontaneamente selvatico, emergente, assolutamente enigmatico, in cui talvolta l'individuo si ritrova impigliato e da cui vuole liberarsi, assumendo poliedriche forme del medesimo fondamento.
Come se nella salvezza del più insolito paesaggio dipinto vi fosse l'ultimo tentativo di riprendersi la propria storia.
Paesaggi metamorfici è giusto. Certe durezze nelle tele di Moro fanno ricordare, per assonanza, i marmi metamorfici delle Alpi Apuane, ma sommersi da un liquore poetico di estrema efficacia.
Ciò che accende di più sta nella evidente rivelazione della metafora ribaltata dove l'ambiente e altri soggetti sono pretesti per verità dei fatti che, mille a mille, l'uomo vuole raccontare, sempre.
Alessandro Moro, con maestria e forte commozione, ci narra una delle sue.
S. A.
10
novembre 2007
Alessandro Moro – Paesaggi Metamorfici
Dal 10 novembre al 02 dicembre 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA D’ARTE MARCHESI
Ferrara, Via Vignatagliata, 41, (Ferrara)
Ferrara, Via Vignatagliata, 41, (Ferrara)
Orario di apertura
11.00-13.00/18.00-22.00 tutti i giorni (giovedì chiuso). Anche su prenotazione
Vernissage
10 Novembre 2007, ore 17.30
Autore
Curatore