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Aliseo
Galleria Tannaz presenta il catalogo della mostra ALISEO. Saranno presenti gli artisti provenienti dall’Iran e le loro opere.
Comunicato stampa
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Aliseo, il vento angolare delle pietre
Tras- portare, nel vento regolare, che spira per tutto l’anno e da tutti i punti della terra, i segni e le parole, la materia e la forza del respiro dell’aria, dà un ode, una musica circolare che riempie la sfera e fiorisce,… e dai frutti cogliere e guardare il viaggio del vento che porta questi artisti a scorgere il Mondo Eterno nella sua perenne vita.
Incontrare questi giovani artisti persiani mi fa scoprire il tempo che piace e il segreto che non vuole
vedere.
Ma la loro arte vede e canta come uno spirito seduto su montagne immobili, pensando al profumo di un fiore sbocciato tra i fiumi del Giardino. Pensando e dicendo con parole e segni cos’è il mondo
della materia e il mondo materiale e pensando alla morte.
Allora trasporterò le parole con il loro vento e scriverò su le foglie dei fiori e nutrirò i pensieri e gli
amori, offrirò con dolcezza le mie sensazioni ebro delle loro poesie e delle fantasie dei dolori e di
una vita, in ogni pulviscolo di polvere, che rimane della loro gioia.
Quello che le immagini e l’arte ci offrono ci portano sopra i monti, nelle acque dolci e salmastre e su
le pianure, tra gli alberi, le città e le nuvole, oltre l’illuminazione, oltre gli spazi, al di là dei confini del
firmamento stellato.
Che cosa dirò di loro e delle loro opere? …per un bambino l’universo è una golosa voglia, è un
grande mondo che si può vedere anche solo con una piccola lucina, … allora è piccolo il mondo ed è
il ricordo...?
Un pomeriggio ho visto tutte le opere di questi artisti, tutte insieme come un viaggio gonfio di rancori e di desideri, ma come fiamme mi arrivavano a sfiorare il cervello fino a possedere l’abbandono e a ritrovare il ritmo del vento, ninnando l’impossibile sul finito, quasi a mescolare la fuggente terra
ignobile, per poi ritrovare la patria e lottare sulle vie del Muslim (1) come segno degno di ogni lotta prescelta.
Che gioia fuggire e trasportare ad altri l’orrore delle proprie vite e trasformare i desideri con segni di
nuvole e immensi profumi! Eccoli qui, raccolti insieme nei miei occhi e, per non essere cacciati come bestie, mescolarsi come essenze inebrianti in spazi e colori, in corpi e misteri, in simboli e tracce di baci.
Non ci sorprenda l’ira o i tempi grigi, o le tempestose necessità; quello che è nel profondo, e lento a nutrirsi all’impressione dei colori, è già esaudito nella sospensione antica della nostalgia, mettendo in essere i canti con tutti i sensi, stando nell’ emozione e cosciente di uno sguardo, diventa una sola cosa, come quando dalla finestra l’aria del mattino, finalmente alzata fanciulla, si sveglia al nuovo vento di
vita.
Come una Casa c’erano dentro tutte quelle opere, c’era ogni cosa, e adesso devono uscire!
Incomincia la solitudine, è come un mite sguardo e il vento stacca, come fradicio terreno, l’intimo mondo. Adesso tutte le vie portano sulle soglie il vecchio e il lontano stordire della pioggia: tutto il
tempo intero cresce intorno per essere accanto in indulgenza.
Si vedono come in un paese straniero, rasenti le ombre dei muri, ascoltano ogni modo, tutti i cuori, gli spiriti e l’emozioni per una danza, forse non nuova, ma di un vortice che incalza la memoria in un fiore.
