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Alfredo Granata – Obbedire, credere, combattere, comprendere…
In questa mostra vi è un tentativo di riappropriarsi di quel ruolo sociale e politico che apparteneva agli artisti e all’arte tout-court del secolo appena trascorso
Comunicato stampa
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Dopo dieci anni dalla sua ultima mostra personale Alfredo Granata torna ad esporre a Cosenza nella galleria “La Gradiva” di Luciana Labrosciano. La mostra si avvale di un catalogo, edito da Pubblisfera, che documenta la genesi dei lavori esposti con contributi di : Claudio Angione (Artista), Simonetta Costanzo (Psicoanalista), Gianfranco Labrosciano (critico e storico dell’arte) ed inoltre dello stesso Alfredo Granata.
In questa mostra vi è un tentativo di riappropriarsi di quel ruolo sociale e politico che apparteneva agli artisti e all'arte tout-court del secolo appena trascorso.
Gianfranco Labrosciano così scrive in catalogo:
L’urlo terrificante dell’artista gettato,sbaragliato, direi, in questo duro mondo d’inamovibili relitti d’inquietudine, è quello di chi sbava sudore e furore, lo schifo di un dolore grave e troppo a lungo trattenuto nelle viscere, nelle budella e dentro l’anima.
E’ l’atto, il fatto terminale di un lungo processo di lotta e resistenza di chi sputa, vomita, espelle la fame di vita con la brama di morte, di distruzione e di disperazione. E’ il fatto di una creatura celestiale divenuta bestiale, consumata e caduta, che esibisce le sue ferite mostrandosi nella sua intimità violenta, violentata e squarciata.
E’, in altri termini, la rivolta, una critica radicale che fa emergere un estremismo necessario e che superando la tradizione, l’abbraccio ossessivo e seducente della storia e della memoria s’immerge nel presente con tutta la forza dell’abbandono.
I freni inibitori sono crollati, la volontà tende a fare dell’artista un espulso della vita e tutto, in Alfredo Granata, la coscienza di sé, il tempo contingente, la religione e la ragione, persino le abitudini, si macera e si stritola in un istante, un solo istante di pienezza in cui quell’urlo chiede riposo, una tregua, una qualche forma di pacificazione, sebbene rabbiosa, che giustifichi l’eternità.
Ecco, questo penso che sia, tanto per cominciare, quest’urlo presentato con la pratica condotta dell’arte, col suo agire, col suo manifestarsi e col suo comportamento.
Si sente, osservando l’opera, una volontà di scatenamento, l’ansia di liberare la stratificazione di una situazione convulsa e lacerata a dispetto di una logica sempre più repressiva e di destabilizzare un ordine, un sistema costituito attraverso la rappresentazione di un malessere tanto trattenuto quanto dichiarato, tanto represso quanto urlato e manifestato fino all’indecenza, tanto lacerante e aggrovigliato quanto espressamente espunto.
Per questo più che di politica, allora, parlerei di nausea, di aperta ribellione per sfinimento, di un conato incontenibile e uno scoppio strepitoso, di una brutale rottura e di un principio di suicidio, di sacrificio, penitenza, espiazione e purificazione.
E’ una sorta di solitudine inalienabile, una specie di condanna definitiva, lo specchio di un mondo senza uscita.
Ma è davvero così?
Tutto sembrerebbe confermarlo.
La Madonna rovesciata, sinistramente avvolta dal sigillante siliconico sembra resistere, col suo irreversibile invecchiamento, al suo stesso motto di sempre, che induce a credere. Gli aghi acuminati di reperti antropologici palesano l’estrema pietas di chi è da sempre costretto a obbedire senza rimedio. I calchi dei denti sono la sintesi, la smorfia e la resa di chi altro non ha fatto che combattere.
Alla fine solo l’urlo rimane contro la grassezza enfatica della vita.
Un urlo che nel prosieguo della rappresentazione diventa scopertamente quello dell’artista, di Alfredo intendo, come a specificare che era lui stesso a urlare nelle precedenti immagini, per chi ancora non lo avesse capito.
Insomma, la narrazione fortemente personale e autobiografica di una crisi irreversibile e senza rimedio.
Senonché irrompe, nelle quinte di questo teatro inconsolabile, una sorta di devianza, di erranza intenzionale grazie alla quale s’intravvede una via, un sentiero praticabile di riscatto.