A Oriente il vento angolare delle pietre, pallido e straniero, incominciava nel giardino ad
abbandonarsi alla bontà, al trepidare degli eventi, al tempo in cui le madri parlavano del giusto limite
delle alcove; delle rimembranze cristalline, dei segnali austeri e di lapislazzuli a coronare come
unguenti il dorato vento della terra promessa: cobalto il cielo e il suo riflesso su terreni fioriti di
ombrose rose d’oro e bianco titanio. O quell’aria mite dove i tralci cullano fanciulle per baci d’armonie di vini e ascolto, e in una di loro il canto fino all’ultimo spigolo di mani e luce da dove si sono staccate opere mature. A loro l’origine sorge verso la terra, a occidente fu riconosciuto il lampo
contemporaneo: noi conoscevamo solo il temporale. Noi non sapevamo e dimoravamo ai piedi delle torri e da fuori non vedevamo il lampo dorato del cuore dell’uccello del giardino, non riconoscemmo la stella sconosciuta. E così… il nostro silenzio!
Ma il vento trema e dai rami i sentieri, in ascolto, come di maggio una canzone; il mondo intero vicino alla grazia: … mattina d’estate, gialla e arida dal vento del sole, gonne gonfie e sguardi
sorridenti, il rurale si accende all’aia rinfrescata; una gallina bianca, un gallo con tutti i colori del cielo,
una vanga ferma, una scala e il fieno sepolto da una coperta nuova. Una luce piccolina si muove,
un’altra scende più in basso; sull’aia un organino, un violino antico, una manica di camicia nel
corpetto e un dolce stridio di bambini e cani, suona il vento dall’angolo della stalla, il fienile
ombreggia e canta il Maggio in fanciulle al giardino e al tramonto e poi l’attesa.
E’ un ricordo, io lo temo scomparso, ma temo ancora di più le parole degli uomini che dicono tutto e tutto chiaro: quello è giusto e quello non è vero, questa è la casa e quella la strada, qui giusto e là niente.
A me piace sentire cantare i gesti,… non toccateli diventano muti, non usate le pietre diventano cose.
Di questi artisti continua il camminato del loro sentire nell’arte, su masse che sembrano stanche e
racchiuse nei bendagli di finestre velate, ma è l’arte loro, come ultimi sguardi in un tiepido chiarore,
dal silente rifugio si scambiano parole in un linguaggio riconosciuto e avviato, ma distinto, e quasi un
sogno in comune che s’alita l’uno con l’altro: come ad uscire uno alla volta, diversi, opposti, in
segreto, ma con leggere sete fiorite imbevute di profumi di adesso con il ricordo di ieri.
E allora so, con loro che non conosco alcuna soluzione, ma li pongo a serraglio nella loro
espressione, insieme in un ordine sparso, dove l’Aliséo ricompone lo spazio e lo sguardo si rende
efficiente.
Non tutto sanno, ma sentono il segreto dell’amore in una fame infinita in un incommensurabile sete.
In simboli terreni, come cene di commensali straziati da enigmi e stanchezze, a loro i sensi cedono
carne e dirupi architettonici, calde, amare sembianze fino a toccare il sarcasmo rovesciato degli
escrementi culturali e dove il soffio della vita si trastulla con il peccato. Fino a dove? Fino a toccare l’ascendere prediletto di un ardore sacro, di un corpo elevato a santità tra i fili sospesi di spine
ferrose, in onde carnali dai volti inumani e brividi di cuori scoppiati da aperti occhi. Insondabile
rimane l’urlo del fiore reciso da un merlo nero: albero? o forse il richiamo del gesto sanguigno di un
vomito profondo di un cielo a parete? Non mangerà quel volatile la schiena tortuosa di un tronco
marino e di osso malfatto, ne berrà la coppa salata del sangue di lacrime perenni, ma si sentiranno
saltare gli stipiti di porte non porte in stanze al rovescio fino a cedere il languore, fino a decifrare l’alto
senso del corpo: informe massa cromatica di sangue e carne- rosa. Corpo in corpo sano e terreno?
Chi può dire di comprendere il cibo o il sangue?