E’il verbo comprendere, l’azione possibile suggerita come pratica di reazione a quell’urlare di denti e di budella di chi è dovuto morire come genere per rinascere come Uomo, per ritrovare un moto di sintesi e un’impennata di speranza che gli consenta, alla fine, di continuare a esserci nonostante tutto, a duplicare la coscienza infelice nelle sue contraddizioni e continuare a vivere.
Certo, è una lunga riflessione che presenta diverse sfaccettature e angolazioni, a cominciare dalle provocazioni e dalle risposte politiche che è capace di suscitare.
Da questo punto di vista, anzi, è chiara la posizione dell’ artista impegnato sul versante della coscienza collettiva e della sua azione come prolungata accettazione e comprensione dell’altro, del diverso ideologico, ed è come se nella stessa opera al tempo dell’arte si sostituisse, quasi per germinazione spontanea, un tempo della politica che recupera in vista del futuro le ragioni della storia, della collettività e della memoria.
Ed è sotto questa angolazione, forse, che va trovata la chiave di volta dell’intera opera, poiché Comprendere, allora, diventa una specie di manifesto, una prospettiva e un programma per la lettura della storia passata che ingloba prepotentemente quella presente e degli anni a venire.
E’ “L’apologia della storia” di Marc Bloch, direi per concludere, che si afferma prepotentemente come corollario dell’opera dell’artista che non si chiude per nulla, ma rifiuta e supera il suo stesso urlo egocentrico nell’azione intellettuale dell’amore o dell’amicizia e trova la strada maestra per immettersi, con tutte le correnti del suo fiume personale, comprese quelle della rivolta, nel grande mare della storia e dell’umanità.
Sul piano formale si tratta di un’opera intrigante che ha radici solide nell’avanguardia storica e nella vasta area della migliore sperimentazione e ricerca del secolo appena trascorso, e i riferimenti possono essere i più svariati.
E’ un’opera che reca come intrisa la realtà indissolubile del passato anche riguardo alla storia dell’arte. Ci sono i catrami di Burri,l’arroventata materia di un Kounellis e i terrificanti stravolgimenti di un Bacon, per intenderci,su queste raggelate pareti di amarezza che, come una grande e immensa texture, ripetono sine die quell’unico, Munchiano urlo intrattenibile.
Ma soprattutto c’è lui, l’artista, che si fa carne e sangue del tempo, dell’attimo bloccato nel lampo di una macchina fotografica che gli consente sia di scendere nei gorghi paludosi e nei meandri melmosi della sua passività, che di emergere in superficie con tutta la forza catartica della sua umana, generosa fertilità.
Alfredo Granata è nato a Celico (CS) nel 1956. Si diploma al Liceo Artistico di Cosenza e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Roma. Alla fine degli anni ‘70 manifesta un forte interesse verso la materia della pittura, che sfocerà successivamente nella tridimensionalità dell’opera. E’ attratto dalla Pop - Art e dintorni.
Nel 1980 conosce Alberto Burri nel suo studio a Grottarossa, in occasione della sua tesi sul grande maestro contemporaneo. Ritorna in Calabria per viverci e lavorare.
Nel 1983 incomincia ad interessarsi di Perfomances e Video Art, seguendo con interesse le attività di apprezzati performer e musicisti sperimentali come: Simone Forti, Steve Paxton, La Monte Young, Terry Riley, Marian Zazeela, John Cage.
Nel 1986 la R.A.I. gli dedica un programma teso a documentare la sua opera: la Periferia sperimentale, con la regia di Marcello Walter Bruno e intervento critico di Tonino Sicoli.
Nel 1994 è pubblicata per la collana d’arte: Canti e Disincanti, la monografia Corpo a corpo, con apparati critici di Teodolinda Coltellaro e Luigi Bianco, F.lli Gigliotti Editore.
Nel 1996 nell’ambito della rassegna video “Sequenze di morte”, presenta una perfomance con video: Carpe diem. Nel 1997 entra a far parte del “Laboratorio di poesia e arti visive” di Cosenza.
Nello stesso anno partecipa presso il “Link” di Bologna al convegno sulle nuove ricerche artistiche italiane : Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa?. Nell’ambito della rassegna “La ville, le jardin la memorie” è invitato a: “La raccolta dei 1000 progetti” presso l’Accademia di Francia a Roma, curata da: Laurence Bosse, Carolyn Christov - Bakargiev e Hans Ulrich Obrist.
Nel 1998 promuove e realizza la rassegna ” Ospiti: metafora di una profezia”, ospitata nel proprio spazio domestico, considerata, per la progettualità e per l’esecuzione prettamente in linea alla sua poetica, un vero e proprio intervento artistico per il territorio pre-silano. Aderiscono all’invito artisti di rilievo internazionale: Cesare Pietroiusti, Giuseppe Mazzi o Massi, Eva Marisaldi, Liliana Moro, Marco Samorè, Giancarlo Norese, Bruna Esposito, Josephine Sassu, Stefano Arienti, Giulia Caira.
E’ dello stesso anno la partecipazione al progetto “ORESTE 1” presso la foresteria comunale di Paliano (FR), un’esperienza comunitaria di scambio e di lavoro primariamente destinata agli artisti visivi.
Nel 1999 partecipa alla 48° edizione della Biennale d’arte internazionale di Venezia nell’ambito del progetto “Oreste” presentando “Via : Arte contemporanea sulla tratta ferroviaria Cosenza – Camigliatello”.
Nello stesso anno inaugura a Celico, in uno spazio di sua proprietà, “Porto di mare” una residenza permanente per artisti con lo scopo di divulgare l’arte contemporanea sul territorio.
Nel 2004, insieme a Claudio Angione, dà vita all'associazione culturale: CHROMA Arte contemporanea e realizza la 2° edizione di Ospiti. L’invito a risiedere e lavorare nella residenza “Porto di Mare” viene esteso agli artisti: Sabrina Mezzaqui, Isabella Puliafito, Radio Rebelde, Gea Casolaro, Francesco Impellizzeri, Matilde Domestico e Paola Gandini. Gli stessi saranno protagonisti di interventi artistici permanenti sul territorio per il nascente Muster (MuseoTerritorio). Nel 2005 l'associazione culturale Romana Start chiama CHROMA come consulente artistica per la realizzazione della mostra tutta al femminile: Dissertare/disertare. La mostra ha avuto la consulenza scientifica della Galleria Nazionale D'Arte Moderna di Roma e si è svolta nel 2006 presso il Centro Internazionale d'Arte Contemporanea del Castello Colonna di Genazzano (Roma).
Nel 2008, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Statale “Abate Gioacchino” di Celico, porta l’arte contemporanea a scuola e da vita alla GaDac (Galleria Didattica di Arte Contemporanea). La stessa rappresenta un tentativo di sedimentare le arti visive nel territorio pre-silano.
Negli ultimi anni, all’attività d’artista, è maturato l’interesse di proporre ed organizzare eventi d’arte. Vive e lavora in una periferia di provincia ed è fortemente convinto di stare al centro del mondo.
In questa mostra vi è un tentativo di riappropriarsi di quel ruolo sociale e politico che apparteneva agli artisti e all'arte tout-court del secolo appena trascorso.
Gianfranco Labrosciano così scrive in catalogo:
L’urlo terrificante dell’artista gettato,sbaragliato, direi, in questo duro mondo d’inamovibili relitti d’inquietudine, è quello di chi sbava sudore e furore, lo schifo di un dolore grave e troppo a lungo trattenuto nelle viscere, nelle budella e dentro l’anima.
E’ l’atto, il fatto terminale di un lungo processo di lotta e resistenza di chi sputa, vomita, espelle la fame di vita con la brama di morte, di distruzione e di disperazione. E’ il fatto di una creatura celestiale divenuta bestiale, consumata e caduta, che esibisce le sue ferite mostrandosi nella sua intimità violenta, violentata e squarciata.
E’, in altri termini, la rivolta, una critica radicale che fa emergere un estremismo necessario e che superando la tradizione, l’abbraccio ossessivo e seducente della storia e della memoria s’immerge nel presente con tutta la forza dell’abbandono.
I freni inibitori sono crollati, la volontà tende a fare dell’artista un espulso della vita e tutto, in Alfredo Granata, la coscienza di sé, il tempo contingente, la religione e la ragione, persino le abitudini, si macera e si stritola in un istante, un solo istante di pienezza in cui quell’urlo chiede riposo, una tregua, una qualche forma di pacificazione, sebbene rabbiosa, che giustifichi l’eternità.
Ecco, questo penso che sia, tanto per cominciare, quest’urlo presentato con la pratica condotta dell’arte, col suo agire, col suo manifestarsi e col suo comportamento.
Si sente, osservando l’opera, una volontà di scatenamento, l’ansia di liberare la stratificazione di una situazione convulsa e lacerata a dispetto di una logica sempre più repressiva e di destabilizzare un ordine, un sistema costituito attraverso la rappresentazione di un malessere tanto trattenuto quanto dichiarato, tanto represso quanto urlato e manifestato fino all’indecenza, tanto lacerante e aggrovigliato quanto espressamente espunto.