Sarà tutto in un tempo, in un giorno piegato dal vento, tutto corpo celeste, tutto sangue e carne in un
velo di nebbia in una coppia d’infanzia, e tutto nuoterà nello spazio celeste, nel profumo della carne
che si frammenterà in geometria di roccia e strade, in paesaggi informi, ma da dove nel piano
frammento si ritornerà alla storia reale, all’interno quotidiano maschile dove mai la fine sembrerà la
cena, ma sarà solamente una foto soave dove non sazierà all’amore.
Mai, in unica sostanza, si avvolge un vero ritratto dove da sempre le labbra rosse e sangue, più tenere,
spillano il riverbero del tramonto in vorticare di tortura d’amplesso, mutando in un possesso più
vicino e mai intimo. Voluttà fino a scoppiare i timpani silenti di un nascondiglio di anime morte in
segni informali, astratti fino alla sensuale immagine di macerie e stupri, di gesti e schiaffi carnali, in
brividi fermi tra tende sospese a velare l’intimo.
Assetati e affamati li commuove il cuore, artisti in rissosa urgenza di un eternità. Ma se una volta, in
digiuno, si levasse il sole prima della notte, il gusto della tavola si renderebbe in cena, ed ecco l’uomo
in ogni cosa, a sua immagine e somiglianza a sedersi con noi alla tavola del desiderio e del deserto
celestiale, e assorti al pensiero risorgerebbe in Madre tra archi sospesi e in spettri carnosi, e sarà la
nostalgia.
Sarebbe infinita l’aurora rossa tra quei segni graffiati in quel nero ripostiglio espressionista, e sarebbe
pienezza quei volti crocifissi in occhi grandi, in bambini adulti, e sarebbe alba quel volto immenso tra
il paesaggio e il chiudere di pareti scendenti fino a toccare il cranio al rovescio di un sorriso plumbeo
e sconnesso dal reciso sepolcro, e sarebbero scossi dal vento quei rami neri e quell’ombra rossa e
sanguinolenta del cespuglio in fiamme,…parola di Dio…, saranno persi quei sassi squadrati dall’alito
del cielo a lodare lo spazio di un velo e a nascondere il corpo deforme di un ventaglio di strage, e
saranno le immagine dell’interno a scattare il riflesso della luce in un nottambulo cibo di carne e
sangue.
Questi giovani artisti, qui invitati nel confronto, al dialogo delle immagini e alle parole non scritte ,
uniti in un assalto di silenzio, tra i paralleli e le oblique gallerie dello spazio, girano intorno come in
un’andatura pericolosa, ma con il suono dei passi del loro essere Uomini. E trovano il limite e
partano, girano attorno in avventura della stessa partenza, verso l’arrivo soffiato dall’aria.
E i loro messaggi s’arrampicano come venti fino a tornire la forma della pietra, quella più angolare,
più scura e, come lente lumache in corsa, respirano il sole immergendosi nella terra in posa. Ed ecco
la strada, la Casa perfetta, scanalata e tracciata in rivelazione, annunciata dal fulmine e trascritta in
grembo come in inizio: Madre, Maria, sul suo prodigioso corpo e sentendosi spinta a posare la mano
sul corpo di altra madre e a due, come annunciatrici in parola, le due donne si toccano, si muovono
accanto, traballano e si accarezzano, si sfiorano i capelli e le vesti; ognuna piena di piacere e mistero,
trovano riparo nella loro compagnia, nella Casa perfetta, Cubica, dove in una di loro ancora nasceva il
fiore e dove nell’altra già si annunciava la gioia.
E’ l’inizio di un viaggiare, di girare intorno alle pareti della Santa Kac ba e ricordare l’espressione con
la presenza nell’ assenza.
Un punto che risale, lontano, nell’angolo del cerchio, come spazio per parole e segni in un solo
enigma e sono questi artisti nel completo abisso a sorreggere il sublime:… semplice sguardo che
ognuno può vedere.