Per questo più che di politica, allora, parlerei di nausea, di aperta ribellione per sfinimento, di un conato incontenibile e uno scoppio strepitoso, di una brutale rottura e di un principio di suicidio, di sacrificio, penitenza, espiazione e purificazione.
E’ una sorta di solitudine inalienabile, una specie di condanna definitiva, lo specchio di un mondo senza uscita.
Ma è davvero così?
Tutto sembrerebbe confermarlo.
La Madonna rovesciata, sinistramente avvolta dal sigillante siliconico sembra resistere, col suo irreversibile invecchiamento, al suo stesso motto di sempre, che induce a credere. Gli aghi acuminati di reperti antropologici palesano l’estrema pietas di chi è da sempre costretto a obbedire senza rimedio. I calchi dei denti sono la sintesi, la smorfia e la resa di chi altro non ha fatto che combattere.
Alla fine solo l’urlo rimane contro la grassezza enfatica della vita.
Un urlo che nel prosieguo della rappresentazione diventa scopertamente quello dell’artista, di Alfredo intendo, come a specificare che era lui stesso a urlare nelle precedenti immagini, per chi ancora non lo avesse capito.
Insomma, la narrazione fortemente personale e autobiografica di una crisi irreversibile e senza rimedio.
Senonché irrompe, nelle quinte di questo teatro inconsolabile, una sorta di devianza, di erranza intenzionale grazie alla quale s’intravvede una via, un sentiero praticabile di riscatto.
E’il verbo comprendere, l’azione possibile suggerita come pratica di reazione a quell’urlare di denti e di budella di chi è dovuto morire come genere per rinascere come Uomo, per ritrovare un moto di sintesi e un’impennata di speranza che gli consenta, alla fine, di continuare a esserci nonostante tutto, a duplicare la coscienza infelice nelle sue contraddizioni e continuare a vivere.
Certo, è una lunga riflessione che presenta diverse sfaccettature e angolazioni, a cominciare dalle provocazioni e dalle risposte politiche che è capace di suscitare.
Da questo punto di vista, anzi, è chiara la posizione dell’ artista impegnato sul versante della coscienza collettiva e della sua azione come prolungata accettazione e comprensione dell’altro, del diverso ideologico, ed è come se nella stessa opera al tempo dell’arte si sostituisse, quasi per germinazione spontanea, un tempo della politica che recupera in vista del futuro le ragioni della storia, della collettività e della memoria.
Ed è sotto questa angolazione, forse, che va trovata la chiave di volta dell’intera opera, poiché Comprendere, allora, diventa una specie di manifesto, una prospettiva e un programma per la lettura della storia passata che ingloba prepotentemente quella presente e degli anni a venire.
E’ “L’apologia della storia” di Marc Bloch, direi per concludere, che si afferma prepotentemente come corollario dell’opera dell’artista che non si chiude per nulla, ma rifiuta e supera il suo stesso urlo egocentrico nell’azione intellettuale dell’amore o dell’amicizia e trova la strada maestra per immettersi, con tutte le correnti del suo fiume personale, comprese quelle della rivolta, nel grande mare della storia e dell’umanità.
Sul piano formale si tratta di un’opera intrigante che ha radici solide nell’avanguardia storica e nella vasta area della migliore sperimentazione e ricerca del secolo appena trascorso, e i riferimenti possono essere i più svariati.
E’ un’opera che reca come intrisa la realtà indissolubile del passato anche riguardo alla storia dell’arte. Ci sono i catrami di Burri,l’arroventata materia di un Kounellis e i terrificanti stravolgimenti di un Bacon, per intenderci,su queste raggelate pareti di amarezza che, come una grande e immensa texture, ripetono sine die quell’unico, Munchiano urlo intrattenibile.
Ma soprattutto c’è lui, l’artista, che si fa carne e sangue del tempo, dell’attimo bloccato nel lampo di una macchina fotografica che gli consente sia di scendere nei gorghi paludosi e nei meandri melmosi della sua passività, che di emergere in superficie con tutta la forza catartica della sua umana, generosa fertilità.
Alfredo Granata è nato a Celico (CS) nel 1956. Si diploma al Liceo Artistico di Cosenza e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Roma. Alla fine degli anni ‘70 manifesta un forte interesse verso la materia della pittura, che sfocerà successivamente nella tridimensionalità dell’opera. E’ attratto dalla Pop - Art e dintorni.