A cura di Massimo Innocenti
Tras- portare, nel vento regolare, che spira per tutto l’anno e da tutti i punti della terra, i segni e le parole, la materia e la forza del respiro dell’aria, dà un ode, una musica circolare che riempie la sfera e fiorisce,… e dai frutti cogliere e guardare il viaggio del vento che porta questi artisti a scorgere il Mondo Eterno nella sua perenne vita.
Incontrare questi giovani artisti persiani mi fa scoprire il tempo che piace e il segreto che non vuole
vedere.
Ma la loro arte vede e canta come uno spirito seduto su montagne immobili, pensando al profumo di un fiore sbocciato tra i fiumi del Giardino. Pensando e dicendo con parole e segni cos’è il mondo
della materia e il mondo materiale e pensando alla morte.
Allora trasporterò le parole con il loro vento e scriverò su le foglie dei fiori e nutrirò i pensieri e gli
amori, offrirò con dolcezza le mie sensazioni ebro delle loro poesie e delle fantasie dei dolori e di
una vita, in ogni pulviscolo di polvere, che rimane della loro gioia.
Quello che le immagini e l’arte ci offrono ci portano sopra i monti, nelle acque dolci e salmastre e su
le pianure, tra gli alberi, le città e le nuvole, oltre l’illuminazione, oltre gli spazi, al di là dei confini del
firmamento stellato.
Che cosa dirò di loro e delle loro opere? …per un bambino l’universo è una golosa voglia, è un
grande mondo che si può vedere anche solo con una piccola lucina, … allora è piccolo il mondo ed è
il ricordo...?
Un pomeriggio ho visto tutte le opere di questi artisti, tutte insieme come un viaggio gonfio di rancori e di desideri, ma come fiamme mi arrivavano a sfiorare il cervello fino a possedere l’abbandono e a ritrovare il ritmo del vento, ninnando l’impossibile sul finito, quasi a mescolare la fuggente terra
ignobile, per poi ritrovare la patria e lottare sulle vie del Muslim (1) come segno degno di ogni lotta prescelta.
Che gioia fuggire e trasportare ad altri l’orrore delle proprie vite e trasformare i desideri con segni di
nuvole e immensi profumi! Eccoli qui, raccolti insieme nei miei occhi e, per non essere cacciati come bestie, mescolarsi come essenze inebrianti in spazi e colori, in corpi e misteri, in simboli e tracce di baci.
Non ci sorprenda l’ira o i tempi grigi, o le tempestose necessità; quello che è nel profondo, e lento a nutrirsi all’impressione dei colori, è già esaudito nella sospensione antica della nostalgia, mettendo in essere i canti con tutti i sensi, stando nell’ emozione e cosciente di uno sguardo, diventa una sola cosa, come quando dalla finestra l’aria del mattino, finalmente alzata fanciulla, si sveglia al nuovo vento di
vita.
Come una Casa c’erano dentro tutte quelle opere, c’era ogni cosa, e adesso devono uscire!
Incomincia la solitudine, è come un mite sguardo e il vento stacca, come fradicio terreno, l’intimo mondo. Adesso tutte le vie portano sulle soglie il vecchio e il lontano stordire della pioggia: tutto il
tempo intero cresce intorno per essere accanto in indulgenza.
Si vedono come in un paese straniero, rasenti le ombre dei muri, ascoltano ogni modo, tutti i cuori, gli spiriti e l’emozioni per una danza, forse non nuova, ma di un vortice che incalza la memoria in un fiore.
A Oriente il vento angolare delle pietre, pallido e straniero, incominciava nel giardino ad
abbandonarsi alla bontà, al trepidare degli eventi, al tempo in cui le madri parlavano del giusto limite
delle alcove; delle rimembranze cristalline, dei segnali austeri e di lapislazzuli a coronare come
unguenti il dorato vento della terra promessa: cobalto il cielo e il suo riflesso su terreni fioriti di
ombrose rose d’oro e bianco titanio. O quell’aria mite dove i tralci cullano fanciulle per baci d’armonie di vini e ascolto, e in una di loro il canto fino all’ultimo spigolo di mani e luce da dove si sono staccate opere mature. A loro l’origine sorge verso la terra, a occidente fu riconosciuto il lampo
contemporaneo: noi conoscevamo solo il temporale. Noi non sapevamo e dimoravamo ai piedi delle torri e da fuori non vedevamo il lampo dorato del cuore dell’uccello del giardino, non riconoscemmo la stella sconosciuta. E così… il nostro silenzio!
Ma il vento trema e dai rami i sentieri, in ascolto, come di maggio una canzone; il mondo intero vicino alla grazia: … mattina d’estate, gialla e arida dal vento del sole, gonne gonfie e sguardi
sorridenti, il rurale si accende all’aia rinfrescata; una gallina bianca, un gallo con tutti i colori del cielo,
una vanga ferma, una scala e il fieno sepolto da una coperta nuova. Una luce piccolina si muove,
un’altra scende più in basso; sull’aia un organino, un violino antico, una manica di camicia nel
corpetto e un dolce stridio di bambini e cani, suona il vento dall’angolo della stalla, il fienile
ombreggia e canta il Maggio in fanciulle al giardino e al tramonto e poi l’attesa.
E’ un ricordo, io lo temo scomparso, ma temo ancora di più le parole degli uomini che dicono tutto e tutto chiaro: quello è giusto e quello non è vero, questa è la casa e quella la strada, qui giusto e là niente.
A me piace sentire cantare i gesti,… non toccateli diventano muti, non usate le pietre diventano cose.
Di questi artisti continua il camminato del loro sentire nell’arte, su masse che sembrano stanche e
racchiuse nei bendagli di finestre velate, ma è l’arte loro, come ultimi sguardi in un tiepido chiarore,
dal silente rifugio si scambiano parole in un linguaggio riconosciuto e avviato, ma distinto, e quasi un
sogno in comune che s’alita l’uno con l’altro: come ad uscire uno alla volta, diversi, opposti, in
segreto, ma con leggere sete fiorite imbevute di profumi di adesso con il ricordo di ieri.
E allora so, con loro che non conosco alcuna soluzione, ma li pongo a serraglio nella loro
espressione, insieme in un ordine sparso, dove l’Aliséo ricompone lo spazio e lo sguardo si rende
efficiente.
Non tutto sanno, ma sentono il segreto dell’amore in una fame infinita in un incommensurabile sete.
In simboli terreni, come cene di commensali straziati da enigmi e stanchezze, a loro i sensi cedono
carne e dirupi architettonici, calde, amare sembianze fino a toccare il sarcasmo rovesciato degli
escrementi culturali e dove il soffio della vita si trastulla con il peccato. Fino a dove? Fino a toccare l’ascendere prediletto di un ardore sacro, di un corpo elevato a santità tra i fili sospesi di spine
ferrose, in onde carnali dai volti inumani e brividi di cuori scoppiati da aperti occhi. Insondabile
rimane l’urlo del fiore reciso da un merlo nero: albero? o forse il richiamo del gesto sanguigno di un
vomito profondo di un cielo a parete? Non mangerà quel volatile la schiena tortuosa di un tronco
marino e di osso malfatto, ne berrà la coppa salata del sangue di lacrime perenni, ma si sentiranno
saltare gli stipiti di porte non porte in stanze al rovescio fino a cedere il languore, fino a decifrare l’alto
senso del corpo: informe massa cromatica di sangue e carne- rosa. Corpo in corpo sano e terreno?
Chi può dire di comprendere il cibo o il sangue?
Sarà tutto in un tempo, in un giorno piegato dal vento, tutto corpo celeste, tutto sangue e carne in un
velo di nebbia in una coppia d’infanzia, e tutto nuoterà nello spazio celeste, nel profumo della carne
che si frammenterà in geometria di roccia e strade, in paesaggi informi, ma da dove nel piano
frammento si ritornerà alla storia reale, all’interno quotidiano maschile dove mai la fine sembrerà la
cena, ma sarà solamente una foto soave dove non sazierà all’amore.