Nel 1980 conosce Alberto Burri nel suo studio a Grottarossa, in occasione della sua tesi sul grande maestro contemporaneo. Ritorna in Calabria per viverci e lavorare.
Nel 1983 incomincia ad interessarsi di Perfomances e Video Art, seguendo con interesse le attività di apprezzati performer e musicisti sperimentali come: Simone Forti, Steve Paxton, La Monte Young, Terry Riley, Marian Zazeela, John Cage.
Nel 1986 la R.A.I. gli dedica un programma teso a documentare la sua opera: la Periferia sperimentale, con la regia di Marcello Walter Bruno e intervento critico di Tonino Sicoli.
Nel 1994 è pubblicata per la collana d’arte: Canti e Disincanti, la monografia Corpo a corpo, con apparati critici di Teodolinda Coltellaro e Luigi Bianco, F.lli Gigliotti Editore.
Nel 1996 nell’ambito della rassegna video “Sequenze di morte”, presenta una perfomance con video: Carpe diem. Nel 1997 entra a far parte del “Laboratorio di poesia e arti visive” di Cosenza.
Nello stesso anno partecipa presso il “Link” di Bologna al convegno sulle nuove ricerche artistiche italiane : Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa?. Nell’ambito della rassegna “La ville, le jardin la memorie” è invitato a: “La raccolta dei 1000 progetti” presso l’Accademia di Francia a Roma, curata da: Laurence Bosse, Carolyn Christov - Bakargiev e Hans Ulrich Obrist.
Nel 1998 promuove e realizza la rassegna ” Ospiti: metafora di una profezia”, ospitata nel proprio spazio domestico, considerata, per la progettualità e per l’esecuzione prettamente in linea alla sua poetica, un vero e proprio intervento artistico per il territorio pre-silano. Aderiscono all’invito artisti di rilievo internazionale: Cesare Pietroiusti, Giuseppe Mazzi o Massi, Eva Marisaldi, Liliana Moro, Marco Samorè, Giancarlo Norese, Bruna Esposito, Josephine Sassu, Stefano Arienti, Giulia Caira.
E’ dello stesso anno la partecipazione al progetto “ORESTE 1” presso la foresteria comunale di Paliano (FR), un’esperienza comunitaria di scambio e di lavoro primariamente destinata agli artisti visivi.
Nel 1999 partecipa alla 48° edizione della Biennale d’arte internazionale di Venezia nell’ambito del progetto “Oreste” presentando “Via : Arte contemporanea sulla tratta ferroviaria Cosenza – Camigliatello”.
Nello stesso anno inaugura a Celico, in uno spazio di sua proprietà, “Porto di mare” una residenza permanente per artisti con lo scopo di divulgare l’arte contemporanea sul territorio.
Nel 2004, insieme a Claudio Angione, dà vita all'associazione culturale: CHROMA Arte contemporanea e realizza la 2° edizione di Ospiti. L’invito a risiedere e lavorare nella residenza “Porto di Mare” viene esteso agli artisti: Sabrina Mezzaqui, Isabella Puliafito, Radio Rebelde, Gea Casolaro, Francesco Impellizzeri, Matilde Domestico e Paola Gandini. Gli stessi saranno protagonisti di interventi artistici permanenti sul territorio per il nascente Muster (MuseoTerritorio). Nel 2005 l'associazione culturale Romana Start chiama CHROMA come consulente artistica per la realizzazione della mostra tutta al femminile: Dissertare/disertare. La mostra ha avuto la consulenza scientifica della Galleria Nazionale D'Arte Moderna di Roma e si è svolta nel 2006 presso il Centro Internazionale d'Arte Contemporanea del Castello Colonna di Genazzano (Roma).
Nel 2008, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Statale “Abate Gioacchino” di Celico, porta l’arte contemporanea a scuola e da vita alla GaDac (Galleria Didattica di Arte Contemporanea). La stessa rappresenta un tentativo di sedimentare le arti visive nel territorio pre-silano.
Negli ultimi anni, all’attività d’artista, è maturato l’interesse di proporre ed organizzare eventi d’arte. Vive e lavora in una periferia di provincia ed è fortemente convinto di stare al centro del mondo.
22
novembre 2008
Alfredo Granata – Obbedire, credere, combattere, comprendere…
Dal 22 novembre al 05 dicembre 2008
arte contemporanea
Location
GALLERIA D’ARTE GRADIVA
Cosenza, Via Giovanni Minzoni, 29, (Cosenza)
Cosenza, Via Giovanni Minzoni, 29, (Cosenza)
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