Mai, in unica sostanza, si avvolge un vero ritratto dove da sempre le labbra rosse e sangue, più tenere,
spillano il riverbero del tramonto in vorticare di tortura d’amplesso, mutando in un possesso più
vicino e mai intimo. Voluttà fino a scoppiare i timpani silenti di un nascondiglio di anime morte in
segni informali, astratti fino alla sensuale immagine di macerie e stupri, di gesti e schiaffi carnali, in
brividi fermi tra tende sospese a velare l’intimo.
Assetati e affamati li commuove il cuore, artisti in rissosa urgenza di un eternità. Ma se una volta, in
digiuno, si levasse il sole prima della notte, il gusto della tavola si renderebbe in cena, ed ecco l’uomo
in ogni cosa, a sua immagine e somiglianza a sedersi con noi alla tavola del desiderio e del deserto
celestiale, e assorti al pensiero risorgerebbe in Madre tra archi sospesi e in spettri carnosi, e sarà la
nostalgia.
Sarebbe infinita l’aurora rossa tra quei segni graffiati in quel nero ripostiglio espressionista, e sarebbe
pienezza quei volti crocifissi in occhi grandi, in bambini adulti, e sarebbe alba quel volto immenso tra
il paesaggio e il chiudere di pareti scendenti fino a toccare il cranio al rovescio di un sorriso plumbeo
e sconnesso dal reciso sepolcro, e sarebbero scossi dal vento quei rami neri e quell’ombra rossa e
sanguinolenta del cespuglio in fiamme,…parola di Dio…, saranno persi quei sassi squadrati dall’alito
del cielo a lodare lo spazio di un velo e a nascondere il corpo deforme di un ventaglio di strage, e
saranno le immagine dell’interno a scattare il riflesso della luce in un nottambulo cibo di carne e
sangue.
Questi giovani artisti, qui invitati nel confronto, al dialogo delle immagini e alle parole non scritte ,
uniti in un assalto di silenzio, tra i paralleli e le oblique gallerie dello spazio, girano intorno come in
un’andatura pericolosa, ma con il suono dei passi del loro essere Uomini. E trovano il limite e
partano, girano attorno in avventura della stessa partenza, verso l’arrivo soffiato dall’aria.
E i loro messaggi s’arrampicano come venti fino a tornire la forma della pietra, quella più angolare,
più scura e, come lente lumache in corsa, respirano il sole immergendosi nella terra in posa. Ed ecco
la strada, la Casa perfetta, scanalata e tracciata in rivelazione, annunciata dal fulmine e trascritta in
grembo come in inizio: Madre, Maria, sul suo prodigioso corpo e sentendosi spinta a posare la mano
sul corpo di altra madre e a due, come annunciatrici in parola, le due donne si toccano, si muovono
accanto, traballano e si accarezzano, si sfiorano i capelli e le vesti; ognuna piena di piacere e mistero,
trovano riparo nella loro compagnia, nella Casa perfetta, Cubica, dove in una di loro ancora nasceva il
fiore e dove nell’altra già si annunciava la gioia.
E’ l’inizio di un viaggiare, di girare intorno alle pareti della Santa Kac ba e ricordare l’espressione con
la presenza nell’ assenza.
Un punto che risale, lontano, nell’angolo del cerchio, come spazio per parole e segni in un solo
enigma e sono questi artisti nel completo abisso a sorreggere il sublime:… semplice sguardo che
ognuno può vedere.
A cura di Massimo Innocenti
23
ottobre 2010
Aliseo
23 ottobre 2010
arte contemporanea
presentazione
incontro - conferenza
serata - evento
presentazione
incontro - conferenza
serata - evento
Location
GALLERIA TANNAZ
Firenze, Via Dell'oche, 9-11r, (Firenze)
Firenze, Via Dell'oche, 9-11r, (Firenze)
Orario di apertura
Sabato ore 18-21
Vernissage
23 Ottobre 2010, ore 18.00
Autore
Curatore